mercoledì 10 giugno 2009

Il discorso del Presidente Napolitano al plenum del CSM 9-6-2009

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO ALLA SEDUTA DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
“Esperienze e problematiche collegate all’attuazione dei più recenti provvedimenti legislativi in materia di assetto degli uffici di Procura”
Roma, 9 giugno 2009
Signor Vice Presidente,Signori Consiglieri,a tutti voi il mio più cordiale saluto.
Ho, negli ultimi tempi, ritenuto di dover più volte ritornare sul tema degli equilibri costituzionali, come garanzia per il rispetto e l’affermazione dei principi fondamentali, per l’esercizio dei diritti e dei doveri, sanciti nella Carta, e come presidio di stabilità e di coesione per lo sviluppo della vita democratica. Ho ritenuto di dover dunque richiamare il senso dei limiti e degli equilibri entro i quali – nella moderna democrazia costituzionale – ogni istituzione rappresentativa, ogni potere e organo dello Stato può e deve svolgere il proprio ruolo.Si tratta di un discorso rivolto a tutti i soggetti istituzionali operanti sulla base della Carta vigente ; di un invito alla riflessione indirizzato in primo luogo al Parlamento, ma anche alla società civile, all’opinione pubblica, alle forze politiche.Gli equilibri tra le istituzioni possono, com’è evidente, modularsi variamente nell’ambito della forma di Stato e della forma di governo propria di ciascun paese : ma essi rappresentano un problema cruciale cui nessun sistema democratico può sfuggire.E dunque anche gli equilibri disegnati nella Costituzione del 1948 possono essere rimodulati attraverso quella revisione di norme della Seconda Parte della Costituzione, cui legittimamente e comprensibilmente si intende procedere e che appare finalmente realizzabile quanto più ampia sia la condivisione che si consegua in Parlamento.Quel che invece può produrre gravi danni e conseguenze sarebbe il tentativo di operare strappi negli attuali equilibri costituzionali senza definirne altri convincenti e accettabili, coerenti con i principi della Carta del 1948 e con fondamentali conquiste di libertà e di pluralismo, tra le quali, di certo, l’indipendenza della magistratura.A tutelare tale indipendenza chi vi parla è chiamato nella sua duplice veste di “custode” dei valori e dei precetti costituzionali in quanto Presidente della Repubblica, e di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Ma non posso, oggi qui, tacere alcuni dei motivi di preoccupazione che avverto nel farmi carico, come non ho mai mancato di fare, di questa responsabilità.Tra i maggiori motivi di preoccupazione vi è quello della crisi di fiducia insorta nel paese per effetto di un funzionamento gravemente insoddisfacente, nel suo complesso, dell’amministrazione della giustizia e per effetto anche dell’incrinarsi dell’immagine e del prestigio della magistratura. E non si può negare che tra i due fattori vi siano relazioni non superficiali. L’efficacia del controllo di legalità e della funzione giurisdizionale, in ultima istanza la garanzia di giustizia per i cittadini, risentono pesantemente di inadeguatezze di norme e di strutture, cui da troppo tempo governi e Parlamento, nel succedersi delle legislature, non hanno posto rimedio in modo ordinato e coerente, dedicandovi anche le necessarie risorse.Tuttavia, la magistratura non può non interrogarsi su sue corresponsabilità dinanzi al prodursi o all’aggravarsi delle insufficienze del sistema giustizia e anche su sue più specifiche responsabilità nel radicarsi di tensioni e opacità sul piano dei complessivi equilibri istituzionali. Tanto meno può non interrogarsi su quanto abbiano potuto e possano nuocere alla sua credibilità tensioni ricorrenti all’interno della stessa istituzione magistratura.Mi sono così avvicinato al tema concreto su cui desidero oggi richiamare la vostra attenzione. Il presupposto da cui parto è quello del doversi operare decisamente – anche nello svolgimento dell’attività del CSM – al fine di recuperare pienamente quel bene prezioso che è il prestigio della magistratura in termini di rinnovata fiducia e consapevole sostegno da parte dei cittadini. Non è forse questo il più valido presidio dell’indipendenza della magistratura? Non è forse questa una condizione essenziale per il graduale superamento della crisi della giustizia, essenziale non meno delle opportune riforme normative e organizzative?Nello stesso tempo, il presupposto da cui parto è che l’avvio di un’aperta, seria, non timorosa, riflessione critica da parte della magistratura su sé stessa, e la sua conseguente apertura alle necessarie autocorrezioni, siano il modo migliore per prevenire qualsiasi tentazione di sostanziale lesione dell’indipendenza della magistratura.Confido molto che sappiate a ciò predisporvi innanzitutto voi, in quanto rappresentanti dell’organo di autogoverno voluto dalla Costituzione. E tra i punti più delicati, nell’interesse della riaffermazione dello stesso ruolo del Consiglio Superiore, c’è quello del rigore e della misura, dell’obbiettività e imparzialità, con cui il Consiglio deve esercitare le sue funzioni : senza farsi, tra l’altro, condizionare nelle sue scelte da logiche di appartenenza correntizia. Il rispetto degli equilibri costituzionali e dei limiti che esso comporta per ciascuna istituzione vale per tutti, vale per tutte le istituzioni.E dunque anche nell’affrontare il tema complesso e spinoso dell’organizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero, occorre avere ben presente il quadro complessivo delle norme e degli equilibri posti nel Titolo IV della Costituzione ; a cominciare da quell’ancoraggio alle “norme dell’ordinamento giudiziario”, “stabilite con legge”, sancito negli articoli 105 e 108, e dal rapporto con l’attribuzione, nell’articolo 110, al Ministro della giustizia dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.Occorre nello stesso tempo avere di mira il superamento di elementi di disordine e di tensione - che si sono purtroppo clamorosamente manifestati in tempi recenti nella vita di talune Procure. E ciò non è possibile senza un pacato riconoscimento delle funzioni ordinatrici e coordinatrici che spettano al capo dell’Ufficio. A questo proposito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recentemente affermato che “la riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero ha costituito uno dei più significativi obiettivi della riforma dell’ordinamento giudiziario e che il vigente quadro normativo si caratterizza per l’accentuazione del ruolo di “capo” del procuratore della Repubblica e per la corrispondente parziale compressione dell’autonomia dei singoli magistrati dell’ufficio. Al fine di meglio assicurare le esigenze di efficienza, coordinamento, uniformità e ragionevole durata dell’azione investigativa” – proseguono sempre le Sezioni Unite – “al procuratore della Repubblica è affidato, tra l’altro, il potere-dovere di determinare i criteri generali di organizzazione della struttura e di assegnazione dei procedimenti, di stabilire i criteri cui il magistrato assegnatario deve attenersi nell’esercizio delle indagini conseguenti all’assegnazione del procedimento” di revocare l’assegnazione se vi è contrasto sulle modalità di esercizio delle attività di indagine o se non sono osservati i principi e i criteri di tale esercizio. Lo stesso Consiglio Superiore, nella sua risoluzione del 12 luglio 2007, ha condivisibilmente rilevato la opportunità che, nello svolgimento delle loro prerogative organizzative, i procuratori coinvolgano preventivamente tutti i magistrati dell’ufficio. Una gestione trasparente ed efficiente è in effetti assicurata dalla sinergia tra il “capo” e i suoi sostituti, purché non la si intenda in chiave di condizionamento delle potestà di organizzazione che spettano esclusivamente al primo.E’ chiaro che un corretto ed efficace sistema di rapporti all’interno delle Procure implica un livello elevato di professionalità e di cultura organizzativa, e una corrispondente assunzione di responsabilità, da parte dei capi degli uffici, su cui il CSM è chiamato a intervenire esercitando una funzione di stimolo e di vigilanza.La posizione del magistrato del pubblico ministero è assimilata a quella del giudice nell’affermazione costituzionale della indipendenza della magistratura da ogni altro potere. A differenza del giudice, però, le garanzie di indipendenza “interna” del pubblico ministero riguardano l’ufficio nel suo complesso e non il singolo magistrato e sono rimesse al legislatore ordinario attraverso le norme sull’ordinamento giudiziario, come anche la Corte costituzionale ha chiarito, ferma restando beninteso la piena autonomia del singolo nella gestione processuale.Invero, l’art. 7-ter comma 3, introdotto nell’ordinamento nel 1998 con il decreto legislativo n. 51, aveva consentito al Consiglio Superiore della Magistratura di determinare i criteri generali per la organizzazione degli uffici del pubblico ministero, riducendo sensibilmente i poteri dei dirigenti delle procure. Ma la riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 quale si è tradotta nel decreto legislativo del 20 febbraio – riforma che sul punto non è stata sottoposta a censure di illegittimità – ha espressamente abrogato l’art. 7-ter e, in tal modo, ha chiaramente differenziato lo status della indipendenza “interna” del sostituto rispetto a quello del giudice. I poteri di organizzazione dell’ufficio sono divenuti prerogativa del capo della Procura. Quindi, al Consiglio Superiore della Magistratura non è più dato approvare progetti organizzativi del tipo di quelli che operano per gli uffici giudicanti, prevedendo financo sanzioni incidenti professionalmente e disciplinarmente sui capi degli uffici. Ne potrebbe tra l’altro scaturire il rischio di defatiganti contenziosi amministrativi e, addirittura, di conflitti tra poteri.Non sono ovviamente in discussione né il potere-dovere del Consiglio di operare come centro di raccolta, diffusione e promozione di prassi virtuose adottate dai capi degli uffici – e ne sono state messe in atto di significative, pur tra difficoltà – né quello di interloquire in materia con i capi delle Procure e con il Ministro anche con riferimento alle risorse degli uffici. Ad esempio, sulla necessità di porre urgente rimedio alle difficoltà in cui questi versano, il Ministro è stato sensibilizzato con una importante e recente delibera del Consiglio che merita la più attenta riflessione. Egualmente, non sono in discussione le funzioni di controllo e garanzia istituzionale attribuite al Consiglio per assicurare che la indispensabile e naturale flessibilità da riconoscere ai progetti organizzativi non incida sui principi costituzionali posti a presidio dell’indipendente esercizio dell’attività giudiziaria.E’ necessario comunque evitare che il Consiglio assuma ruoli impropri dilatando, in via paranormativa, i propri spazi di intervento. Occorre altresì tenere conto del fatto che, con l’articolo 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006, sono stati accresciuti i poteri di sorveglianza dei procuratori generali presso le Corti di Appello e del procuratore generale della Cassazione. I primi debbono innanzitutto verificare il corretto esercizio dell’azione penale, il rispetto delle norme sul giusto processo, il puntuale espletamento – da parte dei procuratori – dei poteri di direzione, controllo e organizzazione; e poi, a seguito dell’acquisizione di dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto, riferirne al procuratore generale della Cassazione. Questi viene così investito della vigilanza sul complessivo andamento delle attività svolte da tutti gli uffici requirenti.Con il nuovo ruolo assegnato ai procuratori generali, il sistema ha apprestato un efficace rimedio interno all’ordinamento, che assume fondamentale importanza per evitare l’insorgere di contrasti e assicurarne il sollecito superamento. La esplicazione dei poteri di vigilanza non comporta controlli accentrati e autoritari. Come ha ricordato il procuratore generale della Cassazione alla cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario 2009, alle anomalie nella conduzione delle indagini, si può oggi porre rimedio non soltanto con l’intervento disciplinare – che si riferisce a un momento patologico del sistema – ma, in primo luogo, con l’attivazione di concrete e tempestive iniziative di sorveglianza e coordinamento : iniziative che, come è noto, sono già state adottate con successo in occasione di vicende che hanno destato clamore e sconcerto. Quando si parli di poteri dei capi degli uffici ci si imbatte nel timore, sempre risollevato da qualche parte, che possano riproporsi forme antiche di “gerarchizzazione”. Ma non è forse oggi prevalsa piuttosto la tendenza a una vera e propria “atomizzazione” nell’esercizio dell’azione penale? E quanto più ciascun pubblico ministero si esponga in iniziative di dubbia sostenibilità, ignorando o condizionando il ruolo che spetta al capo della Procura, tanto più la figura del Pubblico Ministero finisce per non poter reggere ad attacchi dall’esterno della magistratura.Così come non può che risultare altamente dannoso per la figura del Pubblico Ministero qualunque comportamento impropriamente protagonistico o chiaramente strumentale ad altri fini, che già ebbi a stigmatizzare in questa sede oltre un anno fa. Peraltro, mi corre l’obbligo di notare come anche a questo proposito il CSM abbia negli ultimi tempi lodevolmente esercitato in modo più intenso l’azione disciplinare, per quanto ad alcune sue decisioni siano seguite reazioni inammissibili.Infine, a distanza di oltre tre anni dall’entrata in vigore della nuova disciplina ordinamentale, mi sembra quanto mai opportuno che, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e con unità di intenti, il Consiglio Superiore della Magistratura, il Ministro e i vertici degli uffici requirenti intensifichino momenti di interlocuzione con i capi delle Procure seguendo l’evolversi delle loro prassi e assecondando l’adozione di modelli che prevengano i contrasti, rispettino i principi costituzionali posti a base dell’esercizio dell’attività giudiziaria e agevolino la migliore allocazione delle risorse. Solo la effettiva cooperazione tra i soggetti a vario titolo responsabili della efficienza del sistema giustizia può consentire il superamento delle attuali difficoltà e il sereno, autonomo e indipendente svolgimento di una funzione posta all’esclusivo servizio del cittadino.Sono convinto che a tal fine il CSM non farà mancare il suo insostituibile apporto

mercoledì 20 maggio 2009

PM Eletti ? Tra luoghi comuni e frasi fatte ..come funziona davvero la giustizia in USA ,un articolo di Lawrence Friedman

Vi segnaliamo un interessante saggio di Lawrence Friedman su come funziona davvero il sistema USA
http://www.agliincrocideiventi.it/?s=Friedman
Più mito che realtà ..e siamo sicuri che i costi (in termini di credibilità complessiva e trasparenza) non siano molto superiori ai benefici ?
E' una riflessione che occorre e che è meglio di tante "premesse" che hanno solo il sapore del pregiudizio . A proposito ,date un'occhiata alle statistiche ...
La redazione

The common-law system is inherently messy
Lawrence M. Friedman
Il sistema giudiziario americano è diviso in tre parti. La prima divisione riguarda quella fra sistema giudiziario federale e statale.Il primo si occupa, con molte duplicazioni e sovrapposizioni, di reati federali (droga, immigrazione illegale, frode postale, uccisione del presidente, ecc.), o commessi in territorio federale (riserve indiane, aeroporti internazionali, ecc.), delle bankruptcy court, delle cause che riguardano le agenzie federali e degli habeas corpus capitali.Alla base ci sono le 94 US District Courts (almeno una per stato) e ogni stato è all’interno di uno degli 11 Circuiti federali, più due a Washington DC. I casi giudiziari trattati sono 250.000 all’anno.Sopra le district courts ci sono le 13 US Circuit Courts of Appeals (che sono courts of law) (70.000 casi). Molto raramente accade che un caso, già deciso dal panel di tre giudici tipico delle corti d’appello, sia riascoltato En Banc: cioè da tutti i giudici.Sopra tutti (anche alle corti supreme statali) si erge la Corte Suprema degli Stati Uniti, composta dal Chief Justice e da otto Associated Justice.Riceve 7-8.000 richieste di certiorari l’anno, ma se la cava con 60-70 sentenze (il cosiddetto otto per mille della corte suprema). Occorre il voto di quattro giudici per consentire a un caso di essere ascoltato e quello di cinque per fermare un’esecuzione. (rule of four, rule of five).I giudici federali sono nominati a vita dal Presidente, previo consenso del Senato, dove vige la tradizione del “Senatorial courtesy”. In altre parole, se il nominato non piace ai senatori del circuito in cui deve operare, il Senato non ne accetta la nomina. Famoso il caso del giudice (nero) White la cui nomina fu bloccata dall’allora senatore Ashcroft che lo accusava di essere pro-crime.Fra giudici in attività, in semi ritiro e “magistrates” consta di circa 2.000 persone. I DA federali (nominati e revocati come il GA federale dal Prez) sono 93 perché Guam è unito alle Marianne.
Il grosso del lavoro giudiziario (federalization of crimes a parte) lo fanno ovviamente gli stati.Ogni stato ha il suo proprio Codice Penale e le sue leggi (revised statutes), il suo Codice di Procedura Penale e le sentenze dalle sue Corti. Ogni stato ha una Corte Suprema (ce l’hanno anche i Navajos), con Texas e Oklahoma che ne hanno due (una per i casi civili e una per i penali) A New York e in Maryland la corte suprema si chiama Court of Appeals mentre la New York Supreme Court è una normalissima corte di giustizia.
Il sistema statale è a sua volta nettamente diviso in due livelli.In basso le 13.500 Trial Courts of Limited Jurisdiction. Denominate anche Lower Courts sono courts not of record e perciò, non tenendo un verbale delle udienze, nella rara occorrenza che il caso arrivi in appello, bisogna fare il processo “de novo”. A seconda dello stato (giurisdizione) hanno i nomi più diversi: municipal court, mayor court, police court, city court, circuit court, district court, magistrate court, court of common pleas, justice of the peace court, ma in ogni caso i loro sono summary trial e bench trial (senza l’impiccio di una giuria) o con solo sei giurati.I giudici di queste corti non necessitano di una formazione giuridica e, come accade nelle Town e Village Courts dello stato di New York, spesso non sono nemmeno diplomati.Si occupano di misdemeanours (reati per cui è prevista una pena massima di un anno) e di piccole cause civili e lo fanno con grande rapidità e efficienza (pochi minuti), anche grazie al fatto che la presenza di un avvocato non è normalmente prevista e spesso nemmeno consentita. Gestiscono 90 milioni di casi all’anno.Il District Attorney normalmente non si occupa di quello che accade in queste corti, dove è la polizia a portare i sospetti davanti al giudice. Con la crisi attuale il disinteresse delle Procure sta aumentando, tanto che molti felonies finiscono con l’essere trattati come misdemeanours nelle lower courts.
L’altro livello di giustizia statale assomiglia al nostro, ma in america il patteggiamento è la regola e il processo l’eccezioneCi sono 3.000 Trial Courts of General Jurisdiction (chiamate district courts o circuit courts), le corti d’appello (ma non sempre) e la court of last resort.Le corti sono gestite da giudici veri, tengono il verbale delle udienze e si occupano di felonies (reati con pene superiori all’anno) e cause civili, ma possono essere anche corti specializzate come le drug courts, che invece che spedire la gente in galera la mandano in trattamento.Una dozzina di stati non ha le corti d’appello (two tier system) e gli appelli finiscono direttamente alla locale corte suprema. Gli altri (three tier system) le hanno, ma le usano poco.L’appello non è infatti un diritto costituzionale e solo i condannati a morte hanno una revisione automatica del giudizio. Tutti gli altri possono solo sperare di rientrare in quel numero decisamente piccolo di casi in cui una corte d’appello prende in considerazione la richiesta di certiorari. L’appello può essere chiesto per due motivi: la condanna è sproporzionata o nel processo di merito vi sono state grave e numerose violazioni costituzionali. Non consiste nel rifacimento nemmeno parziale del dibattimento, ma nella revisione formale del verbale. Tocca al condannato dimostrare che vi sono stati errori così gravi e numerosi da costringere all’annullamento del processo. In un caso capitale le due ragioni coincidono, ma può essere annullata solo la sentenza, mantenendo valido il verdetto di colpevolezza.
Paradossalmente né il verdetto capitale, né la sentenza di morte richiedono particolari spiegazioni, mentre sentenze più lievi devono essere, a volte, laboriosamente motivate per far capire, nell’intricata tabella delle senteching guidelines, come ha ragionato il giudice nell’imporre, in un caso di acquitted conduct sentencing enhancement, sessanta mesi invece dei sei previsti.
L’appello, civile o penale, può diventare una messa cantata pluridecennale.
Sia per l’American Rule (nelle cause civili chi perde non paga mai la parcella dell’avvocato del vincitore), sia perché la prescrizione si interrompe con l’inizio del procedimento penale. C’è gente che sta da trent’anni nel braccio della morte e Wilebrt Rideau è stato processato per la quarta volta a quasi mezzo secolo dal delitto.
Nel 2004, su 45 milioni e duecentomila procedimenti giudiziari civili, penali, juveniles, family courts, ecc. ma senza le traffic courts, i casi in appello erano 273 mila.
Da sfatare è il mito delle carriere differenziate.I giudici americani sono quasi tutti ex procuratori e gli avvocati passano con assoluta indifferenza dalla libera professione al lavoro (anche a tempo determinato) per la Procura e viceversa. I DA sono eletti (ma non in Alaska, Connecticut, New Jersey e Washington DC.) e considerano questa carica una tappa in una carriera politica che spesso li porta ad essere GA, Sindaci, Senatori, ecc. Alcuni, come il District Attorney di Manhattan Morgentau, sono praticamente inamovibili, tanto da meritare l’appellativo di District Eternity, ma la gran parte dei politici americani ha l’abitudine di morire in carica, (però devono passare sotto le forche caudine delle primarie).Altri miti da sfatare sono quelli della responsabilità civile di giudici e procuratori, della inesistenza di ritenute fiscali sulla busta paga e del basso numero degli impiegati statali: il solo sistema giudiziario penale ne impiega 2,5 milioni.
I giudici dovrebbero essere circa 30.000 (più i court commissioner)In una dozzina di stati sono nominati (normalmente dal Governatore).In una ventina sono prima selezionati da una commissione e poi nominati e solo dopo un paio d’anni sottoposti a una verifica elettorale, at large, nella quale devono ottenere più voti positivi che negativi.Nei restanti stati sono eletti. In alcuni con elezioni partisan dove i candidati sono apertamente sostenuti da un partito. Di recente ci sono state roventi polemiche per i finanziamenti elettorali forniti da società che poi si troveranno in giudizio davanti ai giudici finanziati.Da tempo è invalso l’uso da parte di giudici vicini alla fine del mandato e decisi a non ricandidarsi, di dimettersi qualche mese prima della normale scadenza, in modo che il Governatore, nell’impossibilità di indire le normali primarie ed elezioni, nomini un sostituto di suo gradimento. Questo terrà il posto di giudice (acting, substitute) per un paio d’anni fino al normale election day, quando si presenterà come incumbent.I giudici restano in carica parecchi anni, mentre i DA normalmente 4.
Gli elettori normalmente confermano i giudici in carica, ma è accaduto, a Rose Bird in California e a Penny White in Tennessee, di essere cacciate dalle rispettive corti supreme grazie alle violente campagne denigratorie organizzate dai governatori che esigevano una servile conferma delle sentenze di morte
Meglio comunque non mitizzare il sistema elettorale americano in cui non sono poche le elezioni uncontested, dove si presenta un solo candidato perché nessuno ha voglia di spendere un sacco di soldi per farsi massacrare dall’incumbent. Secondo il Washington Post (07/11/2003) nelle elezioni della Camera del 2002 ben 78 seggi su 435 erano uncontested, mentre, nel 2003, lo erano 89 dei 140 seggi della Camera della Virginia.
I DA hanno nomi diversi a seconda dello stato (Commonwealth’s Attorney, State’s Attorney, County Attorney, County Prosecutor) e sono il motore di tutto il sistema processuale. Sono loro che decidono se incriminare o lasciar perdere, se scambiare una testimonianza con l’impunità, se patteggiare o andare al processo e con quanti e quali capi d’imputazione. I loro 2.341 uffici coprono una o più contee e impiegano 79.000 persone di cui 27.000 sono normali avvocati (Assistant DA) .Ogni anno fanno condannare 1.200.000 felons, di cui la metà va in prigione.
Bibliografia
Articoli del New York Times riguardanti i finanziamenti delle campagne elettorali dei giudici
Campaign Cash Mirrors a High Court’s Rulings, October 1, 2006
The Selling of the Judiciary: Campaign Cash ‘in the Courtroom’, April 15, 2008
West Virginia’s Top Judge Loses His Re-election Bid, May 15, 2008
Rendering Justice, With One Eye on Re-Election, May 25, 2008
ABAJudicial Selection Methods In The States [PDF]
BJSState court Organization, 1987-2004. october 2007
Bohm RobertA concise Introduction to Criminal Justice. Boston, Mc Grow Hill, 2007
Broken BenchNew York Times September 25, 2006
Davis Angela J.The Power and Discretion of the American Prosecutor [PDF]
Friedman LawrenceCrime and Punishment in American History, New York, Basic Books, 1993.American Law. An Introduction. Revise and Updated Edition. New York. .Norton 1998Law in America. A Short History New York, Modern Library, 2002
Schmalleger FrankCriminal Justice Today. An Introductio. 9th edition. NJ, Prentice Hall, 2008

venerdì 27 marzo 2009

Il testo della risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sulla giustizia italiana

Trad. di A.Morgigni nella ML di MI

RISOLUZIONE INTERLOCUTORIA CM/RESDH(2009)
42Esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo concernenti l'eccessiva durata dei procedimenti giudiziari in Italia: I progressi raggiunti e le questioni in sospeso nel contesto di misure di carattere generale per garantire il rispetto delle sentenze della Corte europea dei diritti umani...Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa...Esaminate le informazioni trasmesse dalle autorità italiane sulle misure adottate1) Procedimento penale e civile:Nonostante le misure adottate, le statistiche per gli anni 2006-2007 mostrano ancora un aumento della durata dei procedimenti, in particolare, davanti ad alcune giurisdizioni (giudici di pace e corti d'appello), nonché un sostanziale arretrato in campo civile e penale (approssimativamente di circa 5,5 milioni di cause civili pendenti e di circa 3,2 milioni di procedimenti penali pendenti), e che, pertanto, deve essere trovata una soluzione definitiva al problema strutturale della lunghezza del procedimento.Si prende atto con interesse dei progressi realizzati attraverso le misure finora adottate in materia, in particolare: - Decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito in legge n. 133 del 6 agosto 2008, che ha introdotto modifiche volte a realizzare una significativa riduzione, in cause civili in cui il comportamento dei contendenti ritardi del procedimento; - Decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 125 del 24 luglio 2008, che ha modificato il codice di procedura penale, al fine di accelerare e razionalizzare il procedimento penale; Le riforme adottate, tuttavia, mostreranno i loro risultati solo a medio termine. A tale proposito si richiama, anche in questo senso, il progetto di legge (AS 1082), attualmente pendente dinanzi al Parlamento, che mira specificamente ad accelerare la trasformazione di cause civili da riformare sostanzialmente la procedura civile con la strategia di ridurre il numero di processi; accelerare la trattazione dei processi e sviluppare l'uso di modi alternativi di risoluzione delle controversie.In diverse sentenze riguardanti i rimedi contro l'eccessiva durata del procedimento (legge n. 89/2001, c. d. Legge Pinto), la Corte europea ha ritenuto che il ritardo nel pagamento di un risarcimento alla ricorrente non fornisce adeguate forme di tutela e ha ritenuto che i ricorrenti hanno continuato ad essere vittima di una violazione del principio di "ragionevole durata dei procedimenti". I dati statistici forniti dal governo italiano mostrano, peraltro, un aumento della durata dei procedimenti dinanzi ai giudici di appello competente a trattare con la "legge Pinto" ricorsi.Il Comitato, pertanto
INVITA
le autorità italiane a proseguire attivamente i loro sforzi per garantire la rapida adozione delle misure già previste per i procedimenti civili, a prevedere e ad adottare con urgenza misure "ad hoc" per ridurre l'arretrato, civile e penale, dando priorità ai casi pendenti da più tempo ed ai casi che richiedono particolare diligenza, per fornire le risorse necessarie per garantire l'attuazione di tutte le riforme, e di proseguire l'esame di qualsiasi altra misura per migliorare l'efficienza della giustizia;
INCORAGGIA
le autorità a continuare ad attuare le attività di sensibilizzazione tra i giudici per accompagnare l'attuazione delle riforme;
INVITA
le autorità a stabilire un calendario previsto per i risultati a medio termine, al fine di valutare come procedere nelle riforme, e di adottare un metodo per l'analisi di questi risultati, al fine di apportare le necessarie rettifiche, se necessario;
INCORAGGIA
vivamente le autorità a prendere in considerazione modifiche della legge n. 89/2001 (la legge Pinto), in vista della creazione di un sistema finanziario per risolvere i problemi di ritardo nel pagamento dell'indennizzo riconosciuto, per semplificare la procedura e per estendere il campo di applicazione del rimedio prevedendo provvedimenti ordinatori per accelerare il procedimento.2) Il processo amministrativo Vanno riconosciuti i progressi realizzati a seguito della riforma per accelerare il processo amministrativo (legge n. 205 del 21 luglio 2000), che ha iniziato ad avere un effetto concreto sulla durata di tale procedimento. Si deve tenere conto del fatto che il vero problema dei tribunali amministrativi è l'arretrato, che nel 2007 ammontava a 640.000 casi pendenti in primo grado e 21.000 casi pendenti in appello. Al fine di ridurre l'arretrato, sono state adottate misure specifiche, come ad esempio :- Legge n. 133 del 6 agosto 2008 che, tra l'altro, ha diminuito il tempo limite per dichiarare estinto un processo amministrativo da 10 a 5 anni, salvo che le parti non chiedano al giudice una data di udienza, e - La più ampia applicazione delle tecnologie dell'informazione (Nuovo Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa), che dovrebbe rendere più facile identificare i tempi di estinzione del procedimento; Verranno adottate, inoltre, altre misure in materia (in particolare, la creazione di sezioni speciali provvisorie); Il Comitato, pertanto
INCORAGGIA
le autorità italiane a continuare con le loro iniziative: - Per misurare con precisione il ritardo nella definizione nei processi amministrativi; - Per adottare tutte le misure previste per ridurre ulteriormente l'arretrato;- E per valutare l'impatto sul bilancio di ogni misura adottata. 3) La procedura fallimentareE' stata introdotta una riforma con legge n. 80 del 14 maggio 2005 e con decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006, sulla procedura fallimentare, che mirano, tra l'altro, ad accelerare le procedure e semplificando le diverse fasi procedurali. Sulla base delle statistiche fornite dal governo, in numeri assoluti, le istanze di fallimento presentate, come pure le dichiarazioni di fallimento, sono diminuite di circa il 40% nel 2007, (cioè dopo l'entrata in vigore della riforma). Sebbene la rapida definizione dei procedimenti desti ancora preoccupazione, la riforma ha contribuito a ridurre notevolmente le fasi di revisione e di controllo dei crediti, ora raggruppate in un'unica udienza.Nonostantre le preoccupazioni sulla durata della procedura fallimentare, la riforma non è stata ancora pienamente utilizzata perché essa si applica solo ai procedimenti introdotti dopo la sua entrata in vigore e le statistiche sono disponibili solo fino al 2007. La lunghezza in giorni del procedimento fallimentare è rimasta stabile, anche nel 2007, circa un media 2003-2007 di 3300 giorni (vale a dire circa 9 anni). I procedimenti pendenti prima dell'entrata in vigore della riforma, ai quali la riforma non si applica, continuano pertanto ad essere colpiti da questa eccessiva durata.Il Comitato, pertanto
INVITA
le autorità italiane a proseguire nei loro sforzi per garantire che la riforma della procedura fallimentare contribuisca pienamente alla accelerazione dei processi fallimentari, per valutare gli effetti della riforma, e ad intervenire al fine di adottare eventuali ulteriori misure necessarie per garantire l'efficacia del processo fallimentare nonché a prendere tutte le misure necessarie per accelerare i procedimenti pendenti ai quali la riforma non si applica. 4) Le misure per migliorare l'efficienza del sistema giudiziario Sono state adottate misure volte a migliorare la struttura organizzativa del sistema giudiziario (Decreto-legge n. 143 del 16 settembre 2008, l'aumento del numero di magistrati ordinari, e di procedure disciplinari nei confronti di magistrati), così come il fatto che entro l'attuale quadro giuridico, alcuni tribunali di diverse parti del paese hanno già raggiunto ottimi risultati in termini di riduzione dei ritardi e accelerare le procedure, migliorando la loro organizzazione e la gestione del lavoro. Il ministero della giustizia sta continuando i suoi sforzi per sviluppare l'applicazione delle tecnologie di informatizzazione in tutti gli uffici giudiziari, in particolare mediante l'introduzione del processo civile elettronico (Processo civile telematico).Il Comitato
INVITA
le autorità a garantire la diffusione di queste buone pratiche anche ad altri tribunali, ad estendere qualsiasi misura organizzativa adottata, diffondendo l'utilizzazione delle tecnologie informatiche per tutte le giurisdizioni, e ad adottare ulteriori misure per rendere ancor più responsabile ed efficace il comportamento di tutti gli operatori nell'ambito del sistema giudiziario. In considerazione di quanto sopra, il Comitato dei Ministri
DECIDE
di riprendere in considerazione dei progressi compiuti, al più tardi: - alla fine del 2009 per i procedimenti amministrativi, al fine di considerare la possibilità di chiudere l'esame dei casi in questione; - alla metà del 2010 per i processi civili, penali, e la procedura fallimentare;
INVITAle autorità italiane a mantenere il Comitato dei Ministri informato di tutti gli sviluppi al fine di garantire un costante monitoraggio dei progressi, se necessario, attraverso incontri bilaterali tra le autorità e il Segretariato.

martedì 24 marzo 2009

Scompare Bruno Fabi Magistrato e filosofo

http://ilrestodelcarlino.ilsole24ore.com/macerata/2009/03/24/160344-morto_filosofo_bruno_fabi.shtml

Aveva 92 anni. Fu anche sostituto procuratore generale in Cassazione. Allievo del filosofo Ugo Spirito, Fabi è l’autore del saggio «Il tutto e il nulla», pubblicato nel 1952. I funerali oggi nella cattedrale camerinense
Camerino, 24 marzo 2009 - Nella sua abitazione di via Betti è morto Bruno Fabi, 92 anni, già sostituto procuratore generale in Cassazione. Letterato e filosofo, ha pubblicato saggi, liriche e racconti. Allievo del filosofo Ugo Spirito, Fabi è l’autore del saggio «Il tutto e il nulla», pubblicato nel 1952, con la prefazione del suo maestro. Di recente aveva scritto 'Delirium - Diario d’inganno', un romanzo breve sospeso fra la realtà cosmica e la realtà dell’uomo.

Laureato in giurisprudenza all’Università di Camerino, dove poi ha anche insegnato come professore di diritto romano, Fabi è stato a lungo magistrato, ricoprendo la carica di avvocato generale dello Stato e andando in pensione come procuratore generale onorario della Corte Suprema di Cassazione. Aveva ricevuto il titolo onorifico di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica.

Con l’opera filosofica 'Il tutto e il nulla', Fabi ha cercato di capovolgere l’assunto hegeliano, dimostrando che tutto ciò che è reale è irrazionale e tutto che è irrazionale è reale. Fabi ha influenzato a livello internazionale una parte del pensiero contemporaneo, indirizzando anche molta produzione letteraria che al suo sistema si ispira. Dal suo saggio è nato anche il 'Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico', allo scopo di divulgare sul piano filosofico-artistico-culturale la filosofia dell’irrazionale e il motto del suo fondatore che recta 'Tutto ciò che è reale è irrazionale'.

Bruno Fabi era membro dell’associazione Eugius, costituita da 151 scrittori-giudici (tra cui Ugo Betti) allo scopo di costruire una nuova società basata sull’umanesimo artistico e sulla solidarietà umana. I funerali oggi alle 14.30 nella cattedrale di Camerino.

giovedì 19 febbraio 2009

Spagna, i magistrati contro il governo Zapatero

Storico sciopero dei magistrati in Spagna contro il governo del premier socialista Josè Luis Zapatero: oltre la metà dei 4.400 togati iberici per la prima volta si sono astenuti dal lavoro.
Motivo dello sciopero chiedere una profonda riforma e la modernizzazione del sistema giudiziario del Paese, sempre più lento e inefficace.La protesta dei magistrati, definita «senza base legale» dal Consiglio generale del potere giudiziario (Cgpj, il Csm spagnolo), in quanto i giudici costituiscono un potere dello Stato, ha teso ulteriormente i rapporti fra governo socialista e opposizione già avvelenati dall'inchiesta del giudice Baltasar Garzon su una presunta tangentopoli a Madrid e Valencia che coinvolgerebbe ambienti del Partido Popular.
Il leader del Pp Mariano Rajoy ha chiesto in parlamento le dimissioni di Bermejo - cui Zapatero ha confermato l'appoggio -, che ha seccamente respinto la richiesta di dimissioni del Pp, che lo vede responsabile anche del degrado e della lentezza del sistema giudiziario, con gli attuali 2,5 milioni di procedimenti non risolti. La tensione fra governo e opposizione sta tornando sulla giustizia a livelli di scontro dimenticati dalle politiche del marzo 2008.
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Una postillina : ovviamente siamo in piena sintonia con i colleghi spagnoli ,ma all'ANM non fischiano un pò le orecchie ? O è meglio una bella puntata di Annozero o Ballarò ?

giovedì 5 febbraio 2009

l'ANM sulle intercettazioni : così di fatto le intercettazioni sono eliminate

Associazione Nazionale Magistrati


L’ANM SUGLI EMENDAMENTI DEL GOVERNO SULLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

L’Associazione Nazionale Magistrati esprime netta contrarietà alle proposte di modifica presentate dal Governo in materia di intercettazioni e ribadisce le osservazioni formulate nei suoi precedenti documenti sul disegno di legge.

Le radicali modifiche proposte vanificano di fatto, per la quasi totalità dei reati, la possibilità di utilizzare un fondamentale e insostituibile strumento di indagine.

Il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza”, che presuppone un quadro probatorio identico a quello necessario per le misure cautelari personali, snatura l’istituto e lo trasforma da mezzo di ricerca della prova a strumento praticamente inutile. In sostanza non sarà più possibile utilizzare le intercettazioni per la ricerca e la individuazione dei colpevoli di gravi reati, ma solo per acquisire elementi di conferma di una responsabilità già individuata con un grado di probabilità che potrebbe giustificare, addirittura, la custodia cautelare.

Nei procedimenti contro ignoti, quelli nei quali lo strumento delle investigazioni tecniche si è spesso rivelato decisivo, l’unica intercettazione possibile sarà quella dell’utenza della persona offesa e solo con il consenso di quest’ultima.

La durata massima delle intercettazioni fissata in soli 45 giorni, eccezionalmente prorogabili fino a 60, è irragionevole. La inderogabile interruzione delle intercettazioni alla scadenza di un termine così ridotto, anche quando in ipotesi l’attività criminale sia ancora in corso di esecuzione, non ha alcuna giustificazione logica.

Del tutto irrazionale è anche la completa equiparazione, sul piano dei requisiti, tra le intercettazioni telefoniche e la acquisizione dei tabulati delle comunicazioni o l’effettuazione delle riprese visive in luoghi pubblici.

Si tratta, come è noto, di strumenti di indagine di grande utilità investigativa, ma che non possono essere parificati alle intercettazioni, in quanto la loro invasività nella sfera privata delle persone è decisamente inferiore. E’ paradossale che un privato possa effettuare, in ogni caso e senza limiti, riprese visive in locali pubblici, come banche, uffici postali o esercizi commerciali, mentre le forze dell’ordine e la magistratura potranno farlo solo quando l’autore del fatto è già stato individuato e per soli sessanta giorni.

Tali disposizioni varrebbero anche per le indagini di criminalità organizzata e terrorismo, con il paradossale effetto di prevedere, per questi reati, requisiti più stringenti per l’acquisizione di un tabulato di quelli richiesti per un’intercettazione.

L’Associazione Nazionale Magistrati ribadisce che la limitazione delle intercettazioni ambientali ai luoghi nei quali “vi è fondato motivo di ritenere” che “si stia svolgendo l’attività criminosa”, per tutti i reati e persino per i delitti di criminalità organizzata e terrorismo, rischia di arrecare un danno irreparabile all’attività di contrasto alle organizzazioni criminali da parte delle forze dell’ordine e della magistratura.

Infine, attribuire al tribunale con sede nel capoluogo del distretto e in composizione collegiale, non soltanto la competenza per autorizzare le attività di intercettazione, ma anche quella per la convalida dei provvedimenti di urgenza, le proroghe, l’autorizzazione ad acquisire i tabulati, rischia di creare insuperabili problemi organizzativi, in assenza di qualsiasi intervento sulla geografia giudiziaria, pure sollecitato più volte dalla ANM.

Roma, 4 febbraio 2009

mercoledì 4 febbraio 2009

Caselli su La Stampa " Se si conosce il colpevole a che servono più le intercettazioni?"

Se si conosce il colpevole a che serve intercettare?

GIAN CARLO CASELLI*
Molto si è scritto sul tema delle intercettazioni. In particolare sugli emendamenti del governo al progetto di legge ancora in discussione. Si sa, quindi, che mentre per mafia e terrorismo le intercettazioni richiederanno «sufficienti indizi di reato», per tutti gli altri delitti (dalla rapina all’omicidio, dal traffico di droga allo stupro, dalla corruzione all’aggiotaggio) occorreranno «gravi indizi di colpevolezza»: si potranno disporre intercettazioni solo se saranno già accertati i colpevoli. Ma se si conoscono i colpevoli, manca l’altro requisito richiesto dagli emendamenti (l’intercettazione è data «quando è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini»), per cui l’intercettazione non sarà mai data. Escluso il perimetro mafia-terrorismo, bloccando le intercettazioni in tutti gli altri casi, si sacrifica la sicurezza dei cittadini, la possibilità stessa di difenderli efficacemente dalle aggressioni d’ogni sorta di pericolosa delinquenza. Conviene?Ma c’è un altro punto degli emendamenti governativi di cui meno si è parlato, mentre presenta anch’esso profili d’incongruenza: la disposizione relativa ai procedimenti contro ignoti, per i quali l’intercettazione dev’essere richiesta «dalla persona offesa, sulle utenze o nei luoghi nella disponibilità della stessa, al solo fine di identificare l’autore del reato». Prendiamo un caso tipico, il sequestro di persona a scopo di estorsione. Il sequestrato non potrà chiedere l’intercettazione del suo telefono; semmai lo potranno fare i familiari. Ma questi, per tutelare l’integrità del loro caro, potrebbero avere interesse a vedersela direttamente coi sequestratori con una trattativa privata, baipassando la polizia e la magistratura (soprattutto nei casi «di sequestri mordi e fuggi»). In tal modo sarebbe rimessa alla discrezionalità di un privato, scosso dal delitto che ha colpito la famiglia, la difficile scelta se mettere o no sotto controllo i suoi telefoni, che all’inizio dell’indagine sono di solito l’unica strada per non brancolare nel buio. Anche le estorsioni danno quasi sempre vita, all’inizio, a procedimenti contro ignoti (pensiamo all’incendio doloso d’un negozio o cantiere, presumibile opera di un racket, che spesso non è mafia). La vittima, specie quella (statisticamente frequente) che fa di tutto per escludere ogni riferibilità a estorsioni, si guarderà bene dal chiedere che il suo telefono sia messo sotto controllo. Magari perché bloccato dalla paura degli estortori (che conosce o intuisce chi possano essere). Di nuovo: una scelta difficile, che potrebbe aprire l’unica via possibile all’accertamento della verità, rimessa a un privato. Mentre ci sono in giro gruppi di balordi o bande che praticano estorsioni e sequestri, delinquenti che occorre neutralizzare nell’interesse della sicurezza generale, oltre che dei singoli soggetti coinvolti (facilmente ricattabili dai delinquenti con minacce di ritorsioni in caso di collaborazione con le autorità). Può poi accadere che si sospetti qualcosa che porta all’ambiente di lavoro del sequestrato o dell’estorto (tipico il caso del dipendente infedele «basista»), ma senza la richiesta della vittima niente intercettazioni «nei luoghi di sua disponibilità». Non credo di esagerare dicendo che tanti gravi delitti potranno essere di fatto agevolati. Muovere in questa direzione, con il tanto parlare che si fa di sicurezza e tolleranza zero, mi sembra a dir poco paradossale.*procuratore capo di Torino

martedì 3 febbraio 2009

La riforma delle intercettazioni (e i molti punti critici)

Segnaliamo le puntuali osservazioni di Aldo Morgigni :

1) il reinserimento dell'attuale soglia di punibilità (5 anni di reclusione) per l'autorizzazione, ma con competenza del tribunale collegiale distrettuale in materia di intercettazioni comprese le proroghe entro 24 ore (perché il PM può inoltrare il decreto urgente fino a 24 ore dalla sua emissione); si tratta del primo atto collegiale da emettere in termini così ristretti e richiederà una probabile riorganizzazione totale dei tribunali distrettuali, che devono motivare il decreto contestualmente; ovviamente non è ammessa l'integrazione successiva del decreto e (ma chi ci aveva mai pensato?) la sua sostituzione!;
2) l'obbligo di inviare tutti gli atti al tribunale, con conseguente blocco dell'attività di indagine fino alla decisione (per la quale non sono previsti termini) sulla richiesta di autorizzazione alle intercettazioni;
3) la famigerata necessità di "gravi indizi di colpevolezza", con la conseguenza che non è chiaro perché il PM non chieda direttamente la misura cautelare, posto che quando vi sono gravi indizi di colpevolezza le indagini di solito sono complete;
4) la benevola concessione che per, i reati contro ignoti, le intercettazioni si facciano con "gravi indizi di reato" ma solo a richiesta della persona offesa e solo sulle sue utenze; il che agevolerà le indagini soprattutto se la persona offesa è morta in conseguenza del reato e gli assassini conversano del delitto tra di loro;
5) l'impossibilità di utilizzare per le proroghe delle intercettazioni i risultati di quelle precedenti; anche se in una delle conversazioni l'autore del delitto confessa e preannuncia che in successiva conversazione (magari quando le intercettazioni sono scadute) indicherà le generalità complete dei complici;
6) la creazione centri distrettuali di intercettazione e punti di ascolto circondariali (senza che venga previsto un euro di fondi per le necessarie ristrutturazioni delle attuali sale di ascolto e per l'interconnessione);
7) il divieto per i difensori di chiedere copia dei supporti e dei verbali delle intercettazioni; con la conseguente necessità di prevedere sale di ascolto per gli avvocati, che dovranno annotare a mano il contenuto delle intercettazioni;
8) l'obbligatoria ed immediata necessità di un udienza-stralcio davanti al "tribunale"; non è chiaro se sia quello distrettuale o circondariale, in composizione monocratica o collegiale, ma questo poco importa al legislatore;
9) il divieto di allegare DVD con le registrazioni ed i brogliacci al fascicolo di indagine (si suppone che debbano esserci solo le trascrizioni disposte dal PM ma ciò non è detto);
10) la possibilità di trascrivere con perizia le registrazioni solo "se necessario per la decisione da assumere" (in effetti basterebbe sentire con il pc portatile il DVD, ma non è chiaro se il DVD debba o possa essere allegato al fascicolo per il dibattimento);
11) l'inutilizzabilità delle intercettazioni se cambia la qualificazione giuridica del fatto (ad esempio si passa da furto aggravato a truffa); la possibilità di utilizzarle in altri procedimenti per i reati di mafia, terrorismo e criminalità organizzata o violenta (407 c. 2 lett. a c.p.p.) e non più per i delitti di cui all'art. 380 c.p. (ovviamente si tratta di un minor numero di delitti);
12) la registrazione e ripresa dei dibattimenti sono sempre vietate senza il consenso delle parti;
13) le sanzioni penali e disciplinari per la pubblicazione di atti del processo e violazione del segreto investigativo sono rafforzate ed è prevista anche la responsabilità amministrativa da reato dell'editore;seguono una serie di disposizioni varie:
14) violazione di domicilio non solo per i luoghi di privata dimora ma per tutti i "luoghi privati";
15) arresto obbligatorio in flagranza anche per le associazioni per delinquere finalizzate a commettere i furti;
16) un mini codice di diritto ecclesiastico sugli avvisi da dare in caso di procedimenti o misure cautelari a ministri del culto cattolico; ovviamente non a quelli del culto ebraico, valdese, musulmano etc.;

DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Modifiche agli articoli 36 e 53 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 36, comma 1, del codice di procedura penale, dopo la lettera h) è aggiunta la seguente:
«h-bis) se ha pubblicamente rilasciato dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli».
2. All'articolo 53, comma 2, del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo le parole: «lettere a), b), d), e)» sono inserite le seguenti: «e h-bis), nonché se il magistrato risulta iscritto nel registro degli indagati per il reato previsto dall'articolo 379-bis del codice penale, in relazione ad atti del procedimento assegnatogli, sentito in tale caso il capo dell'ufficio competente ai sensi dell'articolo 11»;
b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il procuratore generale procede allo stesso modo, se il capo dell'ufficio e il magistrato assegnatario risultano indagati per il reato previsto dall'articolo 379-bis del codice penale, ovvero hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche in merito al procedimento».
Art. 2.
(Modifiche agli articoli 114 e 115 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 114 del codice di procedura penale, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto o del relativo contenuto, di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare».
2. All'articolo 114 del codice di procedura penale, il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. È in ogni caso vietata la pubblicazione anche parziale o per riassunto della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione ai sensi degli articoli 269 e 271».
3. All'articolo 115 del codice di procedura penale, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Di ogni iscrizione nel registro degli indagati per fatti costituenti reato di violazione del divieto di pubblicazione commessi dalle persone indicate al comma 1, il procuratore della Repubblica procedente informa immediatamente l'organo titolare del potere disciplinare, che nei successivi trenta giorni, ove siano state verificate la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità e sentito il presunto autore del fatto, può disporre la sospensione cautelare dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi».
Art. 3.
(Modifica dell'articolo 266 del codice di procedura penale).
1. L'articolo 266 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 266 (Limiti di ammissibilità). - 1. L'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, di altre forme di telecomunicazione, di immagini mediante riprese visive e l'acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni sono consentite nei procedimenti relativi ai seguenti reati:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4;
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo delle persone col mezzo dei telefono;
f-bis) delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater 1 del medesimo codice.
2. Negli stessi casi di cui al comma 1 è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti solo se vi è fondato motivo di ritenere che nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l'attività criminosa».
Art. 4.
(Modifiche all'articolo 267 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 267 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Il pubblico ministero richiede l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 al tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, che decide in composizione collegiate. L'autorizzazione è data con decreto motivato, contestuale e non successivamente modificabile o sostituibile, quando vi sono gravi indizi di colpevolezza e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini e sussistono specifiche e inderogabili esigenze relative ai fatti per i quali si procede, fondate su elementi espressamente e analiticamente indicati nel provvedimento, non limitati ai soli contenuti di conversazioni telefoniche intercettate nel medesimo procedimento e frutto di un'autonoma valutazione da parte del giudice»;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Il pubblico ministero, insieme alla richiesta di autorizzazione, trasmette al giudice il fascicolo con tutti gli atti di indagine fino a quel momento compiuti»;
c) dopo il comma 1-bis sono inseriti i seguenti commi:
«1-ter. Nei procedimenti contro ignoti, l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 è data, su richiesta della persona offesa, sulle utenze o nei luoghi nella disponibilità della stessa, al solo fine di identificare l'autore del reato;
1-quater. Nei procedimenti contro ignoti, è sempre consentita l'acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni, al solo fine di identificare le persone presenti sul luogo del reato o nelle immediate vicinanze di esso».
d) al comma 2, la parola: «giudice» è sostituita dalla seguente: «tribunale» e dopo le parole: «con decreto motivato», ovunque ricorrono, sono inserite le seguenti: «contestuale e non successivamente modificabile o sostituibile»;
e) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni per un periodo massimo di trenta giorni, anche non continuativo. Il pubblico ministero da immediata comunicazione al tribunale della sospensione delle operazioni e della loro ripresa. Su richiesta motivata del pubblico ministero, contenente l'indicazione dei risultati acquisiti, la durata delle operazioni può essere prorogata dal tribunale fino a quindici giorni, anche non continuativi. Una ulteriore proroga delle operazioni fino a quindici giorni, anche non continuativi, può essere autorizzata qualora siano emersi nuovi elementi, specificamente indicati nel provvedimento di proroga unitamente ai presupposti di cui al comma 1».
f) dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:
«3-bis. Quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione a delitti di cui all'articolo, 51, comma 3-bis e comma 3-quater, l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 è data se vi sono sufficienti indizi di reato. Nella valutazione dei sufficienti indizi si applica l'articolo 203. La durata delle operazioni non può superare i quaranta giorni, ma può essere prorogata dal tribunale con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1, entro i termini di durata massima delle indagini preliminari. Nei casi di urgenza, alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero ai sensi del comma 2;
3-ter. Nel decreto di cui al comma 3, il pubblico ministero indica l'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile del corretto adempimento delle operazioni, nei casi in cui non procede personalmente»;
g) al comma 4 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei casi di cui al comma 3-bis, il pubblico ministero e l'ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare da agenti di polizia giudiziaria»;
h) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. In apposito registro riservato tenuto in ogni procura della Repubblica sono annotati, secondo un ordine cronologico, la data e l'ora di emissione e la data e l'ora di deposito in cancelleria o in segreteria dei decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni».
Art. 5.
(Modifiche all'articolo 268 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 268 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 1, 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:
«1. Le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale. I verbali e i supporti delle registrazioni sono custoditi nell'archivio riservato di cui all'articolo 269. 2. Il verbale di cui al comma 1 contiene l'indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l'intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione dell'intercettazione; nel medesimo verbale sono altresì annotati cronologicamente, per ogni comunicazione intercettata, i riferimenti temporali della comunicazione e quelli relativi all'ascolto, la trascrizione sommaria del contenuto, nonché i nominativi delle persone che hanno provveduto alla loro annotazione. 3. Le operazioni di registrazione sono compiute per mezzo degli impianti installati nei centri di intercettazione telefonica istituiti presso ogni distretto di corte d'appello. Le operazioni di ascolto sono compiute mediante gli impianti installati presso la competente procura della Repubblica ovvero, previa autorizzazione del pubblico ministero, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini»;
b) dopo il comma 3-bis è inserito il seguente:
«3-ter. Ai procuratori generali presso la corte d'appello e ai procuratori della Repubblica territorialmente competenti sono attribuiti i poteri di gestione, vigilanza, controllo e ispezione, rispettivamente, dei centri di intercettazione e dei punti di ascolto di cui al comma 3»;
c) i commi 4, 5 e 6 sono sostituiti dai seguenti:
«4. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero salvo che il tribunale, su istanza delle parti, tenuto conto del loro numero, nonché del numero e della complessità delle intercettazioni, non riconosca necessaria una proroga. 5. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il tribunale autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la data di emissione dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari. 6. Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine di cui ai commi 4 e 5, hanno facoltà di prendere visione dei verbali e dei decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione e di ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. È vietato il rilascio di copia dei verbali, dei supporti e dei decreti»;
d) dopo il comma 6 sono inseriti i seguenti:
«6-bis. È vietato disporre lo stralcio delle registrazioni e dei verbali prima del deposito previsto dal comma 4. 6-ter. Scaduto il termine, il pubblico ministero trasmette immediatamente i decreti, i verbali e le registrazioni al tribunale, il quale fissa la data dell'udienza in camera di consiglio per l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiono manifestamente irrilevanti, procedendo anche d'ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. Il tribunale decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 127»;
e) i commi 7 e 8 sono sostituiti dai seguenti:
«7. Il tribunale, qualora lo ritenga necessario ai fini della decisione da assumere, dispone la trascrizione integrale delle registrazioni acquisite ovvero la stampa in forma intelligibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento. 8. I difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione delle registrazioni su supporto informatico. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7».
Art. 6.
(Modifiche all'articolo 269 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 269 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. I verbali e i supporti contenenti le registrazioni sono conservati integralmente in un apposito archivio riservato tenuto presso l'ufficio del pubblico ministero che ha disposto l'intercettazione, con divieto di allegazione, anche solo parziale, al fascicolo»;
b) al comma 2, primo periodo, dopo le parole: «non più soggetta a impugnazione» sono aggiunte le seguenti: «e delle stesse è disposta la distruzione nelle forme di cui al comma 3»;
c) ai commi 2 e 3, la parola: «giudice» è sostituita dalla seguente: «tribunale».
Art. 7.
(Modifica all'articolo 270 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 270 del codice di procedura penale, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le intercettazioni sono state disposte, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), e non siano state dichiarate inutilizzabili nel procedimento in cui sono state disposte».
Art. 8.
Modifiche all'articolo 271 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 271, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «commi 1 e 3» sono sostituite dalle seguenti: «commi 1, 3, 5, 6 e 6-bis». 2. All'articolo 271 del codice di procedura penale, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora, nell'udienza preliminare o nel dibattimento, il fatto risulti diversamente qualificato e in relazione ad esso non sussistano i limiti di ammissibilità previsti dall'articolo 266».
Art. 9.
(Modifica all'articolo 292 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 292 del codice di procedura penale, dopo il comma 2-ter è inserito il seguente:
«2-quater. Nell'ordinanza le intercettazioni di conversazioni, comunicazioni telefoniche o telematiche possono essere richiamate soltanto nel contenuto e sono inserite in un apposito fascicolo allegato agli atti».
Art. 10.
(Modifiche all'articolo 329 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 329, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «Gli atti d'indagine» sono sostituite dalle seguenti: «Gli atti e le attività d'indagine». 2. All'articolo 329 del codice di procedura penale, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può chiedere al giudice l'autorizzazione alla pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero».
Art. 11.
(Modifica all'articolo 380 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 380, comma 2, lettera m), del codice di procedura penale, dopo le parole: «o dalle lettere a), b), c), d),» sono inserite le seguenti: "e), e-bis),».

Art. 12.
(Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271).
1. All'articolo 89 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è abrogato;
b) al comma 2, le parole: «I nastri contenenti le registrazioni» sono sostituite dalle seguenti: «I supporti contenenti le registrazioni e i flussi di comunicazioni informatiche o telematiche» e dopo le parole: «previsto dall'articolo 267, comma 5» sono inserite le seguenti «, nonché il numero che risulta dal registro delle notizie di reato di cui all'articolo 335»;
c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:
«2-bis. Il procuratore della Repubblica designa un funzionario responsabile del servizio di intercettazione, della tenuta del registro riservato delle intercettazioni e dell'archivio riservato nel quale sono custoditi i verbali e i supporti».
2. All'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole: «dell'imputazione» sono inserite le seguenti: «, con espressa menzione degli articoli di legge che si assumono violati, nonché della data e del luogo del fatto»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'autorità ecclesiastica di cui ai commi 2-ter e 2-quater»;
c) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
«2-bis. Il pubblico ministero invia l'informazione anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato, ovvero quando è stata applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare; nei casi in cui risulta indagato un ecclesiastico o un religioso del culto cattolico invia, altresì, l'informazione quando è stata applicata nei suoi confronti ogni altra misura cautelare personale, nonché quando procede all'invio dell'informazione di garanzia di cui all'articolo 369 del codice. 2-ter. Quando risulta indagato o imputato un vescovo diocesano, prelato territoriale, coadiutore, ausiliare, titolare o emerito, o un ordinario di luogo equiparato a un vescovo diocesano, abate di un'abbazia territoriale o sacerdote che, durante la vacanza della sede, svolge l'ufficio di amministratore della diocesi, il pubblico ministero invia l'informazione al cardinale Segretario di Stato. 2-quater. Quando risulta indagato o imputato un sacerdote secolare o appartenente a un istituto di vita consacrata o a una società di vita apostolica, il pubblico ministero invia l'informazione all'ordinario diocesano nella cui circoscrizione territoriale ha sede la procura della Repubblica competente»;
d) il comma 3-bis è abrogato.
2-bis. All'articolo 147 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 è abrogato;
b) al comma 3 le parole: «dei commi 1 e 2» sono sostituite dalle seguenti: «del comma 1».
Art. 13.
(Modifiche al codice penale).
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 379-bis è sostituito dal seguente:
«Art. 379-bis. - (Rivelazione illecita di segreti inerenti a un procedimento penale). - Chiunque rivela indebitamente notizie inerenti ad atti del procedimento penale coperti dal segreto dei quali è venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio o servizio svolti in un procedimento penale, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a un anno. Chiunque, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391-quinquies del codice di procedura penale è punito con la reclusione fino a un anno»;
b) all'articolo 614, primo comma, le parole: «di privata dimora» sono sostituite dalla seguente: «privato»;
c) dopo l'articolo 617-sexies è inserito il seguente:
«Art. 617-septies. - (Accesso abusivo ad atti del procedimento penale). - Chiunque mediante modalità o attività illecita prende diretta cognizione di atti del procedimento penale coperti dal segreto è punito con la pena della reclusione da uno a tre anni»;
d) all'articolo 684, le parole: «fino a trenta giorni o con l'ammenda da euro 51 a euro 258» sono sostituite dalle seguenti: «fino a trenta giorni o con l'ammenda da euro 1000 a euro 5000»;
e) all'articolo 684, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Se il fatto di cui al primo comma riguarda le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche, le altre forme di telecomunicazione, le immagini mediante riprese visive e l'acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni stesse, la pena è dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro 500 a euro 1.032».

Art. 14.
(Introduzione dell'articolo 25-novies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231).
1. Dopo l'articolo 25-octies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, è inserito il seguente:
«Art. 25-novies. - (Responsabilità per il reato di cui all'articolo 684 del codice penale). - 1. In relazione alla commissione del reato previsto dall'articolo 684 del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a trecento quote».
Art. 15.
(Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47).
1. All'articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il terzo comma è inserito il seguente:
«Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell'articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono»;
b) al quarto comma, dopo le parole: «devono essere pubblicate» sono inserite le seguenti: «, senza commento,»;
c) dopo il quarto comma è inserito il seguente:
«Per la stampa non periodica l'autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all'articolo 57-bis del codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a proprie cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l'ha determinata»;
d) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma,» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, e sesto comma» e le parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, quinto e sesto comma»;
e) dopo il quinto comma è inserito il seguente:
«Della stessa procedura può avvalersi l'autore dell'offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva o delle trasmissioni informatiche o telematiche non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta».
Art. 16.
(Abrogazione).
1. L'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni, è abrogato.
Art. 17.
(Modifiche al codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196).
1. Al codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 5 dell'articolo 139 è sostituito dal seguente:
«5. In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia o, comunque, delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 137 del presente codice, il Garante può vietare il trattamento o disporne il blocco ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera c)»;
b) dopo il comma 5 sono inseriti i seguenti:
«5-bis. Nell'esercizio dei compiti di cui agli articoli 143, comma 1, lettere b) e c), e 154, comma 1, lettera e), il Garante può anche prescrivere, quale misura necessaria a tutela dell'interessato, la pubblicazione o diffusione in una o più testate della decisione che accerta la violazione, per intero o per estratto, ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione. 5-ter. Nei casi di cui al comma 5-bis, il Consiglio nazionale e il competente consiglio dell'Ordine dei giornalisti anche in relazione alla responsabilità disciplinare, nonché, ove lo ritengano, le associazioni rappresentative di editori, possono far pervenire documenti e la richiesta di essere sentiti. 5-quater. La pubblicazione o diffusione di cui al comma 5-bis è effettuata gratuitamente nel termine e secondo le modalità prescritti con la decisione, anche per quanto riguarda la collocazione, le relative caratteristiche anche tipografiche e l'eventuale menzione di parti interessate. Per le modalità e le spese riguardanti la pubblicazione o diffusione disposta su testate diverse da quelle attraverso la quale è stata commessa la violazione, si osservano le disposizioni di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 2003, n. 284»;
c) all'articolo 170, comma 1, dopo le parole: «26, comma 2, 90,» sono inserite le seguenti: «139, comma 5-bis,».

Art. 18.
(Disciplina transitoria).
1. Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore. 2. Le disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 268 del codice di procedura penale, come sostituito dall'articolo 5 della presente legge, entrano in vigore il 1o gennaio 2009 e si applicano decorsi tre mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'apposito decreto del Ministro della giustizia che dispone l'entrata in funzione dei centri di intercettazione telefonica di cui al medesimo comma 3 dell'articolo 268. Fino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni del comma 3 dell'articolo 268 del codice di procedura penale nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge.

lunedì 2 febbraio 2009

Il discorso di Giulio Romano per l'inaugurazione dell'anno giudiziario a Messina

INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2009

INTERVENTO DEL RAPPRESENTANTE DEL CSM - GIULIO ROMANO


Premessa - La giustizia civile - Il sistema penale - La magistratura onoraria - Il “correntismo” - Il CSM - La sezione disciplinare - Le intercettazioni - Il concorso in magistratura


Sig. Presidente,
di solito questa, per il rappresentante del CSM, è principalmente l’occasione per riassumere i dati relativi all’attività svolta dall’organo di autogoverno della magistratura.
Tuttavia le sempre crescenti difficoltà in cui versa il sistema giustizia, la discussione su importanti riforme forse anche a livello costituzionale, le polemiche circa alcune decisioni del Consiglio Superiore, mi inducono ad affrontare, sia pure in estrema sintesi, le questioni oggi di maggior rilievo.

La giustizia civile.
La grave inefficienza del sistema è sotto gli occhi di tutti. Per porvi rimedio si continua a parlare di come rendere più rapido il processo civile. Interventi in tale direzione sono i benvenuti, ma va detto chiaramente che non basteranno. Un buon giudice civile può scrivere circa venti sentenze al mese e ciò oggi già accade; se anche avessimo un processo in grado di far concludere un caso in un solo giorno, i procedimenti si accumulerebbero, sulla scrivania di chi deve deciderli, in attesa del loro turno. Poiché non è pensabile aumentare a dismisura il numero dei giudici e dei dipendenti della giustizia, occorre allora focalizzare alcune tra le ragioni di una domanda semplicemente fuori controllo:
a) una litigiosità, anche per le piccolissime cose, che affonda le sue radici in un tessuto sociale senza valori adeguati, dove per troppo tempo le pagine di educazione civica sono sostanzialmente scomparse dai sussidiari, dove il rispetto delle ragioni altrui fa fatica ad imporsi, dove le televisioni hanno preso atto che le trasmissioni che raccolgono maggior interesse sono quelle della cd. “TV spazzatura”
b) difficoltà economiche ed impunità che spingono molti ad agire in giudizio temerariamente ed altri a resistere ingiustificatamente, individuando nel solo scorrere del tempo un fattore di guadagno.
Ecco dunque che si possono fare tutti i miglioramenti processuali che si vogliono, ma non si può sfuggire ad una considerazione: se si intende mantenere questo livello di domanda occorre quanto più possibile rinunciare alla motivazione della decisione ed ai vari gradi di giudizio (mi interessa di più sapere definitivamente oggi se ho o no ragione oppure dopodomani perché ho ragione, sulla base peraltro di un ragionamento che dovrà affrontare ulteriori gradi di giudizio?); se invece si vuole dare la giusta importanza alla funzione giurisdizionale bisogna, nel breve periodo, scoraggiare l’abusivo ricorso alla stessa prevedendo severissimi, ineludibili, deterrenti economici, all’agire e resistere sconsiderato; bisogna poi, nel medio e lungo termine, creare le premesse per una crescita culturale del paese.
Va inoltre programmato, ormai guardando lontano, un accesso dei giovani alla professione forense che sia sostenibile rispetto alle capacità operative di cui si ritiene di dotare il sistema.

Il sistema penale
Come spesso in passato, si sente parlare separatamente di modifiche del sistema penale (depenalizzazione) o di quello processuale.
Il processo penale è strutturato in maniera complessa perché serve ad accertare se una persona deve andare in prigione, così le garanzie devono essere massime.
I reati previsti dalla legge sono tantissimi ma, se verifichiamo quali sono quelli commessi da coloro che sono effettivamente in carcere, scopriamo che si tratta sempre degli stessi dieci, forse venti delitti.
Questo significa che utilizziamo la più complessa delle macchine anche quando non ve ne sarebbe concreto bisogno.
E non è tutto, per come si è andato sviluppando il sistema, accade che per un reato modestissimo si impegni la giustizia in tre estenuanti gradi di giudizio (perché dovrei rinunciare a sperare negli intoppi del processo per avere una riduzione esigua di una pena che tanto non sconterò?) mentre invece per quelli gravi, nello sconcerto generale, si baratta la punizione con un po’ di comprensione per le difficoltà della macchina giustizia.
Per converso si dimentica che anche sanzioni semplici, comminate quasi senza garanzie, possono costituire un valido deterrente: non ci sono difese e carte bollate quando mettono le ganasce all’automobile ma, se ne vedo una che le ha, resto terrorizzato e mai parcheggerò anche io nello stesso posto.
Ecco allora che si possono attuare le riforme che si vogliono, ma non si inciderà significativamente se non innovando profondamente il nostro modo di pensare.
Occorre diversificare le sanzioni e calibrare i modelli di accertamento processuale sulla gravità e rilevanza delle punizioni comminabili. Bisogna superare gli sconti di pena (eticamente inaccettabili) e favorire l’accesso alle attuali misure alternative come contropartita alla scelta, tempestiva, di modelli processuali che consentano al sistema di risparmiare sul processo e di addivenire presto alla definizione del giudizio.

La magistratura onoraria.
E’ vero che ormai la magistratura onoraria concorre alla definizione di buona parte, della domanda di giustizia (anche se di quella meno complessa).
Si confrontano la pretesa dei giudici onorari, di raggiungere la stabilità e l’opposizione della magistratura professionale, comprensibilmente timorosa di veder stabilizzata e sostanzialmente equiparata, una categoria che, per definizione, non possiede gli stessi livelli di preparazione.
Due cose sono certe.
La prima è che la magistratura onoraria è in definitiva una forma di “precariato stabilizzato”.
Il precariato per un verso genera insicurezza nelle vite degli interessati, per un altro riduce l’interesse del sistema a curarne la formazione e verificarne al meglio l’adeguatezza.
La seconda è che in assenza di una rivisitazione organica del sistema, a volte, contraddittoriamente, accade che il magistrato professionale si occupi di cose modeste e quello onorario di cose di maggior rilievo.
Occorre allora superare il precariato, di per sé sia ingiusto sia dannoso, tracciando al contempo una netta linea orizzontale che individui, al di sopra, le competenze della magistratura professionale, al di sotto quelle, parimenti rispettabili ma meno complesse, dei giudici onorari.
Solo così si potrà dare ai cittadini una magistratura onoraria attrezzata al meglio ed assolutamente credibile, per la soluzione di controversie che sono modeste ma riguardano la vita di tutti i giorni di tanti.

Il “correntismo”
Come altri ho ricoperto alternativamente cariche istituzionali ed associative (consiglio giudiziario, comitato direttivo e giunta esecutiva dell’ANM, CSM). Per farlo ho partecipato a elezioni, così come il sistema impone. La competizione elettorale ha in sè pregi ma anche un limite: è del tutto naturale che chi ti ha votato si aspetti che, più o meno a parità di altri parametri, tu lo sostenga. La partecipazione ad organismi ora istituzionali ora associativi comporta il rischio che nelle proprie determinazioni si sia spinti in qualche misura anche dall’intento di aumentare la propria forza elettorale in vista di successivi traguardi.
Così l’attività l’associativa (e la sua componente sindacale che ne dovrebbe esser parte significativa con importanti riflessi anche sulla funzionalità del servizio e quindi sulla soddisfazione dei cittadini) rischia di essere condizionata dagli altri, pur legittimi, obiettivi di chi la pone in essere; al contempo l’attività istituzionale perde di credibilità, potendosi pensare che chi la esercita sia guidato più da interessi personali e dal dover rendere conto al suo elettorato, piuttosto che dal doveroso desiderio di mettere il migliore al “posto giusto”.
Tutto questo causa disfunzioni sia nella misura in cui è vero (e non lo si può negare radicalmente) sia nella misura in cui non lo è. Infatti accade ormai spessissimo che il collega il quale non vince in un concorso, preferisca pensare e dire che è stato superato da un “raccomandato”, piuttosto che accettare che qualcuno sia stato ritenuto migliore di lui. Tutti ciò ha ormai diffuso, anche a livello di opinione pubblica, la convinzione dell’esistenza di un fenomeno degenerativo che non nego e che va affrontato, ma che ha dimensioni meno rilevanti di quel che ormai si crede.
D’altra parte mi sia permesso di dire che, se è innegabile che i magistrati eletti scontino le contraddizioni del sistema, non può neanche ritenersi verosimile che, scelti perché conosciuti come per bene, si trasformino poi in persone scorrette, che antepongono il loro interesse personale di magistrati in carriera a quello che loro stessi hanno come figli, coniugi, genitori, in definitiva cittadini (se concorro a nominare il peggiore come procuratore della Repubblica forse traggo un qualche vantaggio di carriera ma contribuisco a ridurre la sicurezza dei miei familiari quando la sera tornano a casa).
Certo mi si può obiettare che non sono credibile, quando evidenzio le contraddizioni di un sistema di cui mi sono avvalso, ma non posso, ora che ho preso coscienza del problema, negarlo. Posso solo impegnarmi per il futuro, dicendo che non proseguirò su questa strada; posso solo dire che uscito dal CSM non mi ricandiderò all’ANM, alimentando in questo modo il sospetto di aver potuto utilizzare la funzione consiliare per aumentare il mio elettorato e così la mia influenza sui futuri consiglieri, magari per ottenere la dirigenza di un tribunale o di una procura prima del dovuto.

Il CSM
Il discorso deve prendere le mosse da quello che ho appena detto sul “correntismo”. Non si cambia la struttura del CSM prevista nella Costituzione perché qualcosa non va. Non è il sistema pensato dai costituenti che è sbagliato; quel che non funziona più al meglio è il modo il cui esso trova attuazione. Abbiamo la grande responsabilità di proporre un diverso modello di rapporto tra ANM e CSM. Di questo però devono rendersi conto tutti: anche chi, nella “base”, si lamenta e magari si dimette dall’ANM, perché qualcun altro gli è stato preferito per questo o quell’incarico (così dimostrando un non condivisibile approccio all’associazionismo ed in definitiva che se c’è il “correntismo”, vale a dire la “offerta”, è perché c’è la “domanda”).
Se poi proprio si intende cambiare il CSM, allora occorre prima studiarne l’organizzazione. Prima di discutere chi lo deve comporre, serve stabilire di chi ha bisogno. Le esigenze della commissione che si occupa di tabelle ed organizzazione degli uffici sono diverse da quelle della commissione che si occupa di valutazioni di professionalità; la presenza di un maggior numero di componenti laici può essere utile in certi casi e meno in altri. Solo analizzando l’aspetto organizzativo e funzionale delle strutture interne, come evolutosi in alcuni decenni (anche ad esempio approfondendo l’utilità o meno di commissioni che sono solo referenti) si possono avere le idee più chiare circa il tipo di professionalità che serve per comporle. Diversamente si rischia di avere un CSM meno efficiente o di consegnarlo, per la stragrande maggioranza delle pratiche, alle scelte delle strutture di segreteria e scientifica (correndo il rischio di far rientrare dalla finestra problemi che si pensava di aver risolto).
Qualche ulteriore notazione.
Una riguarda le cd. “pratiche a tutela”, attraverso le quali, è stato detto, il Consiglio ha finito con il fare politica. La critica non è del tutto infondata ma è vero anche che a volte i magistrati sono stati oggetto di attacchi impropri. In un paese normale il CSM non deve tutelare, ma in un paese normale la magistratura è rispettata. Una anomalia consegue ad un'altra anomalia, solo il reciproco rispetto delle ragioni dell’altro, può ricondurre il sistema alla fisiologia.
Un’altra attiene alla professionalità e discende dalla analisi particolare dei compiti del Consiglio. Il fatto di esser stato eletto non mi trasforma automaticamente in un esperto di formazione, di organizzazione, di valutazione delle attitudini a dirigere e così via. Oggi l’assegnazione alle commissioni e la presidenza delle stesse prescindono completamente dalla verifica di una specifica professionalità in un determinato settore; anzi, in qualche misura è obbligatoria la “rotazione”. Un simile assetto, sotto il profilo della scienza dell’organizzazione è scarsamente comprensibile e finisce con il favorire le degenerazioni del “correntismo” (o dell’appartenenza politica), le cui logiche magari vanno ad integrare insufficienti capacità specifiche.
Una ancora inerisce alla separazione di carriere. Ho iniziato da pubblico ministero, ho svolto le funzioni inquirenti e requirenti al meglio delle mie possibilità ma sono certo che se vi tornassi ora, dopo tanti anni passati da giudice, le svolgerei meglio. Sono dunque contrario alla separazione ed auspico anzi che possano diventare pubblici ministeri solo coloro che hanno maturato una lunga esperienza da giudici (magari nel settore civile che è quello dove ancor di più si può assimilare la cultura della terzietà). Occorre però evitare, come invece accade ora, che sia a livello locale sia a livello centrale, pubblici ministeri facciano parte degli organismi che valutano la professionalità dei giudici che magari hanno respinto le loro richieste. Non si chiede al centravanti che si è visto negare il rigore di dare la pagella all’arbitro. Quando si tratta di valutazioni di professionalità, solo una netta separazione è garanzia di indipendenza e, per gli avvocati, di assoluta equidistanza.
L’ultima infine: l’idea di un unico CSM per tutte le magistrature (sia pure con diverse articolazioni) potrebbe finalmente avviare il percorso verso la eliminazione di differenze tra le diverse magistrature, che non hanno ragione di persistere e che avviliscono quella ordinaria la quale, più delle altre, sopporta l’impatto con le difficoltà della giurisdizione ed affronta giornalmente i problemi della gente).

La sezione disciplinare
La sezione disciplinare del CSM è al centro sia di critiche sia di proposte di modifica. Comprendo che poichè il fenomeno del “correntismo” appare sempre più invasivo, si possa pensare che anche la sezione non ne sia immune. Anche se so che, essendone parte, posso essere ritenuto “a credibilità attenuata”, permettetemi di dire con forza che quello disciplinare è prima di tutto un giudice e come tale si comporta. Nel 2008 a fronte di 24 assoluzioni vi sono state 28 condanne, di cui tre alla rimozione, a cui vanno aggiunte 17 estinzioni per cessata appartenenza all’ordine giudiziario (quindi con gli stessi effetti sostanziali della rimozione).
Si tratta di numeri che, comparati a quelli di altre categorie, rassicurano sulla serietà del controllo disciplinare ed è difficile pensare che i condannati fossero tutte persone che non avevano votato per il CSM (o l’ANM). D’altra parte a chi dovesse nutrire sfiducia, mi sembra giusto far notare che personalmente (e non sono certo l’unico) sono stato relatore ed estensore della sentenza di condanna per ritardi di un collega che ricopre una carica nello stesso gruppo con il quale sono stato eletto.
Capisco però anche che il giudicare chi ti ha votato possa apparire inopportuno. Al riguardo va detto che non soccorre neanche l’istituto dell’astensione perché, atteso che i componenti la sezione sono eletti tra quelli a loro volta eletti al CSM, il rapporto giudice-giudicato/eletto-elettore è del tutto fisiologico; d’altra parte, ragionando al contrario, in tutti i procedimenti qualcuno dovrebbe astenersi, anche tra i supplenti.
Quindi, pur se di regola il controllo deontologico degli appartenenti ad una categoria avviene all’interno della stessa, trovo auspicabile che la magistratura ordinaria, per il primario ruolo svolto, si doti di un sistema disciplinare inattaccabile anche sotto il profilo dell’apparenza.
Però vi invito a riflettere su una cosa: molti dei procedimenti riguardano ritardi nel deposito dei provvedimenti. Al cittadino non interessa che colui che ha ritardato tre anni sia condannato all’ammonimento o alla censura. Al cittadino interessa che il ritardo venga intercettato il più presto possibile. E allora noi abbiamo bisogno di un sistema disciplinare di tipo completamente diverso che incida sul problema ritardo. Come è possibile perseguire un simile obiettivo? Oggi i dirigenti degli uffici che si accorgono che un collega accumula ritardi possono fare poco o niente; se e quando arriva l’ispezione ministeriale, i colleghi dell’ispettorato sono vissuti come intrusi, ai quali il problema va minimizzato, se non nascosto.
Occorre dunque uno sforzo di ideazione innovativa. Occorre pensare ad un sistema nel quale si vada alla ricerca del ritardo, inteso come danno “in progress”, non per punire, ma per aiutare il collega ad ovviarvi, da solo o in modo organizzato. Serve invitare i dirigenti alla ricerca delle cause dei ritardi e all’analisi delle stesse; serve coinvolgere in questa ricerca ed analisi l’Ispettorato, che non deve essere vissuto come un nemico ma come una struttura con cui collaborare, composta da colleghi che hanno esperienza nell’analisi del problema e nella ricerca delle soluzioni; serve una sezione disciplinare che adotti, più che sanzioni, provvedimenti cautelari d’urgenza da utilizzarsi - magari di concerto con la commissione che si occupa di formazione così da far ricorso all’ausilio della scienza dell’organizzazione e della psicologia del lavoro - per ovviare al ritardo mentre si verifica e riabilitare il magistrato.
Si tratta di pensare ad sistema completamente diverso con sanzioni completamente diverse.
Oggi una delle punizioni più gravi con cui può essere sanzionato il magistrato ritardatario è la sospensione dalle funzioni. E che guadagno ne ha il sistema? L’interessato continua a guadagnare un, sia pur ridotto, stipendio ma non lavora; così la sua sentenza non sarà scritta un solo giorno prima!
La sanzione successiva è la rimozione che però, paragonabile all’ergastolo, si attaglia a chi ha commesso infrazioni dolose, non colpose. Per l’infrazione colposa ci vorrebbe una sanzione che adesso non esiste nel sistema disciplinare (pur essendo prevista altrove). Così si spiegano casi che al cittadino appaiono di incomprensibile indulgenza. Servirebbe invece la possibilità di collocare l’interessato (temporaneamente o definitivamente) in un ruolo alternativo ed adeguato rispetto ai problemi accertati.
Se allora si vuole pensare alla modifica della composizione della disciplinare, lo si faccia pure, ma se non si ragiona sul prontuario delle sanzioni e soprattutto sui provvedimenti di urgenza rispetto ai ritardi, domani avremo forse qualche censura in più al posto di qualche ammonimento, ma per il cittadino non cambierà niente.
Quanto alla composizione della sezione va poi rilevato che la maggioranza degli incolpati è costituita da giudici di primo grado; sono loro che affrontano giornalmente l’impatto con le disfunzioni del sistema e che a volte rischiano di pagarne le conseguenze; sono loro che altre volte accettano dei rischi nel tentativo di rispondere in modo effettivo alla richiesta di giustizia; allora se devono sapere che sbagliando verranno puniti, devono anche sapere che a valutarli sarà un giudice che conosce bene le difficoltà del loro lavoro.
Così è auspicabile che il giudice disciplinare sia composto per lo più da magistrati di merito di primo grado. Se la prevalenza dovesse essere di chi non ha il “polso” dei tribunali ogni mattina, potrebbero “fioccare” condanne non giuste, avvertite come inique dalla maggior parte dei colleghi i quali, per evitare contestazioni, si attesterebbero su una soglia comportamentale minima esigibile, assolutamente esente da rischi disciplinari, così diminuendo la produttività.
Insomma, l’opposto di quello che ci serve come cittadini.
Passando al merito delle decisioni va detto che la Sezione non ha in alcun modo inteso infrangere il principio della insindacabilità delle decisioni giurisdizionali.
Il collegio disciplinare ha però chiarito, ad esempio:
a) che se dagli atti emerge una specifica controindicazione alla assunzione di una decisione, il giudice, per andare di contrario avviso, nella sua motivazione deve dimostrare di aver tenuto conto della controindicazione, nonchè spiegare sulla base di quali accertamenti e considerazioni ha ritenuto di decidere diversamente
b) che poiché nella fase delle indagini preliminari - caratterizzata da risultati di indagini che non hanno valore di prova - anche l’attribuzione solo in via di ipotesi di una condotta disdicevole può cagionare danno alla reputazione di una persona (cosa che, vera di per sé, lo è ancor più nella moderna “società mediatica”, nella quale il contenuto degli atti giudiziari va sempre maggiormente divenendo suscettibile di divulgazione e giudizio di massa) il magistrato è tenuto a sviluppare il proprio ragionamento ed esprimere il proprio convincimento in modo rigorosamente continente e conferente.

Le intercettazioni
Se il Legislatore indica come delitto una condotta vuol dire che essa è grave. Se un comportamento è grave, da cittadino auspico che il magistrato per scoprirlo possa avvalersi di tutti i mezzi di ricerca della prova previsti dall’ordinamento. Sono dunque contrario ad una restrizione dei casi nei quali è possibile ricorrere alle intercettazioni.
Ciò premesso va rilevato che nonostante il rigoroso tenore letterale del codice di procedura penale, la magistratura ha dato interpretazioni diverse e contraddittorie della legge, così allargando le maglie di norme che incidono su diritti costituzionalmente garantiti.
Questa considerazione pone ancora una volta il problema del senso di responsabilità della magistratura, del “self restraint” di giudici e pubblici ministeri e diviene questione culturale e di formazione, fino ad interessare la tecnologia, che pone a disposizione potenti strumenti prima che si possa imparare ed insegnare a farne adeguato, consapevole uso.
La vera garanzia dell’indipendenza ed autonomia dei magistrati, e fra questi dei pubblici ministeri, risiede nell’equilibrio e nella professionalità di cui danno prova.

Il concorso in magistratura
Le carenze nell’organico dei magistrati sono note. Sono in fase di svolgimento un concorso a 350 posti, un altro a 500 e già si parla di un terzo.
Mentre si alza il numero dei posti messi a concorso si deve però prendere atto che non si riesce ad ammettere agli orali tante persone quante sono le disponibilità. Poiché non si può pensare di “abbassare l’asticella”, occorre riflettere sull’adeguatezza del livello di preparazione. Il CSM deve non solo concorrere a questa riflessione ma anche trovare il modo di mettere a disposizione, di tutti ed allo stesso modo, il proprio notevole bagaglio di esperienza formativa (secondo una circolarità che vada dalle università alle scuole di specializzazione, al concorso e poi ai magistrati per tornare alle università e così via).
Solo contribuendo, sia pur indirettamente, alla preparazione degli aspiranti, si avranno magistrati migliori ed in numero adeguato; solo così si eviterà di costringere i giovani ad affiancare a scuole di specializzazione che a volte costituiscono mere ripetizioni delle università, corsi privati; solo così si permetterà loro di risparmiare tempo e denaro, eliminando uno tra i maggiori fattori di tensione che hanno portato alle difficoltà che si sono verificate nell’ultimo concorso.

Messina 31.1.09

GIULIO ROMANO
(presidente nona commissione CSM)