giovedì 22 novembre 2007

Il disagio dei magistrati e le (vere) cause del voto


Pubblichiamo un bellissimo articolo di Mariano Sciacca apparso sul "Riformista" di oggi ,che pone questioni che meritano approfondimento e riflessione da parte di tutti. Altrettanto chiaro ci pare l'articolo di Stefano Schirò ,apparso invece sul "Tempo" .
Personalmente condividiamo in pieno questa prospettiva ,a testimonianza che il confronto ,se si inizia non può che portare a risultati positivi . Ed in un certo senso ,cominciamo a discutere lasciando perdere le etichette ,e pensando ai risultati che vogliamo ottenere..



Caro Direttore leggo l'intervento del collega *e la sua valutazione sui risultati della consultazione elettorale per il rinnovo del CDC dell'ANM. La valutazione, peraltro, comune anche agli organi di stampa, su di una presunta svolta a destra della magistratura italiana associata e di un'evidente impronta corporativa che segnerebbe i risultati elettorali credo imponga un supplemento di riflessione non solo all'interno della magistratura italiana, ma soprattutto presso l'opinione pubblica e la grande platea dei giornali di opinione e di cultura qual è il Suo. Devo al contempo autodenunziare - a fronte del mio contraddittore che omette di fare riferimento al suo gruppo di riferimento ovverosia Magistratura Democratica, gruppo fortemente penalizzato dai risultati della consultazione elettorale - il mio interesse personale\politico, in quanto appartenente al gruppo di Unità per la Costituzione, indicata con sublime leggerezza dal collega come quella che offre ai magistrati italiani protezioni individuale di carattere clientelare. Si dice che il voto che consacrerebbe la chiusura corporativa della magistratura italiana e credo che di tutte le possibili letture questa sia non solo la più fuorviante ed erronea ma soprattutto per la stessa magistratura ordinaria la più ingiusta e deleteria. Alcune modeste osservazioni.In questi anni, nel bene e nel male, mai forse come in questi anni, la magistratura associata ha dato grandi dimostrazioni, non solo di apertura verso la società civile (nell'individuare soluzioni legislative ed organizzative realmente innovative in materia di giustizia), ma al contempo di concreto impegno - testimoniato dalle statistiche ministeriali e dalle relazioni d'inaugurazione dell'anno giudiziari - per l'abbattimento dell'enorme carico di lavoro che grava sulle giurisdizione penali e civili e per mantenere comunque una dignitosa qualità del prodotto giurisdizionale. Però è triste constatare che i libri bianchi sui disservizi della giustizia annualmente e silenziosamente depositati dall'ANM sulle sedie delle autorità politiche ed istituzionali intervenute all'inaugurazione dell'anno giudiziario non sono serviti. Ovvero sono serviti a poco. Ovvero sono stati ulteriormente strumentalizzati.L'introduzione dell'art. 111 della Costituzione, letto in combinato disposto con l'art. 97, impone una nuova lettura del ruolo della giurisdizione e della posizione costituzionale della magistratura che riconosca l'avvenuta costituzionalizzazione del principio di efficienza del servizio giustizia. Non è fuor di luogo segnalare però che ormai gli studiosi del processo e di organizzazione dei servizi giustizia segnalano da anni come il cd. input giurisdizionale - ovverosia la domanda di giustizia - è del tutto fuori controllo e comunque al di là delle umane capacità di risposta del sistema giurisdizionale che non può mai smaltire, mantenendo dignitosi livelli di qualità dei provvedimenti senza abdicare al sentenzificio. Piuttosto che pensare ad interventi peggiorativi del trattamento retributivo dei magistrati - penso al Libro Verde del Ministero dell'Economia - ben altri sono gli ineludibili campi di intervento sul versante della cd. offerta di giustizia rispetto ai quali abbiamo chiesto da anni si intervenisse con tempestività e vigore: revisione delle circoscrizioni giudiziarie; introduzione di nuovi sistemi di rilevazione statistica dei flussi giudiziari; degiurisdizionalizzazione della cd. materie bagatellari e valutazione dei sistemi di consulenza per l'accesso alla giustizia; introduzione di sistemi di alternative dispute risolution (cd. a.d.r.); ottimizzazione delle risorse disponibili; riorganizzazione\informatizzazione del servizio giustizia; ufficio del giudice e ridefinizione dei rapporti tra magistratura togata e magistratura ordinaria; rivitalizzazione e applicazione del diritto tabellare; court management e ridefinizione del ruolo dirigenziale, riorganizzazione della Corte di Cassazione; valorizzazione dei poteri discrezionali del giudice civile di programmazione del processo e di pianificazione del ruolo in funzione acceleratoria.Di tutto questo abbiamo parlato, spesso inascoltati, in questi anni. Ma soprattutto per troppi anni - e vengo al perché del mia sommessa richiesta di essere ospitato sul Suo giornale - abbiamo accettato in modo miope di supplire alle carenze organizzative, oltre che ad uno tsunami normativo sregolato e imprevedibile. Abbiamo garantito artificialmente la vita ad un sistema malato, incapace di automedicamento e caratterizzato da una singolare capacità di attivare anticorpi all'innovazione e al cambiamento. Abbiamo consentito alla politica di continuare a giocare con diritti e garanzie, senza esigere risorse, innovazione ed anche -non ultimo- rispetto del ruolo e della dignità della funzione. Senza indulgere in fughe dalle proprie responsabilità - che tanto sanno veramente di chiusura corporativa ed incapacità di aprirsi alle istanze della società politica e civile -, una domanda si impone: ogniqualvolta si è supplito alle altrui carenze, si è lavorato in locali inadeguati e in contrasto ad ogni normativa di sicurezza, quando si sono accettati ruoli e compiti non di nostra competenza e pertinenza, quando ci si è sobbarcati a udienze sovraccariche ed ingestibili, quando la nostra lucidità e la qualità del nostro lavoro è stata messa a dura, durissima prova, quando tutto ciò - per senso di responsabilità, null'altro ci viene da pensare - è stato fatto, pensiamo di avere fatto sempre e comunque il bene dei cittadini e delle stesse istituzioni? Molti magistrati oggi credono di no. Ed è questo il senso reale dei risultati elettorali che alcuni liquidano in termini semplificatori e quindi mistificanti.Vantarsi di avere portato personalmente il carrello dei faldoni in udienza, di avere accettato di lavorare con turni orari e in locali fatiscenti e sgarrupati - se del caso condannando poi ipocritamente il datore di lavoro imputato davanti a noi ai sensi della 626 -, l'avere accettato di fare il giudice factotum, l'essersi piegati a pagare di tasca propria benzina, codici ed articoli di cancelleria riteniamo che siano stati tutti comportamenti politicamente ed istituzionalmente validi, anche se eticamente commendevoli? Non è quindi un caso che a tenere banco nell'aspro confronto della passata campagna elettorale siano state la questione dello status economico della magistratura italiana e la questione della caporetto organizzativa della giustizia italiana che quotidianamente grava sulla vita professionale e personale di oltre 9000 magistrati italiani. Abbiamo oggi una nuova, forte consapevolezza che non si può più da parte nostra metterci la pezza alle carenze altrui. Anzi proprio la consapevolezza di avere messo tante pezze e di avere operato nel complesso in modo non censurabile - dati alla mano si vedano i numeri della nostra giustizia disciplinare a confronto con le quelle delle altre PP.AA. - ci porta oggi ha potere e dovere rivendicare - lasciati giustamente da parte incarichi extragiudiziali e tante altre milionarie prebende delle quali altre magistrature continuano a godere senza che nessun se ne scandalizzi - un migliore trattamento economico e condizioni di lavoro almeno decenti, ovvero condizioni di lavoro quotidiane dignitose tanto nella forma che nella sostanza. Il collega * si è forse interrogato perché si sta sempre più verificando una fuga delle migliori intelligenze giuridiche dalla magistratura ordinaria verso lidi più appaganti ed economicamente rassicuranti? Si è chiesto perché tanti giovani laureati non guardano più al nostro concorso con interesse? Si è chiesto cosa possiamo offrire ai nuovi uditori giudiziari oltre un dorato carcere pluriennale nel deserto umano e sociale degli uffici di Locri, di Palmi e di Gela??Viviamo oggi un paradosso sulla nostra pelle dal quale riteniamo ci si debba emancipare senza altro attendere: di fronte alla mancata individuazione di carichi di lavoro medi, di standards lavorativi di riferimento, a fronte di situazione logistiche di lavoro inaudite e ingiustificabili, in attesa che l'informatizzazione degli uffici raggiunga finalmente un grado di evoluzione tale da renderla affidabile ed efficacemente utilizzabile per il governo degli uffici, la Cassazione in sede disciplinare sta sempre più diventando - seppure tristemente e drammaticamente ex post - l'organo chiamato ad individuare i carichi medi di lavoro, ciò che si può e deve o meno pretendere dai singoli magistrati; in questo modo ciò che dovrebbe essere elemento di organizzazione e pianificazione del lavoro da utilizzarsi in via preventiva negli uffici, diventa il prodotto - postumo e astratto - elaborato dai colleghi di legittimità su realtà ormai rilevanti come patologia, vera o presunta, in ottica esclusivamente sanzionatoria. Siamo molto preoccupati della cottimizzazione del nostro lavoro e di chi vorrebbe solo un bel sentenzificio omologato, ma si deve da subito intervenire e riflettere per: a) stabilire ad es. quante "cose" si possano pretendere che un magistrato faccia in un tempo determinato (un anno, un mese ecc.), affinchè possa farle decentemente, e quindi che limiti può/dovrebbe avere il ruolo di un magistrato dal quale si pretenda qualità, posto che dallo stesso possono pretendersi x ore di lavoro all'anno e che per trattare i procedimenti del suo ruolo ne occorrono y all'anno (un ruolo gestibile è di massima individuabile in un massimo di 500\600 cause, laddove in moltissimi uffici meridionali si viaggia dalle 900 alle 3000 cause per magistrato..); b) comparare i flussi e le pendenze dei vari uffici e dei vari settori, utilizzando una unità di misura capace di "pesare" sulla stessa bilancia un ricorso di fallimento e un procedimento del riesame, una causa di divisione e un processo per omicidio, in modo da stabilire ad es. che nel tribunale x occorre assegnare x giudici al penale e y giudici al civile, per ottenere determinati risultati (es. diminuzione delle pendenze al penale, accettando che queste aumentino al civile, ovvero, massimo equilibrio nella distribuzione delle risorse, ecc.).Senza alcuna voglia di propugnare derive burocratiche ed autoassolutorie, deve ribadirsi la necessità di un intervento - anche in autotutela sindacale - rispetto ad interventi che rischiano di travolgerci nella vita quotidiana e nella serenità personale in modo indistinto e indiscriminato: l'A.n.m. - ovvero direttamente i colleghi delle singole sezioni - nei vari distretti dovranno interrogarsi sull'adozione di documenti e\o protocolli che pongano precisi paletti alla capacità e alla possibilità del singolo magistrato di lavorare in considerazione del peso del ruolo, delle materie trattate, degli "incidenti" professionali - applicazioni, supplenze, maternità ecc. -, delle risorse a disposizione. Dovremo rivalutare gli intervalli di rinvio da un'udienza all'altra, prevedere che, anche in relazione alle previsioni pilatesche della legge Pinto, si inseriscano nei verbali di udienza dei preamboli organizzativi che spieghino all'interno della singola vicenda processuale, il perchè "organizzativo" del rinvio più o meno lungo.In alternativa alla magistratura italiana non rimarrebbe che fare come i più fortunati, meno conosciuti - dall'opinione pubblica - e meno attenzionati - dai massmedia - cugini dei Tribunali Amministrativi Regionali hanno fatto per delimitare il proprio impegno e individuare in autotutela i loro carichi di lavoro (Criteri deliberati dal Consiglio di Presidenza, nella seduta del 18/12/2003, sui carichi di lavoro dei magistrati TT.AA.RR."), stabilendo il numero massimo delle udienze mensili pro capite (2), il numero minimo e massimo dei procedimenti assegnabili pro capite ogni mese (9 e 12) e il numero minimo e massimo delle sentenze mensili pro capite, con l'indicazione precisa del numero minimo delle sentenze annue (80).La ringrazio sinceramente dell'ospitalità che vorrà concedermi.

Mariano Sciacca, vicesegretario nazionale Unità per la Costituzione
Commentando il risultato delle elezioni per il Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati, Andrea Pamparana ha scritto che <> ed <>, mentre sarebbe stato preferibile che tra le varie correnti associative della magistratura si fosse discusso anche della qualità della preparazione dei magistrati. Mi sembra utile, per una costruttiva discussione, valutare le considerazioni dall'illustre opinionista alla luce del programma elettorale con il quale Magistratura indipendente si è sottoposta al giudizio degli elettori. In tale programma Magistratura indipendente ha esplicitamente affermato che, per puntare al recupero dell'efficienza dei servizi giudiziari e assicurare la qualità della risposta alla domanda di giustizia, è necessario porre rimedio alle gravi carenze strutturali, organizzative e processuali nelle quali la macchina dell'amministrazione della giustizia è ancora costretta ad operare. Può darsi che in qualche caso inefficienza e incapacità siano da addebitare a singoli magistrati, ma non va dimenticato che la magistratura italiana si esprime ogni anno con molte migliaia di provvedimenti che resistono al vaglio delle impugnazioni e che la produttività della magistratura ordinaria italiana è superiore a quella delle magistrature amministrative e delle magistrature di altri comparabili paesi occidentali. La disamina sarebbe inoltre incompleta e fuorviante, se non si tenesse conto del sostanziale degrado nel quale i magistrati sono costretti ad amministrare giustizia, degrado agevolmente riscontrabile da qualunque cittadino che abbia necessità di recarsi nei palazzi di giustizia italiani per fruire in generale dei servizi giudiziari. Carenza e inadeguatezza di locali e di spazi agibili, mancanza di mezzi strumentali e di risorse materiali, non funzionale distribuzione degli uffici e delle risorse umane, carichi di lavoro sempre crescenti e non più sostenibili, criteri organizzativi insufficienti per far funzionare con speditezza l'apparato giudiziario, modelli e regole processuali inidonei ad assicurare la rapida definizione dei giudizi: sono tutte circostanze obiettive e reali che costituiscono altrettanti ostacoli alla qualità e alla tempestività dei provvedimenti giurisdizionali. Da qui l'esigenza di portare avanti una "vertenza giustizia", sulla scia di quanto deliberato dall'assemblea nazionale dell'Associazione magistrati, tenutasi a Roma il 26 novembre 2006, ma rimasto inattuato nei mesi successivi. Una vertenza che, nell'interesse dell'intera collettività e non dei soli magistrati, miri a creare più accettabili condizioni di lavoro, una più razionale organizzazione degli uffici e più spediti modelli processuali, ma che sia anche idonea a riaffermare la dignità della funzione giudiziaria e a rafforzare nei magistrati motivazioni, fiducia e orgoglio del proprio ruolo. In tale contesto, e in relazione al perseguimento di questo complessivo obiettivo finale, si è posto altresì il problema della definizione, per i magistrati ordinari, di un trattamento economico che, anche in considerazione dei maggiori oneri professionali imposti ai magistrati dalla riforma dell'ordinamento giudiziario, sia non solo commisurato alle funzioni svolte e alle responsabilità assunte, ma anche perequato con quello già goduto dalle altre magistrature e dalla dirigenza generale dell'amministrazione dello Stato.
Stefano Schirò Presidente di Magistratura indipendente "

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