sabato 27 ottobre 2007

Marcello Sorgi su "La Stampa" "Quei giudici che parlano troppo"


Marcello Sorgi su "La Stampa" di oggi

Su un punto, hanno perfettamente ragione giudici come Luigi De Magistris e Clementina Forleo, al centro dello scontro con il governo che ha rischiato di provocare una crisi: la loro situazione è senza precedenti. Nella storia pluridecennale del braccio di ferro tra politici e magistrati, che un ministro di giustizia riuscisse a far togliere un’inchiesta al procuratore che lo ha indagato, ottenendo pieno appoggio dal presidente del Consiglio prima ancora che sui presunti eccessi dello stesso magistrato si pronunci il Consiglio Superiore della magistratura, non era mai accaduto. Né ai tempi di Craxi, la vittima più illustre di Tangentopoli, che prima di cadere riuscì a far celebrare addirittura un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, e neppure nell’epoca della guerra tra Berlusconi premier del centrodestra e le cosiddette «toghe rosse». Ora è molto probabile che questo possa portare a scenari imprevedibili: come ad esempio se il Csm, dissentendo dal pieno avallo di Prodi a Mastella, riconoscesse in parte la fondatezza del lavoro di De Magistris, pur condannandone i metodi. Ma andrebbe almeno evitato che possa diventare la premessa per consentire, e in qualche modo giustificare, la discesa in campo e l’aperta sfida al governo da parte degli stessi magistrati. Da un mese infatti, sia De Magistris che la Forleo mandano in onda in diretta la loro riscossa antigovernativa. De Magistris, alle prime notizie sull’avocazione della sua inchiesta, ha detto che questa decisione, sicuramente discutibile, rischiava di portare «alla fine dello Stato di diritto». Forleo, dopo essersi schierata in una prima apparizione a Annozero con i ragazzi calabresi (quelli dello slogan «Ammazzateci tutti» dopo il delitto Fortugno, e «Trasferiteci tutti» dopo il caso Mastella-De Magistris), giovedì sera è tornata ospite di Santoro. Per dichiarare di «essere sotto attacco», perché in questo Paese «chi tocca i poteri forti, chi tocca i fili, come quelli della corrente, muore». E di non voler accettare i consigli di chi vuole «che i giudici stiano a casa, che stiano zitti, che siano sobri, che scrivano sentenze». Ma a parte il silenzio forzato, lo stare a casa e la sobrietà (che comunque è una dote positiva), quello di scrivere sentenze, con l’attività preparatoria che le precede, è esattamente il lavoro del magistrato. Un lavoro delicatissimo, che, specie per il giudice penale, richiede particolari doti tecniche, culturali e psicologiche. La sentenza, o nel caso del procuratore la richiesta di rinvio a giudizio o di proscioglimento, è il coronamento di questo lavoro, il momento più alto di espressione del magistrato. Per questo, sommessamente, e senza unirci al coro spesso volgare di attacchi pregiudiziali alla magistratura, ci permettiamo di sottolinearne l’importanza. La Forleo stessa, del resto, fece già discutere quando assolse il terrorista islamico Mohammed Daki, distinguendo, nella sua sentenza, tra reati di terrorismo e legittimità della guerriglia. Il fatto che pochi giorni fa lo stesso Daki sia stato condannato in appello a quattro anni per terrorismo internazionale, è purtroppo un esempio di normale funzionamento della giustizia: un giudice può avere un convincimento diverso da un altro, e non ci si sognerebbe per ciò di dire che si è rischiata la fine dello Stato di diritto. Nessuno dei grandi magistrati inquisitori ha mai avuto un tasso di presenza televisiva così alto. Né Ilda Boccassini, che sostenne l’accusa contro Berlusconi (e solo nella requisitoria finale rivelò le pressioni per bloccare il processo); né Gherardo Colombo, che attese il momento della pensione per esprimere il suo pessimismo sulla giustizia. Anche Saverio Borrelli, il capo del pool Mani Pulite, il suo famoso «Resistere, resistere, resistere» lo pronunciò nel discorso d’apertura dell’anno giudiziario, non certo in un talk show. E Di Pietro, oggi leader di partito, in tv approdò con il processo Montedison. Ma di lui, più che l’appassionato atto d’accusa che sancì la fine della Prima Repubblica, restò memorabile il gesto muto e plateale con cui si tolse la toga nell’udienza finale. Oggi questi comportamenti appaiono superati da quelli dei magistrati star della serata tv. Ma è davvero troppo chiedere di non travalicare certi limiti?

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