venerdì 16 novembre 2007

Il Corriere della sera : Times e processi in TV





La polemica sulla stampa britannica
«Processo in tv», il Times attacca la giustizia italiana
Sono i due fatti di cronaca che più stanno appassionando l’opinione pubblica inglese al di fuori dei confini britannici: la scomparsa della piccola Madeleine e l’assassinio di Meredith

MILANO—Sono i due fatti di cronaca che più stanno appassionando l’opinione pubblica inglese al di fuori dei confini britannici: la scomparsa, in Portogallo, della piccola Madeleine McCann e l’assassinio, a Perugia, della studentessa Meredith Kercher. In entrambi i casi i sudditi di Sua Maestà fanno fatica a capire e sono sempre più allibiti. Non capiscono perché, fin dall’inizio, a proposito di Madeleine le autorità portoghesi non abbiano fornito dettagli sulle indagini e abbiano impedito ai sospetti di parlare scatenando così la fantasia dei tabloid. Allo stesso modo, faticano a comprendere perché sulla vicenda di Meredith, inquirenti e magistrati siano così prodighi di informazioni e dettagli «sanguinari» con i giornalisti e le notizie di oggi siano l’esatto contrario di quelle del giorno prima, con i colpevoli di ieri che domani diventeranno innocenti. A sollevare il problema e a cercare di dare una risposta alle domande di un’intera nazione ci ha pensato ieri il Times con un duro editoriale contro i processi che, nel nostro Paese, si svolgono sui media invece che nelle aule dei tribunali. «È lo stile italiano », accusa il giornale che punta il dito contro la nostra giustizia. «In Italia la parola "sospetto", non esiste più. Giornali e tv condannano prima ancora che sia iniziato il processo. Inquirenti e giudici subiscono la pressione dell’opinione pubblica caricata da articoli e talkshow televisivi ». Secondo il Times, in queste condizioni è difficile che un imputato sia giudicato in modo sereno perché «in molti casi di omicidio non c’è solo il colpevolema anche un innocente che viene sospettato».

Affermazione forte per un ordinamento giuridico ipergarantista come il nostro. «Vero, in Italia il processo si fa solo sui media», commenta l’avvocato penalista Giulia Bongiorno. «Questo perché da noi ci sono due velocità: quella del processo e quella dell’informazione ». Cosa che per Bongiorno porta a una deformazione dei ruoli: «Succede che il giornalista riesca a intervistare il testimone prima del pm, mentre l’avvocato dà le notizie diventando a sua volta giornalista». Gli inglesi ci criticano proprio per questo. «Non è colpa dei media ma della nostra giustizia. Se il sistema processuale italiano funzionasse, se le indagini fossero coperte da vera segretezza, anch’io sarei molto critica. Ma non è così. Noi avvocati leggiamo i verbali degli interrogatori prima sui giornali e poi negli atti depositati in Cancelleria». «Il processo sui media non è un male — replica il giudice Simonetta Matone — ed è inevitabile perché l’opinione pubblica vuole capire i fatti di cronaca e i meccanismi processuali. Anzi, dico che non se parla abbastanza, si dovrebbe farlo in modo ancora più dettagliato e scientifico ». Matone, essendo parte in causa in quanto presenzialista di Porta a Porta («Ma in tv non parlo dei processi che mi riguardano, spiego i casi altrui»), va all’attacco del Times: «Gli inglesi sbagliano, i giudici e gli inquirenti italiani non si fanno condizionare da stampa e tv. Quando il procuratore di Pavia è andato in televisione a parlare dell’omicidio di Garlasco, in pratica non ha detto nulla di rilevante ai fini dell’indagine». Meno netto il pensiero dell’avvocato Bongiorno: «Conosco pm che seguono processi importantissimi e evitano di parlare con i media per non subire pressioni». Ma, tra inquirenti, magistrati e indagati, chi trae vantaggio da un processo fatto attraverso stampa e tv? «Il pubblico che ha storie vere che assomigliano a fiction televisive—risponde Buongiorno —. L’unico vero perdente è l’imputato, sia che venga assolto o condannato »

Nessun commento: