mercoledì 31 ottobre 2007

Senza se e senza ma..la sicurezza presa sul serio



In occasione di ogni eclatante fatto di cronaca nera i temi della sicurezza dei cittadini e della efficienza della giustizia tornano sulle pagine dei quotidiani come nuove emergenze.
Come di consueto, è facilmente rilevabile la tendenza ad affrontare tali temi con atteggiamenti più emotivi che razionali, mentre vengono del tutto ignorate, sia le interrelazioni dei vari fenomeni, che la loro rilevanza sulla qualità della vita dei cittadini e sugli elevati costi sociali correlati.

Negli ultimi anni il numero di reati denunciati continua ad oscillare tra i 2.200.000 e i 2.500.000 e l’aumento dei dati numerici, talora alternato da un andamento decrescente, non appare direttamente influenzato né dai provvedimenti di clemenza, né da quelli tesi ad inasprire i mezzi idonei a reprimere la criminalità.

Dalle periodiche rilevazioni statistiche emerge infatti come, in taluni periodi, pur aumentando il numero complessivo dei reati, i cittadini percepiscano una stabilità o una diminuzione della criminalità, mentre in altri, pur diminuendo il numero degli episodi criminosi denunciati aumenta la paura.

L'informazione e i media sono fondamentali per determinare il clima di sicurezza nel Paese e appare certo che, più che i dati oggettivi, sono le scelte dei mezzi di comunicazione più o meno insistenti (e talvolta morbosi) su taluni fenomeni ad orientare la percezione collettiva.

L'opinione pubblica è sufficientemente informata delle questioni e delle riforme concernenti la giustizia specie se afferenti a procedimenti nei confronti di imputati eccellenti; è altresì in grado di cogliere la schizofrenia del legislatore nell’alternare scelte del tutto incoerenti in un arco di tempo abbastanza breve; nel 2003 è stato concesso il cosiddetto indultino; nel 2005 è stata approvata la legge ex Cirielli e nel 2006 il più ampio e incondizionato indulto dell’epoca repubblicana: il primo e l’ultimo volti a un automatico svuotamento degli istituti penitenziari senza alcun serio intervento di supporto, sostegno e controllo delle persone scarcerate; e quella intermedia finalizzata ad escludere l'espiazione della pena fuori dal carcere per i soggetti recidivi nel delitto, senza peraltro alcuna seria analisi progettuale preliminare e senza alcun serio studio sugli effetti della loro attuazione concreta.

Ma l’opinione pubblica non è stata mai seriamente posta nelle condizioni di conoscere quel che accade "dopo" , ossia dopo il passaggio in giudicato delle sentenze.

Con riferimento alla microcriminalità, ossia a quel fenomeno diverso dalla criminalità organizzata e terroristica, cui invero si continua ad assicurare un trattamento di particolare rigore, ormai il sistema penale si fonda sulla applicazione della carcerazione preventiva quale unica sanzione, talvolta neppure anticipatoria di pene definitive, che non saranno mai scontate.

Il beneficio della sospensione condizionale della pena per i reati puniti con la pena non superiore a due anni e le pene alternative rendono di fatto priva di efficacia intimidatoria la sanzione penale che in genere viene solo minacciata e assai di rado (e comunque mai tempestivamente) applicata.

In poco meno di trent’anni una serie di interventi legislativi, effettuati con l’intento di eliminare le asprezze sanzionatorie del codice Rocco, hanno privato di qualsiasi rigore il sistema penale, fino alla quasi completa disgregazione.

Sono stati gradualmente trasferiti al giudice vari poteri profetici o divinatori, attribuendogli il compito di prognosticare la pericolosità del condannato ai fini dell'applicazione della sospensione condizionale, delle sanzioni sostitutive, dell'affidamento in prova, della semilibertà o della liberazione condizionale, senza mai fissare alcun parametro sicuro per definire la prognosi e gli elementi su cui fondarla e creando vistose storture nell'area delle misure sospensive poste talvolta in rotta di potenziale collisione tra loro.

Così l'esigenza di garanzia e di obiettività, ossia l’istanza di omogeneità della risposta punitiva, astrattamente demandata al prudente apprezzamento del giudice, risulta ormai abbandonata alla libera discrezionalità dei singoli magistrati in gran parte ispirati da una sconsiderata benevolenza fine a se stessa.
È proprio l’osservazione dei dati statistici sulla percentuale di pene ineseguibili che consente di lanciare un’accusa specifica ai vari benefici previsti dall’ordinamento penitenziario (cosiddetta legge Gozzini), ed ancor prima all’istituto della sospensione condizionale della pena, che da strumento di prevenzione particolare, si è trasformato in semplice garanzia di impunità, avente un’efficacia di prevenzione talmente risibile, da rendere addirittura più efficace - sul piano della prevenzione degli illeciti - la sanzione amministrativa, che - com’è noto - non può essere condizionalmente sospesa.

Un processo penale per furto o per rapina o per estorsione o per violenza sessuale (reati per i quali con attenuanti e diminuenti per la scelta di riti alternativi è consentito contenere la pena detentiva entro i due anni) finisce infatti con l’avere un’efficacia intimidatrice inferiore rispetto alle implacabili procedure di esazione delle sanzioni amministrative per violazioni del codice stradale.

Ma se la sospensione condizionale non è concedibile perché la pena è superiore a due anni ecco che può farsi ricorso al altri strumenti che consentono comunque al condannato di restare in libertà.

Se infatti la pena non supera i tre anni e addirittura i sei per i tossicodipendenti (purchè abbiano in corso uno di quei programmi di recupero che i Ser.T. non negano a nessuno) la pena viene sospesa fino alla decisione del tribunale di sorveglianza sulla applicazione delle misure alternative alla detenzione e, più precisamente, come avviene nella maggior parte dei casi, dell’affidamento al servizio sociale; misura che per i tossicodipendenti che non abbiano la possibilità di entrare in comunità, in genere si esaurisce nella frequentazione di un Ser.T. per l’assunzione di metadone, per l’espletamento di colloqui settimanali e per il controllo periodico dei metaboliti urinari.

Resta tuttora inspiegabile come lo stesso legislatore del dicembre 2005, che con la legge ex Cirielli aveva inteso limitare i casi di accesso alle misure alternative per i recidivi, abbia elevato da quattro a sei anni il limite di pena che consente di sospendere (fino alla concessione delle misure alternative) l’esecuzione delle condanne per i tossicodipendenti.

Una recente analisi svolta dal Casellario Giudiziale Centrale del Ministero della Giustizia ha evidenziato che poco meno del 50% delle condanne risultano con pena detentiva non eseguibile per sospensione condizionale della pena o per altre cause.

Così oggi nei tribunali - tranne che per i maxi-processi riguardanti fatti di grossa criminalità - sembrano demandate ai giudici delle funzioni analoghe a quelle delle commissioni di indagine nelle quali si accertano i fatti unicamente per acquisirne elementi di conoscenza e di valutazione statistico-sociale, visto che, una volta accertata la responsabilità dell’imputato, nella stragrande maggioranza dei casi tutto si risolve con un mero avvertimento o con un “se e quando ti riprenderò, forse la pagherai ...”.

Ma anche in tale eventualità la mano del legislatore non sarà mai ferma, nè sicura, visto che nel nostro ordinamento un anno di detenzione non supera in genere i sette mesi e mezzo (ogni anno viene infatti ridotto di tre mesi per liberazione anticipata e di quarantacinque giorni per permessi premio).

Se poi si considera che a fronte di pene pecuniarie inflitte lo Stato riesce a riscuotere solo il 2,46%, la serietà dell’attuale sistema sanzionatorio si rivela suscettibile di immediata percezione.

Tutta una serie di fatti privi di effettivo allarme sociale andrebbero depenalizzati.

Il carcere non può che rappresentare l’estrema ratio per quei fatti odiosi per i quali qualsiasi altra sanzione si riveli inutile.

Ma non è serio minacciare delle pene (siano esse detentive o pecuniarie o di altro genere) che non saranno mai irrogate, vuoi per la ingenuità del legislatore, vuoi per la benevolenza dei giudici, che ispirati da inesplicabile garantismo, appaiono sempre disposti a definire con condanne irrisorie i processi riguardanti fatti gravi ed efferati.

È ovvio che il problema della giustizia non costituisce una priorità per il nostro legislatore; ma anche i giudici non sono del tutto esenti da colpe, visto che tra gli interessi dei cittadini che subiscono reati più o meno gravi privilegiano sempre e comunque quel “favor rei” che suona sempre più come un invito a delinquere sempre più liberamente.

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