martedì 29 aprile 2008

I siti delle correnti ..nessun aggiornamento e pochissima informazione

Scarso è l'aggiornamento web dei siti delle correnti dei magistrati. Come si potrà controllare direttamente al di là degli effetti speciali senz'altro ottimali quelli "grafici" di magistratura democratica ma di scarsa navigabilità diretta ,troppo istituzionale il sito di MI ,e troppo "artigianali" quelli di Unicost ,che ha ancora parti "in costruzione" e Movimenti .
Il più aggiornato e completo per le notizie del CSM è il sito dei Movimenti (14 aprile 2008) ,seguono a una certa distanza quelli di MD e UNICOST (gennaio -marzo 2008 con scarse notizie sulle Commissioni del CSM ),ultima MI (dicembre 2005!!).
Completo è il disinteresse per le news dalla ANM in tutte le correnti all'unisono ,il più aggiornato nei documenti appare il sito di UNICOST (gennaio 2008) ma tutti i siti ignorano le novità e le posizioni del Cdc e della Giunta della ANM (che almeno tre correnti esprimono poi direttamente) . Nulli un pò dappertutto sono i links esterni e di informazione diretta sui temi della attività giudiziaria (anche se su questo spicca ancora una volta il sito di MD ).
Il nostro Blog ,nel suo piccolo è molto più "di servizio" ed in questo appare già una piccola e grande avanguardia..

sabato 26 aprile 2008

Cosa è un "regime" democratico ?

"Per regime si intende un sistema di controllo sociale, ovvero, più specificamente, una forma di governo, specialmente quando è strettamente correlata ed identificata con una personalità politica che vi assume un ruolo dominante (ad esempio, "il regime di Saddam Hussein" o "il regime di Franco"), oppure ad una determinata ideologia politica (ad esempio il regime fascista o il regime comunista) oppure ad una dittatura militare.
Almeno in teoria, l'attribuzione di questo termine ad un certo particolare
governo esistente non implica un giudizio di qualche tipo su di esso, ed infatti la maggior parte dei commentatori politici lo usa in modo neutro. In pratica tuttavia, soprattutto a livello colloquiale ed informale, viene riferito spesso a governi con una fama di essere repressivi, non democratici o illegittimi, tanto che, in questi contesti, la parola implica un significato di disapprovazione morale o di opposizione politica. A riprova di ciò basta osservare come sia raro sentir parlare di un "regime democratico".
http://it.wikipedia.org/wiki/Regime
(da Wikipedia ,voce "Regime" .
Eppure l'art. 2 dello Statuto della ANM dice proprio "Regime democratico" ,controllare per credere a
http://www.associazionemagistrati.it/chi_siamo/statuto.htm#2
"L’Associazione si propone i seguenti scopi: .. 2) propugnare l’attuazione di un Ordinamento Giudiziario che realizzi l’organizzazione autonoma della magistratura in conformità delle esigenze dello Stato di diritto in un regime democratico."
Uno dei primi segnali di apertura e il contenuto minimo di un referendum consultivo sarebbe perciò almeno di sostituire la parola "regime" con la parola "Paese" ,o no ?

venerdì 25 aprile 2008

Il protocollo di intesa tra Mi e CISL (sempre a proposito di valori "veri")


DOCUMENTO PROGRAMMATICO
CISL NAZIONALE - MAGISTRATURA INDIPENDENTE
La CISL Nazionale e l'associazione di magistrati Magistratura Indipendente confrontandosi sul tema dell'organizzazione e funzionalità dell'amministrazione giudiziaria riscontrano una sostanziale identità di vedute sui principali temi ad esso sottesi.
In particolare:
CISL e Magistratura Indipendente convengono sulla necessità di porre quale nodo centrale del dibattito sulla giustizia i bisogni dei cittadini e il loro diritto all'esigibilità dei diritti riconosciuti dall'ordinamento giuridico.
E' infatti del tutto evidente che nei delicati settori della sicurezza e della giustizia,inscindibilmente connessi, solo un sistema efficace ed efficiente, in termini di tempestività ed effettività della risposta di giustizia apprestata, può garantire, proteggere e difendere i diritti fondamentali dei cittadini.
La priorità di ogni azione deve dunque rimettere i cittadini e i loro bisogni al centro dell'attenzione politica e della risposta normativa per ripristinare la piena esigibilità dei diritti di cittadinanza sanciti dalla Costituzione. I diritti alla sicurezza ed alla giustizia dei cittadini e dei lavoratori sono diritti universali, non negoziabili e non compromettibili rispetto ad interessi settoriali, politici, economici e delle categorie professionali.
CISL e Magistratura Indipendente convengono altresì sul fatto che la giustizia per funzionare non può prescindere da una visione d'insieme, da un disegno unitario e condiviso, dalla volontà e capacità di incidere in profondità norme e procedure che confondono la sostanza (la domanda di giustizia e le connesse essenziali garanzie) con la forma (la moltiplicazione di fattispecie, adempimenti e riti) generando alto carico di lavoro senza produrre alcuna utilità ed inducendo l'attuale progressiva ineffettività complessiva del sistema. In tal senso appare del tutto inadeguato un approccio alle questioni fondato su risposte estemporanee focalizzate su emergenze e su emotività collettive, senza creare e consolidare i presupposti per una convivenza basata su regole certe e diritti esigibili.
CISL e Magistratura Indipendente evidenziano che l'assenza di interventi sistematici volti al recupero di efficacia sul piano delle normative sostanziali e processuali, delle procedure amministrative, dell'incentivazione e motivazione del personale, dei mezzi e delle risorse stanziate, nonché il ripetersi di attacchi strumentali e vere e proprie campagne di delegittimazione, non producono soltanto l'attuale insostenibile dilatazione dei tempi di definizione dei giudizi civili e l'improduttività dei giudizi penali (quando votati alla prescrizione senza accertamento in positivo o in negativo delle responsabilità) ma, con effetti deleteri a più lungo temine, generano il venir meno nella coscienza dei cittadini dell'indispensabile effetto di deterrenza, e quindi di stimolo a comportamenti socialmente accettati e compatibili, che il sistema giudiziario deve svolgere in vista del consolidamento e sviluppo dei valori posti a base della Costituzione repubblicana.

L'inefficienza alimenta l'inefficienza, depotenzia i principi democratici di uguaglianza e pari opportunità a favore dei poteri in grado di far pesare la loro maggiore forza sul terreno dei rapporti sociali e, in ultima istanza, pone a repentaglio le stesse condizioni della convivenza civile, come drammaticamente evidenziato anche dai permanenti squilibri socio-economici esistenti fra diverse aree del Paese.
CISL e Magistratura Indipendente ribadiscono che l'efficacia e l'efficienza, ovvero risultati e costi, sono temi che vanno affrontati nei settori della giustizia e della sicurezza partendo dalla riorganizzazione e non dai tagli di bilancio che producono fittizi risparmi contabili immediati ma comportano costi diretti ed indiretti molto più alti e la negazione stessa dei servizi da rendere.
CISL e Magistratura Indipendente ritengono pertanto che l'importanza dei temi succitati richieda che il confkonto si sviluppi e le soluzioni siano proposte ed elaborate anche con il contributo della società civile e delle sue espressioni, al di fuori di logiche privatistiche e rifuggendo da forme di restrizione del dibattito circoscritto di solito ai soli addetti ai lavori.
CISL e Magistratura Indipendente individuano infine quali punti di riferimento condivisi ed irrinunciabili in materia di giurisdizione e nella concezione delle necessarie riforme ed interventi i principi costituzionali che disegnano la magistratura nel suo complesso come indipendente ed autonoma da ogni altro potere e centro d'interesse esterno ed espressione dello Stato-comunità mediante forme di accesso da garantirsi su basi non censitarie.
Il ruolo crescente di mediazione e di soluzione dei conflitti attribuito alla giurisdizione di fronte all'emersione di nuovi diritti ed istanze sociali suscettibili di tutela e al pluralismo culturale della società richiede una forte legittimazione degli operatori, la cui indipendenza ed imparzialità non può rimanere a livello di predicato o essere coinvolta in diatribe di carattere politico contingente ma deve essere presidiata dalla funzionalità, professionalità e dignità complessivamente garantite al e dal sistema.

Per tali ragioni CISL e Magistratura Indipendente valutano positivamente la possibilità di elaborare azioni comuni attraverso la predisposizione di un protocollo di intesa formalizzato al sostegno reciproco in azioni volte ai predetti fini.

giovedì 24 aprile 2008

CDC del 23 aprile ,documenti e posizione dissenziente di Magistratura indipendente

Associazione Nazionale Magistrati

COMITATO DIRETTIVO CENTRALE DEL 19 APRILE 2008

DOCUMENTO FINALE


1. L'Associazione Nazionale Magistrati ribadisce il suo impegno per la salvaguardia dei principi costituzionali posti a garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza dei magistrati giudicanti e del pubblico ministero.
L’associazione ritiene necessario mantenere in capo al Consiglio Superiore della Magistratura le competenze assegnate dalla Costituzione. Ed in particolare le competenze in materia di giurisdizione disciplinare.
2. Nella scorsa legislatura è stata approvata, dopo un lungo e a tratti difficile confronto, una complessiva riforma dell’ordinamento giudiziario. L’associazione nazionale magistrati ha espresso critiche, anche serrate, su alcuni punti della riforma ed apprezzamento su altri. Oggi la magistratura è impegnata nella fase di attuazione e di sperimentazione della riforma, all’esito della quale sarà possibile valutare la necessità o l’opportunità di interventi di correzione o modifica.
3. Il sistema giudiziario italiano versa in una gravissima crisi di efficienza e di funzionalità, che si sta trasformando in crisi di credibilità della giustizia e che rischia di collocare l’Italia ai margini del processo di unificazione europea. La nuova legislatura dovrà essere una occasione per avviare un processo riformatore che restituisca efficacia, funzionalità e credibilità alla giustizia nel nostro paese. Obiettivo questo che dovrebbe essere comune a tutti gli schieramenti politici. E che richiede, per essere raggiunto, il dialogo e il confronto tra le forze politiche e gli operatori del settore.
L'associazione nazionale magistrati rivolge pertanto un appello al nuovo Parlamento, al nuovo Governo e al nuovo Ministro per un impegno di tutti nella elaborazione di un progetto di riforma che abbia come obiettivi la ragionevole durata dei processi e l’efficace tutela dei diritti dei cittadini.

Roma, 23 aprile 2008

Il Comitato Direttivo Centrale


Associazione Nazionale Magistrati

Il Comitato Direttivo Centrale

Ordine del giorno

La Giunta Esecutiva Centrale

visto il documento approvato nella seduta del 29 marzo u.s.;

ritenuta la necessità di proseguire nella predisposizione di strutture organizzative e linee programmatiche che consentano all’ANM di assumere un ruolo propositivo forte e credibile nel prossimo confronto con il contesto politico disegnato dall’esito elettorale e in particolare con la nuova maggioranza e il futuro esecutivo ;

ritenuto che tra gli scopi associativi rientra quello di garantire la dignità della funzione, il cui esercizio non può essere privato di un sostegno organizzativo reale e tangibile, specie per i piccoli uffici operanti in preoccupanti contesti di criminalità organizzata;
che è necessario, inoltre, attuare alcuni correttivi di carattere tecnico alle recente riforma dell’ordinamento giudiziario, diretti a porre rimedio ad alcune gravi disfunzioni che già si stanno manifestando in particolare in tema di mobilità dei magistrati e di copertura delle sedi giudiziarie;

ritenuto che nel confronto con l’interlocutore politico competente, in primo luogo il Ministro della Giustizia, le priorità indicate nel documento del 29 marzo dovranno essere inserite in un quadro complessivo ed armonico di riforme;

ribadito che l’ Associazione non trascura richieste ragionevoli di miglioramento di status, ma non può essere un mero sindacato, poiché la sua forza e la sua credibilità si fondano in via principale sull’impegno alla tutela dell'assetto costituzionale della magistratura e alla attuazione di un sistema giudiziario che funzioni, secondo le esigenze di uno stato democratico di diritto;

rilevato che una risposta soddisfacente alla domanda di giustizia della società civile presuppone comunque, oltre alle riforme indicate nel documento del 29 marzo, magistrati professionalmente preparati e motivati e che a tal fine l’associazione da un lato deve impegnarsi a contribuire al miglioramento costante del servizio giustizia, incrementando la cultura della organizzazione, in particolare per i dirigenti degli uffici, e la professionalità di tutti i magistrati, e dall’altro non può trascurare gli specifici problemi dei magistrati, particolarmente all’inizio della carriera;

ritenuto altresì che l'ANM si deve dare carico di individuare e affrontare quei fenomeni di inefficienza e di elusione di responsabilità organizzative, che non di rado per colpa di pochi espongono al discredito l'intera magistratura.

impegna

la nuova Giunta Esecutiva a sensibilizzare l’opinione pubblica, a confrontarsi con le forze politiche di maggioranza ed opposizione, a prospettare al nuovo governo, con spirito di leale collaborazione e in ordine di priorità, l’insieme di riforme necessarie perché si dia concretamente e finalmente corpo ad un progetto complessivo per il recupero di efficienza della giustizia, sulla base delle indicazioni contenute in questo documento e in quello approvato il 29 marzo.

Roma, 23 aprile 2008

Il Comitato Direttivo Centrale




MAGISTRATURA INDIPENDENTE
esprime voto contrario alla formazione della nuova Giunta costituita da Unità per la Costituzione, Magistratura Democratica e Movimento per la profonda erroneità e miopia dei presupposti politici e programmatici. **L'assetto antiunitario della Giunta, lucidamente perseguito fin dal novembre scorso, denota una pregiudiziale chiusura ad un dialogo aperto e all'interlocuzione a tutto campo con le aspirazioni manifestate dai cittadini per la coniugazione dei temi della giustizia e della sicurezza e per un'effettiva esigibilità e tutela dei diritti.
Il pregiudiziale rifiuto dei contenuti programmatici proposti da Magistratura Indipendente, e propugnati da una netta maggioranza dei colleghi che si sono espressi nelle recenti elezioni associative, denota una concezione del tutto astratta, autoreferenziale, e votata all'insuccesso fin dal concepimento, delle condizioni minime indispensabili per un effettivo recuperò di funzionalità della giustizia e per una difesa effettiva dell'autonomia ed indipendenza della Magistratura, che la mera riorganizzazione dell'esistente, senza la rivendicazione di risorse umane e strumentali aggiuntive, senza la rivendicazioni di condizioni di lavoro e di trattamento economico dignitose per i magistrati, delle quali si persegue anzi programmaticamente l'ulteriore aggravamento, possa ovviare all'attuale stato di paralisi progressiva dell'amministrazione della giustizia. **L'assurda pretesa di "fare da sé" espressa nel Programma per la giustizia presentato perpetua le condizioni di sterile e controproducente isolamento dell'A.N.M. rispetto all'opinione pubblica, alle legittime istanze della società civile e del mondo politico, alle espressioni associative e sindacali delle altre categorie che operano nei settori della giustizia e della sicurezza. MAGISTRATURA INDIPENDENTE richiama l'attenzione dei colleghi sul fatto che, alla piena condivisione sempre espressa sui temi dell'intransigente tutela dell'indipendenza della Magistratura, delle necessarie riforme sostanziali e processuali in materia civile e penale e sugli opportuni interventi di carattere organizzativo, si è risposto, da parte degli altri gruppi, respingendo senza alcun serio dibattito l'inserimento fra gli obiettivi programmatici delle priorità da Magistratura Indipendente indicate, e ciò senza neppure attendere, ed anzi mirando manifestamente e precipitosamente ad ingabbiare ed ipotecare, il confronto fra i colleghi in occasione del prossimo Congresso dell'A.N.M.
L'attuale maggioranza dell'ANM ha dimostrato concretamente di non voler perseguire una politica di garanzia della complessiva professionalità dei magistrati finalizzata al raggiungimento dell'obbiettivo di una maggiore efficienza nell'amministrazione della giustizia nell'interesse primario della tutela dei diritti dei cittadini e dell'inscindibilmente connessa salvaguardia dell'indipendenza della magistratura.
MAGISTRATURA INDIPENDENTE nel prendere atto di questa situazione e della lontananza della maggioranza dell'A.N.M. dai problemi quotidiani e concreti dei magistrati e nel ribadire il proprio impegno per la tutela dell'autonomia e dell'indipendenza, esterna ed interna, della magistratura, esprime convintamente il proprio voto contrario a un programma e a un governo dell'ANM che sin d'ora non appaiono in grado di affrontare e risolvere nessuno dei problemi che attualmente affliggono il sistema giustizia nel nostro Paese e ne paralizzano l'efficienza, oltre a mortificare dignità e professionalità di tutti i magistrati.
MAGISTRATURA INDIPENDENTE continuerà, pertanto, a perseguire autonomamente l'obiettivo della tutela complessiva dei magistrati e della efficienza della giustizia, restando comunque disponibili ad un confronto aperto a tutte le forze associative e politiche, senza pregiudiziali di sorta, prestando esclusivamente attenzione alle soluzioni che di volta in volta saranno proposte sui singoli problemi.

mercoledì 23 aprile 2008

A proposito di valori

Judge Selah Lively
Suppose you just stood five feet two,

And had worked your way as a grocery clerk,
Studying law by candle lightUntil you became an attorney at law?
And then suppose through your diligenceAnd regular church attendance,
You became attorney for Thomas Rhodes,Collecting notes and mortgages,
And representing all the widows In the Probate Court?
And through it all They jeered at your size, and laughed at your clothes
And your polished boots? And then supposeYou became the County Judge?
And Jefferson Howard and Kinsey Keene,And Harmon Whitney, and all the giants.
Who had sneered at you, were forced to standBefore the bar and say "Your Honor"
Well, don't you think it was natural That I made it hard for them?

Il Giudice Selah Lively
Immaginate di essere alto cinque piedi e due pollici

e di aver cominciato come garzone droghiere finché,
studiando legge di notte,siete riuscito a diventar procuratore.
E immaginate che, a forza di zelo e di frequenza in chiesa,
siate diventato l'uomo di Thomas Rhodes,
quello che raccoglieva obbligazioni ed ipoteche,
e rappresentava le vedove davanti alla corte.
E che nessuno smettesse di burlarsi della vostra statura,
e deridervi per gli abiti e gli stivali lucidi.
Infine voi diventate il Giudice.
Ora Jefferson Howard e Kinsey Keenee
Harmon Whitney e tutti i pezzi grossi che vi avevano schernito
sono costretti a stare in piedi davanti alla sbarra e pronunciare "Vostro Onore".
Be', non vi par naturale che gliel'abbia fatta pagare?
Edgar Lee Master ,
Antologia di Spoon River
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Proprio in queste ore si sta definendo una nuova giunta dell’ANM nel segno dell’unitarietà.
Non ci interessano i programmi o le strategie ,se questi appaiono privi di riferimenti chiari ,se essi si risolvono solo in cambi ( e scambi) di posizioni e nella esposizione di “programmi per la giustizia” che lasciano il tempo che trovano ,sempre uguali e ovviamente sempre “contro “ il disegno degli altri ,mai nel segno del confronto senza pregiudiziali con la società civile e col mondo della politica.
Non c’è ,non ci può essere una magistratura “sdoppiata” ,l’una attenta agli interessi (economici) ,aridamente burocratica e ,ovviamente, pronta a tutto pur di difenderli e l’altra ,la magistratura “unita” e “autentica” solo baluardo dei valori costituzionali.
Ci sono i magistrati.
Ci sono i magistrati nelle sedi disagiate che assistono con un disagio sempre crescente alla soppressione delle loro carriere ,alla impossibilità di programmare ,dopo anni di sacrifici personali e familiari ,il loro percorso professionale.
Ci sono i magistrati più anziani ed esperti nei quali prevale spesso l’amarezza per non essere considerati “idonei” ,spesso con motivazioni pretestuose nei posti direttivi a vantaggio di colleghi più attenti al mondo delle relazioni ,più attenti all’immagine ,più sicuri nei contatti che contano davvero ,quelli che “coltivano le domande” e che sanno far fruttare il loro ruolo .
Ci sono i magistrati che chiedono e ottengono giustizia solo nelle sedi giudiziarie (ed in primo luogo al TAR ) e che chiedono anche per loro quella legalità e quella deontologia (valori anche questi ..e pure centrali) che oggi tutte le professioni si sono riuscite a dare ed a difendere dalle ingerenze politiche di turno.
C’è l’indipendenza dei magistrati ,della magistratura ,che resta l’unico modo di manifestazione della cultura della legalità.
C’è una indipendenza fraintesa ma molto spesso vilipesa ,vista con disagio dai potenti (tutti) quando c’è sentore di imparzialità dalla politica .
C'è l'indipendenza difficile da difendere all'esterno ,ma anche all'interno.
Ci sono le carriere facili (soprattutto quelle di chi sa muoversi bene e al momento giusto) e quelle difficili (quelle di chi non ha santi in paradiso ) . Le domande ,tutte le domande debbono “essere coltivate” si dice .
Ma dove sono i valori di questi coltivatori diretti ? E per loro vale il codice deontologico vigente (1993) che dice (art. 10) " Il magistrato che aspiri a promozioni, a trasferimenti, ad assegnazioni di sede e ad incarichi di ogni natura non si adopera al fine di influire impropriamente sulla relativa decisione, né accetta che altri lo facciano in suo favore. Il magistrato si astiene da ogni intervento che non corrisponda ad esigenze istituzionali sulle decisioni concernenti promozioni, trasferimenti, assegnazioni di sede e conferimento di incarichi "?

C’è tra i valori di riferimento quello dell’imparzialità che viene riconosciuto all’art. 97 della Costituzione ? E qualcuno si è posto il problema che l’assenza di parametri oggettivi (non variabili a seconda del magistrato e della maggioranza consiliare di turno) potrebbe fare prima il conto con l’art. 106 della Costituzione ?
Valori anche questi ? O forse si tratta di trascurabili dettagli burocratici ?
C’è ,per fortuna, lo spirito di servizio di tanti,di troppi che vacilla ogni giorno di più ,ogni giorno di più messo alla prova in condizioni di lavoro ai limiti dell’impossibile ,senza riferimenti e senza speranze ,in un contesto che appare ossessionato dalla produttività (tanto sbandierata e declamata) ma incapace di definire i carichi massimi sul piano della tollerabilità entro confini di dignità e coerenza ,nel rispetto di standards che non possono essere minimali ,ma di adeguatezza e secondo medie non astratte ,ma verificabili e ,soprattutto, ponderate .

Non esiste ,non può esistere una magistratura “di destra” o “di sinistra” .
Esistono solo magistrati ,donne ed uomini ,giovani e meno giovani che hanno le loro diverse passioni ,come è umano ,ma su di esse sanno far prevalere sempre il senso della responsabilità e di rispetto per le loro funzioni . Che non sono un privilegio per pochi ,ma una garanzia per tutti.
Il senso dell’indipendenza ,che è l’unica cosa che ci resta davvero ci può rendere,ancora, tutti più credibili.

Manifesto per una giustizia al servizio di tutti, senza ideologie

Pubblichiamo ,aderendovi il "Manifesto per una giustizia al servizio di tutti,senza ideologie" realizzato da "Ilsussidiario.net" ,chi ci segue può verificare direttamente che su questi temi siamo pienamente d'accordo.
Manifesto per una giustizia al servizio di tutti, senza ideologie

1. Ripartire dal bisogno di giustizia comune a ogni uomo

L’amministrazione della giustizia in Italia è oggi circondata da una diffusa disistima da parte della società, che la giudica generalmente inefficiente e spesso asservita a logiche di parte, antitetiche a quel carattere di indipendenza che dovrebbe costituirne il connotato essenziale.A ciò si accompagna una generale disaffezione da parte di molti operatori, dovuta al senso di inutilità del proprio lavoro: enormi risorse umane ed economiche sono impiegate per la celebrazione di processi destinati spesso a non avere alcun esito concreto (si pensi agli effetti, sotto questo profilo, del provvedimento di indulto o alla celebrazione di processi nei confronti di persone irreperibili, delle quali è addirittura incerta la vera identità e che mai verranno identificate), sicché l’imponente macchina giudiziaria appare non di rado funzionale solo a logiche di autoconservazione burocratica o di soddisfacimento di esigenze corporative.Il risultato di questa situazione è l’attuale paralisi del sistema giustizia ed il sentimento di impotenza e di rassegnazione che affligge quanti, impegnati come operatori del diritto, vorrebbero contribuire ad offrire un servizio che rimane essenziale per una società civile: una giustizia che realizzi il suo scopo, cioè l’“attribuire a ciascuno il suo”, per usare l’espressione del brocardo latino, scolpito su molti palazzi di giustizia del nostro paese.Le cause e le responsabilità di questa situazione sono molteplici, ma una cosa è certa: la crisi della giustizia non è solo crisi di efficienza, sicché non è possibile porre la speranza di un cambiamento esclusivamente in una migliore organizzazione.I problemi posti dall’amministrazione della giustizia in Italia esigono innanzitutto il coraggio di un’umile rifondazione in termini di senso, prima ancora che interventi tesi all’utopica razionalizzazione dell’esistente, giacché tutti - operatori ed utenti – stanno pagano lo scotto di scelte fatte, per troppo tempo ed a diversi livelli (promulgazione delle leggi, organizzazione dell’apparato giudiziario e dell’avvocatura), prescindendo da quell’essenziale dimensione costituita dal bisogno di giustizia che ognuno reclama a gran voce, perché presente nel cuore di ogni uomo, ed il cui soddisfacimento è la condizione per una pacifica convivenza.È innanzitutto questo bisogno che è stato tradito in questi anni: sui temi della giustizia - temi sensibili per l’opinione pubblica proprio perché riconosciuti rispondenti ad un sentire umano innato e condiviso - si è infatti parlato ed agito in termini troppo spesso strumentali, per fornire copertura a posizioni ideologiche, giustificazione a pressioni di gruppi di potere, adesione ad inaccettabili soluzioni compromissorie, con le quale i diversi poteri (politici ed economici) hanno di fatto perseguito i propri interessi particolari, piuttosto che tendere al giusto fine del bene comune, sacrificando le proprie pretese particolari.Si è abbandonata, in altri termini, quella “sensibilità alla verità” che, come richiamava Benedetto XVI nel discorso preparato per la visita all’Università della Sapienza, non può essere sopraffatta dalla “sensibilità per gli interessi”.È dunque necessario ripartire da un onesto e responsabile atteggiamento di fronte al bisogno di giustizia: riconoscere tale bisogno permette di fondare una unità reale ed operativa tra quanti, con diverse funzioni e posizioni di responsabilità, intendono rispondervi, pur consapevoli che la giustizia è un ideale al quale si deve tendere e che non potrà mai essere compiutamente realizzato.È solo a questo livello che appare possibile un confronto proficuo che – anche nell’ambito di un sano compromesso politico – sappia tradursi per il bene di tutti in scelte culturali chiare e verificabili da ciascuno in termini di auspicato beneficio.
2. Il recupero della responsabilità
Qualunque discorso riformatore dell’amministrazione della giustizia non può prescindere dal recupero dell’idea di responsabilità di tutti indistintamente gli operatori della giustizia.Per la magistratura, si tratta innanzitutto di andare oltre un’astratta e spesso strumentale idea di indipendenza che, muovendo da una non realistica immagine di un giudice slegato dal contesto culturale e sociale in cui opera, lo ritiene mero applicatore della legge secondo processi logico-giuridici neutri. È ben noto invece che nell’applicazione della legge spesso il giudice – talora inconsapevolmente – opera delle scelte di valore, delle quali deve dunque assumersi la responsabilità e che deve pertanto onestamente esplicitare, per permettere un reale controllo della società sul suo operato: un controllo finalizzato alla verifica del rispetto non solo della lettera, ma anche dello spirito della legge. Il giudice non opera infatti in una torre d’avorio avulsa dal contesto sociale e chi lo afferma non fa che proporre una pericolosa mistificazione, tesa spesso a mascherare posizioni ideologiche nell’esercizio della giurisdizione. Solo questa consapevolezza permette di evitare che il pur indispensabile valore dell’indipendenza della magistratura (principio cardine irrinunciabile di ogni ordinamento democratico) si risolva nell’avallo di arbitrarie posizioni soggettive.L’indipendenza implica dunque sempre una responsabilità di fronte a qualcosa ed a qualcuno. Per il giudice significa responsabilità di fronte al supremo bisogno di giustizia, in una costante ed intellettualmente onesta tensione all’attuazione della sovranità popolare espressa dalla legge, tanto più quando essa – come spesso accade - lascia inevitabili margini di scelta nel momento della sua concreta applicazione. Questi casi non devono essere il pretesto per il giudice di affermare le proprie parziali e soggettive opzioni culturali ed ideologiche, compiendo così una scelta dirompente in una società culturalmente non omogenea come quella italiana.Quanto poi alle consapevoli distorsioni della giustizia a fini di parte, mediante lo stravolgimento della stessa lettera delle legge e la strumentalizzazione del ruolo istituzionale del giudice per ragioni politiche (si pensi a taluni casi di abuso nell’utilizzo e nella divulgazione delle intercettazioni telefoniche o ai casi di sistematica violazione del segreto), si deve affermare con forza che esse esulano dall’idea stessa di giurisdizione e richiedono solo reazioni repressive (oggi non sempre adeguate), anche per evitare che il discredito così generato travolga i molti che lavorano con sacrificio, passione e reale indipendenza.La necessità del recupero dell’idea di responsabilità riguarda non solo i magistrati, ma tutti gli operatori del diritto: l’azione di ciascuno – qualunque sia il ruolo rivestito – deve infatti essere funzionale alla risposta al bisogno di giustizia presente nel cuore di ogni uomo e che la società deve soddisfare.Questo significa ad esempio che per l’avvocato l’interesse particolare che egli è chiamato a servire non può essere il criterio da affermare a qualunque costo e senza alcun limite, fino a giungere allo stravolgimento degli istituti processuali: è necessario recuperare l’idea dell’avvocato come “patrocinatore”, termine questo la cui radice è la parola pater, la quale evoca l’idea di una responsabilità verso la totalità dei fatti costitutivi del reale, sicché proprio tale totalità non deve essere persa di vista anche nella difesa dell’interesse particolare.Ma il richiamo alla responsabilità di fronte al bisogno di giustizia riguarda anche coloro che hanno, nella struttura burocratica, responsabilità organizzative: spesso l’inefficienza della giustizia deriva infatti dalla mancanza di coraggio nell’adottare scelte che intacchino apparati burocratici e prassi organizzative finalizzate solo al mantenimento di strutture ormai prive di una reale utilità o comportanti costi sproporzionati rispetto ai risultati raggiunti.
3. La giustizia penale
La situazione della giustizia penale sembra caratterizzata da problemi talmente radicati e inestricabili, da far apparire velleitaria ogni proposta riformatrice, tanto che spesso ci si rifugia in generiche e scontate affermazioni di principio o ci si riduce alla formulazione di proposte specifiche che tuttavia eludono una presa di posizione sulle scelte culturali imposte da un’opzione realmente riformatrice.Chi non è d’accordo ad esempio sulla necessità del “completamento della riforma dei codici” o di “completare la stagione di riforme 1996-2002 portando a compimento le misure già avviate sul processo civile e penale”, per stare ad alcune affermazioni che si leggono oggi nei programmi elettorali? Non si dice però quale forma si propone per questo completamento, visto che proprio le precedenti riforme sono state caratterizzate da continue e spesso contraddittorie oscillazioni tra diversi modelli di processo.Proprio questa situazione dimostra che il vero nodo da sciogliere per affrontare in modo adeguato i problemi della giustizia penale è innanzitutto culturale: più che in ogni altro campo, si richiede infatti la consapevolezza che la soluzione di ogni problema impone il coraggio di una scelta tra esigenze spesso contrastanti, cioè il coraggio di una sintesi equilibrata, ma culturalmente consapevole.Così ad esempio, quando si pone il problema della riduzione dei tempi della giustizia per l’attuazione del principio della ragionevole durata del processo, si deve riconoscere che ciò impone forme di esercizio della giurisdizione più snelle e pragmatiche (prevalenza data ai riti speciali, riduzione delle motivazioni delle sentenze, riduzione dei mezzi di impugnazione, adozione di meccanismi che favoriscano la prevalenza alle questioni sostanziali a scapito di eccezioni processuali meramente defatigatorie, ecc.). In particolare, non è possibile privilegiare la scelta di un modello processuale accusatorio e pretendere nel contempo – come si continua a fare – il mantenimento degli istituti tipici di un modello inquisitorio, perché il risultato di questa situazione ibrida è inevitabilmente l’attuale paralisi del processo penale.E ancora, quando si parla di recupero della certezza della pena o della necessità di aumentarla per taluni delitti che destano particolare allarme sociale, si deve essere consapevoli che l’affermazione di queste esigenze si pone inevitabilmente in rotta di collisione con una serie di istituti genericamente definibili “clemenziali”, che di fatto contraddicono l’esigenza di certezza e di adeguatezza della reazione dello Stato a forme anche gravissime di criminalità. Si pensi, ad esempio, ai numerosi istituti sostanziali e processuali – dei quali è spesso prevista l’applicabilità cumulativa e non alternativa – che di fatto portano a rilevantissime riduzioni di pena, con inevitabile svilimento della risposta punitiva dello Stato rispetto al disvalore del reato commesso.Si tratta però di istituti “clemenziali” che costituiscono la condizione indispensabile perché il sistema carcerario, nelle sua forma attuale (tutt’altro che soddisfacente) possa sopravvivere, sicché ancora una volta la declamazione di astratte affermazioni di principio (la certezza di una pena adeguata alla gravità del fatto), senza una realistica valutazione del loro impatto sull’organizzazione complessiva, rischia di risolversi nell’ennesima operazione ideologica di facciata, che finisce con il tradire, strumentalizzandola ad altri fini, proprio quell’esigenza di giustizia che, come si è detto, è il senso dell’istituzione giudiziaria.Il richiamo alla concretezza appare decisivo nel campo della giustizia penale, anche perché in questi anni si è assistito troppe volte alla schematica trasformazione di astratti principi in norme, senza tenere conto delle dinamiche reali originate dalla loro applicazione. Così, ad esempio, invece che concentrare la persecuzione penale su fattispecie connotate da un marcato disvalore, proprio per astratte affermazioni di principio si è talora adottata la strategia di una persecuzione penale a tutto campo, con la conseguente paralisi e perdita di credibilità dell’intera amministrazione giudiziaria.Ripartendo dalla giustizia come esigenza connaturata alla persona, è dunque necessario ritornare all’idea del diritto penale quale strumento indispensabile per la tutela di alcuni beni fondamentali dell’individuo e della società, in funzione della salvaguardia della pacifica convivenza: fermezza dello Stato nell’affermazione del diritto e quindi certezza della pena (realisticamente riservata, nel caso di pena detentiva, ai reati più gravi) sono le condizioni sulle quali è poi possibile inserire adeguati strumenti che favoriscano la risocializzazione di chi è stato condannato, e quindi il cambiamento della persona.Questo cambiamento è ben possibile, perché sempre la libertà come adesione al bene può ridestarsi in un incontro con un’esperienza che fa emergere le esigenza di felicità, di bellezza e di giustizia costitutive del cuore di ognuno, qualunque reato abbia commesso, come testimoniano le esperienze di lavoro in carcere, che in questi anni hanno rappresentato nel nostro paese la concreta possibilità di una nuova vita per molti detenuti, pur nella drammaticità della condizione carceraria.
4. La giustizia civile
Nel campo della giustizia civile, negli ultimi anni vi è stata la parossistica corsa alla modifica e all’aggiunta di riti civili sperimentali, con l’esplicito intento di trovare il modo per ridurre la durata dei processi e aumentare l’efficienza del servizio giustizia.Il risultato che è sotto gli occhi di tutti non è esaltante: un’enorme molteplicità di riti determina spesso perdite di tempo e di energie, senza parlare dell’estrema facilità dell’errore nella scelta del rito, cosicché, di fatto, è altissima la percentuale di processi in cui la maggior parte delle energie viene spesa per “litigare” su come “litigare”.Proprio per non tradire anche in questo campo l’esigenza di giustizia, è necessario ribadire che il processo ha la funzione di indicare la modalità con cui si esprime la domanda di giustizia e quindi deve rimanere sussidiario alla sostanza delle controversie da esaminare, facilitando l’impostazione dei problemi sostanziali, non aggiungendo inutili problemi che con questi hanno ben poco a che fare.Anche in questa materia si deve dunque scegliere e la scelta più opportuna appare quella di individuare un unico rito civile. Il modello da adottare può essere ad esempio quello ordinario attuale (recentemente riformato), che garantisce una sufficiente elasticità di adattamento alle diverse tipologie ed alla diversa importanza delle controversie, con previsione della competenza collegiale di alcune categorie di cause e fatta salva la possibilità di rafforzare il modello con un uso adeguato dello strumento delle preclusioni. Ma la scelta può cadere anche sul rito del lavoro (introdotto già dal 1973) che presenta caratteristiche efficaci di oralità, celerità ed immediatezza, e “costringe” le parti a dire “tutto e subito” fin dagli atti introduttivi, consentendo al giudice di interrogare alla prima udienza le parti con cognizione di causa e di tentare efficacemente la conciliazione: si tratta di un modello già collaudato che scoraggia manovre dilatorie delle parti e degli avvocati e inutili incrementi di tempi e di costi.Una scelta semplificatoria nei termini indicati non potrà non riverberarsi positivamente sui tempi della giustizia civile, che spesso appaiono, ora, così dilatati da vanificare l’idea del rendere giustizia nel caso concreto.A fronte della crescente complessità del contenzioso e della disciplina applicabile, rimane poi il problema della specializzazione del giudice, spesso censurato a priori da scelte di principio forse troppo rigide o, più banalmente, da preoccupazioni corporative. La tensione al giusto suggerisce, invece, di ripensare la questione: salvaguardando un’adeguata conoscenza da parte del giudicante della materia che è chiamato a decidere, con tutte le cautele necessarie a evitare cristallizzazioni o posizioni di potere.
5. Ripartire dall’essenziale
Nel settore della giustizia nessuno possiede ricette magiche preconfezionate che garantiscano la soluzione di tutti i problemi, ma è proprio perché la crisi del sistema giudiziario è oggi così grave e diffusa che si deve ripartire dall’essenziale, affermando con forza che lo scopo della giustizia – lo si è spesso dimenticato – consiste nell’affermazione del bene e quindi del giusto, uno scopo al quale è funzionale – pur nella diversità dei ruoli – l’attività di ogni operatore del diritto e di ogni struttura organizzativa.Senza il riconoscimento della senso di giustizia e della necessaria tensione ad attuarlo, pur con l’inevitabile approssimazione e fallibilità insita in ogni strumento umano, una società è destinata ad autodistruggersi, perché elimina una dimensione essenziale di ogni persona.

Mantovano: troppi tentativi di riforma della giustizia hanno generato confusione

Ripubblichiamo una interessante intervista ad Alfredo Mantovano pubblicata su Il sussidiario" . I temi sono importanti e ,ci sembra,quanto sta accadendo in queste ore con la definizione di una nuova Giunta della ANM conferma l'assoluta necessità di un confronto e di un dialogo per una attenzione condivisa ai temi della giustizia. Senza pregiudizi.
Mantovano: troppi tentativi di riforma della giustizia hanno generato confusione
Nel parlare di giustizia in Italia sembra d’obbligo prendere le mosse dalla travagliata riforma dell’ordinamento giudiziario: secondo Lei questo settore cruciale dell’organizzazione giudiziaria richiede ulteriori interventi riformatori?
Occorre innanzitutto capire cosa è successo: la riforma Castelli aveva una sua impostazione originaria, ma ha conosciuto un iter parlamentare abbastanza contrastato, che quindi ha prodotto norme che non sono il massimo della chiarezza.Su questo si è innestato il tentativo di bloccare una parte della riforma a opera di Mastella. Il risultato è che i problemi nell’organizzazione degli uffici e nella gestione delle norme più significative della riforma stanno determinando la paralisi di alcuni di questi uffici. Mi riferisco soprattutto alla disposizione sul limite di permanenza dei direttivi, ai ricorsi e ai contro ricorsi. Ora il governo Prodi ha approvato un decreto di proroga della permanenza dei direttivi: era la cosa più facile da realizzare, perché così si rinvia la definizione della varie controversie al prossimo esecutivo. A mio avviso, ciò che va fatto in primis sul fronte dell’ordinamento giudiziario è una valutazione dell’impatto già avuto, o che possono avere, le norme della riforma per capire col massimo dell’equilibrio, e anche della pragmaticità, che cosa è bene che resti in piedi e che cosa invece rende opportune rettifiche e modifiche. Il tutto, ovviamente, senza sottostare a diktat da parte di organismi rappresentativi, a cominciare dalla Associazione nazionale magistrati, ma neanche immaginando che una cosa del genere possa accadere senza mai sentire gli “addetti ai lavori”. Quindi con una linea di equilibrio anche sul piano del coinvolgimento di tutti i soggetti interessati.
In particolare è ancora decisiva la tematica della separazione delle carriere tra magistratura giudicante ed inquirente?
Se l’aggettivo “decisiva” viene adoperato come espressivo di una sorta di bacchetta magica, la risposta è negativa. Se viene letto invece come un contributo a rettificare un quadro che è estremamente problematico, la separazione delle carriere può essere positiva. Questo per due ragioni.La prima si collega alla struttura del Codice di procedura penale: fino a 15-20 anni fa, ero assolutamente contrario alla separazione, ho scritto qualcosa a sostegno di questa opposizione, ma nel frattempo è cambiata la Costituzione, che ha introdotto il giusto processo e ha portato il pubblico ministero su un piano di assoluta parità con la difesa. Nel frattempo, è diventato pienamente operativo il nuovo Codice di procedura penale che, nel bene e nel male, dà applicazione al principio costituzionale. Riesce complicato allora, con un assetto costituzionale e di legislazione ordinaria di questo tipo, immaginare che una delle parti processuali rientri nel medesimo ordine, senza nessuna differenza sostanziale rispetto a chi dovrà giudicare. Questo è un profilo della separazione delle carriere. Veniamo alla seconda ragione. Un motivo per il quale ci si oppone alla separazione riguarda il ruolo del Pm. Si sostiene che il Pm, essendo comunque una parte pubblica, è bene che respiri la stessa cultura della giurisdizione che è propria del magistrato giudicante, per evitare le distorsioni dell’essere “troppo di parte”. Tant’è che esiste una disposizione del Codice di procedura penale che prevede che il Pm faccia le indagini nell’interesse dell’indagato e se vi è qualche elemento teso al suo proscioglimento, questo vada approfondito. In realtà la prassi successiva al nuovo Codice di procedura penale vede non tanto il Pm adeguarsi alla stessa cultura del magistrato giudicante, quanto quest’ultimo abbeverarsi alla stessa cultura della persecuzione penale della parte inquirente. In termini ancora più espliciti e rozzi, senza però generalizzare, si trova più il Gip succube del Pm che non il contrario, e nel momento in cui la progressione in carriera del magistrato giudicante, nella carriera unica, viene definita anche dal Pm che siede nel consiglio giudiziario o nel Consiglio superiore della magistratura, c’è una commistione di ruoli che può incidere, e ha inciso, negativamente anche sull’esercizio della giurisdizione per quanto riguarda la terzietà e l’imparzialità. Per cui, poiché non è una questione dogmatica, bensì molto concreta che dipende sia da contesti costituzionali e legislativi, sia da come le norme vengono applicate, non credo debba rappresentare un tabù, o un motivo di scontro frontale, quanto piuttosto un tema da approfondire. Registro che a differenza del passato, quando se ne parla anche nei contesti di magistratura associata gli interessati ascoltano e magari qualcuno prende anche in considerazione taluno dei motivi che vengono portati a sostegno della separazione delle carriere.
Per l’opinione comune “amministrazione della giustizia” equivale ad “inefficienza”: quali concrete e praticabili riforme possono dare in tempi brevi maggiore efficienza alla macchina giudiziaria?
Non sono sicuro che i tempi per realizzare una efficienza diffusa possano essere brevi. I rimedi non sono univoci, nel senso che è troppo semplice parlare di più risorse per l’amministrazione della giustizia, poiché gettarle a pioggia lascia le cose esattamente come stavano.Una strada positiva potrebbe essere quella di individuare uffici giudiziari che si prestino a realizzare modelli virtuosi. Come esistono i patti per la sicurezza, potrebbero introdursi dei patti per la giustizia che prevedano che l’ufficio si impegni a raggiungere determinati risultati in termini di produttività: un certo numero di sentenze, un certo numero di udienze a settimana e un certo numero di giorni per arrivare alle sentenze. Intanto l’ufficio chiede al Ministero risorse adeguate per raggiungere questo obiettivo; a distanza di un tempo congruo si fa un bilancio per verificare se il patto ha funzionato. Nel momento in cui funziona, si estende l’esperimento ad altri uffici giudiziari. Così le risorse possono essere adoperate nel modo più razionale.È evidente che questo però non basta: è necessario introdurre dei meccanismi di verifica del lavoro dei magistrati per evitare che continui l’anomalia che permette che ci siano giudici che lavorano 12 ore al giorno e altri che lavorano 12 ore al mese. Ed è sbagliato parlare generalmente di “inefficienza della magistratura” quando ci sono queste disparità all’interno dello stesso corpo giudiziario. Per fare emergere queste anomalie certamente la sezione disciplinare non può continuare a stare all’interno del Csm. Questo, come il nodo della separazione delle carriere, richiede una rettifica costituzionale che è assolutamente necessaria, poiché il meccanismo di giudizio disciplinare esercitato da un organo di carattere elettivo-sindacale, in cui il giudicato si fa giudicare da coloro che ha concorso a eleggere, non funziona. Si tratta, in questo caso, di un meccanismo lassista in cui ci si scambia praticamente la cortesia tra le correnti della magistratura associata nei confronti dei proprio iscritti. E vengono puniti soltanto coloro che non hanno coperture correntizie adeguate. Questo riguarda l’aspetto più patologico, cioè le violazioni della deontologia professionale, che in tanti casi si realizzano. In altri frangenti sarebbe utile individuare commissioni riguardanti l’avanzamento in carriera che non siano limitate ai magistrati, ma coinvolgano anche gli esponenti qualificati, per esempio, della professione forense, in modo che ci sia un criterio tendenzialmente obiettivo della professionalità ai fini della progressione in carriera. Anche su questi punti io non ho riscontrato opposizioni pregiudiziali da parte della magistratura associata e ho riscontrato invece un interesse ad approfondire e individuare delle soluzioni adeguate, salvo poi a condividerle sino in fondo. Ma per lo meno si condivide il percorso per arrivarci.
La crisi dell’amministrazione della giustizia in Italia non sembra però solo crisi di efficienza: non le sembra che alla base di essa vi sia anche la perdita dell’evidenza di un senso di giustizia condiviso dal corpo sociale e che questo spieghi le scelte spesso così contraddittorie o di parte dei giudici?
Questo è verissimo, i giudici non vivono in una torre d’avorio, risentono in pieno di condizionamenti culturali in senso lato ed è innegabile che vi sia una cultura dominante che si muove in una direzione di assoluto relativismo, che spiega i contrasti giurisprudenziali su materie significative (anche talora all’interno della stessa sezione della Corte di Cassazione), che pure, secondo l’impostazione originaria, ovvero quella illuministica (secondo la quale la Corte di Cassazione doveva dire l’ultima parola, quella definitiva, quella certa su tutto), teoricamente dovrebbero essere inammissibili. Invece questi contrasti esistono e se ci sono in sede di Cassazione figuriamoci se non esistono nelle sedi di merito. A ciò si aggiungano leggi spesso farraginose e poco comprensibili che facilitano il contenzioso. È inimmaginabile pensare di affrontare la crisi della giustizia esclusivamente con criteri interni all’amministrazione della giustizia.Questo è un lavoro che richiede una prospettiva di lungo termine: che va avviato, ma non si può immaginare che, proprio perché i condizionamenti sono culturali, possa dare risultati nel giro di pochi anni.
Si ha l’impressione che per affrontare in modo adeguato i problemi della giustizia sia necessario scegliere con coraggio tra esigenze spesso contrastanti (ad esempio certezza della pena o istituti che potremmo genericamente chiamare “clemenziali”): è un’impressione che condivide? Quali sono le esigenze alle quali è necessario dare oggi la preminenza per una reale riforma della giustizia?
Negli ultimi 30 anni tutti gli interventi in materia giudiziaria sono stati sollecitati dalle esigenze del momento, soprattutto quelli in materia di giustizia penale, di procedura, di diritto penale sostanziale. Basti pensare al processo Tortora, al quale è seguita la restrizione dei tempi della custodia cautelare. E poi alle stragi mafiose a Palermo, cui è seguita la dilatazione di questi tempi e l’introduzione di misure più rigide all’interno del processo penale. E poi da capo restrizione, poi nuovamente ampliamenti, poi di nuovo restrizione: tutto questo non fa bene alla giustizia perché non dà riferimenti certi. Questo è particolarmente grave quando si arriva all’esecuzione della pena. Oggi la somma ingiustizia è che l’unica pena che viene effettivamente espiata è quella in custodia cautelare, quando non c’è alcun accertamento serio in contraddittorio sulla responsabilità. Quando invece la decisione diventa definitiva, quindi l’accertamento si è concluso dopo aver esaurito il contradditorio e anche tutti i gradi del giudizio, allora entrano in funzione una serie di benefici che di fatto vanificano la sanzione penale anche per i reati più gravi. Non è da contestare ciascun singolo beneficio, sia del Codice penale, (penso alle varie attenuanti che esistono), sia nel Codice di procedura penale (penso agli abbattimenti di pena per il patteggiameto, per il giudizio abbreviato e così via), sia nell’ordinamento penitenziario (dall’affidamento in prova al servizio sociale alla semilibertà e così via). Quello che è da contestare è che questi benefici non sono l’uno alternativo all’altro, ma si sommano. Una voce del programma del Pdl è che dei benefici si può fruire se si è incensurati, cioè se è la prima volta che si commette un reato o comunque se non si ha un profilo di particolare propensione a delinquere. Se invece si è recidivi in modo corposo e consistente, i benefici diventano uno strumento per tornare a delinquere. La proposta che noi formuliamo è la progressiva restrizione dei benefici in dipendenza della propensione a delinquere da parte del reo.
Cosa Le suggerisce il richiamo di Benedetto XVI, nel discorso preparato per la visita all’Università della Sapienza a Roma, alla necessità della riscoperta della sensibilità per la verità?
Il Papa in quel discorso richiama inizialmente Habermas, un autore laico. Lo cita per individuare come criteri di legittimazione delle costituzioni politiche non soltanto la maggioranza aritmetica, ma anche lo sforzo di avvicinamento alla verità. Non a caso subito dopo cita Pilato, l’emblema del giudice che trova di fronte a sè la verità. Pur riconoscendola, anche formalmente, decide in senso opposto rispetto all’evidenza del fatto, in quel caso all’evidenza dell’innocenza che lui aveva proclamato, perché spinto proprio da altre sollecitazioni e da altre argomentazioni che non esplicita neanche. Questo significa che il ruolo della cultura, e quindi anche di quella giuridica, deve orientarsi sempre di più verso l’acquisizione del senso di realtà. Non a caso ogni qualvolta sia le leggi che le decisioni giudiziarie si sono occupate, con effetti importanti, per esempio del diritto alla vita, hanno evitato accuratamente di rispondere al quesito: ma quando inizia la vita? Se si legge, per esempio, la sentenza della corte suprema degli Stati Uniti che nel 1973 liberalizzò l’aborto, o se si pensa alla relazione che ha accompagnato poi la legge 194, c’è l’esplicito rifiuto di definire o di constatare scientificamente, qual è il momento dell’inizio della vita. Naturalmente questa negazione del dato di verità, e quindi questo allontanamento dal senso di realtà, non è privo di effetti: nel giudizio di Pilato la domanda scettica e relativistica di quel cattivo giudice “Quid est veritas?” sta quasi a dire che la verità non esiste, che ognuno ha la sua, e ha avuto come effetto la condanna a morte più ingiusta della storia. Allo stesso modo il rifiuto della verità sull’identità del concepito ha avuto come effetto la molteplicità di omicidi di innocenti.

domenica 6 aprile 2008

I nuovi consigli giudiziari : la posizione di Controcorrente

Oggi i magistrati votano . Votano per i "nuovi " consigli giudiziari ,cui è stato affidato un ruolo importante in materia di verifiche di professionalità sul territorio.
Controcorrente ,come altri gruppi sostiene e partecipa alle iniziative di Magistratura indipendente ,unico tra i gruppi associativi ad avere aderito con interesse alle proposte di "apertura" ,ad averle sostenute e fatte proprie ,ad avere inserito nelle sue liste candidati non formalmente iscritti.
Immaginiamo ,insieme a Magistratura indipendente,un più chiaro ruolo sindacale per l'ANM e un recupero di dignità ed indipendenza (dalla politica interna ed esterna) nella difesa delle funzioni giudiziarie .
Non sosterremo in alcun modo le liste apparentemente "nuove" ,indipendentemente da partecipanti , denominazioni e programmi (originali e molto spesso non) perchè il nostro percorso ideale è stato ed è trasparente ,la nostra coerenza ,anche programmatica è visibile e controllabile ,e non abbiamo perso perciò uno spirito autenticamente "trasversale" ,e perciò auguriamo ogni successo ai tanti candidati presenti nelle diverse liste "tradizionali" di corrente ,colleghe e colleghi che possono ,prima di tutto con la propria esperienza individuale (e non solo per esercitare un ruolo di potere) farsi carico di una responsabilità di autogoverno in sede locale.
Non crediamo ai cartelli elettorali nati per caso (come le tante liste presenti nella politica odierna) e prive di ideali .
Non crediamo nel rampantismo sterile di tanti nè nelle formule magiche fatte solo per ottenere consenso senza nessun metodo democratico .
E siamo convinti che i colleghi capiranno ,perchè l'importante non è "vincere" ma "convincere" sul piano delle istituzioni che queste elezioni esprimeranno.

E' on line il convegno del 4 aprile 2008

Con un link a radio radicale è disponibile per l'ascolto audio il convegno "organizzare la giustizia" del 4 aprile 2008.

martedì 1 aprile 2008

A proposito di intercettazioni ...

Tra i pochi argomenti che interessano la campagna elettorale ci sono ,manco a dirlo, le intercettazioni telefoniche .
Si dice che esse sono eccessive nel nostro Paese ,che vi è un abuso e che in altri paesi la normativa è più restrittiva .
Non vogliamo entrare nel merito ma fare semplice opera di documentazione rinviando proprio ad un recentissimo atto parlamentare (che perciò dovrebbe essere noto a chi propone norme più restrittive e addirittura "la galera" a chi le dispone e cioè ai magistrati) :

2. 3 Innanzitutto, va preliminarmente osservato come non possa sostenersi, nemmeno nel confronto con i sistemi normativi delle altre democrazie occidentali, che il nostro sistema preveda un numero eccessivo di reati, per i quali ex lege sia consentito disporre intercettazioni telefoniche. La semplice presa d’atto di quanto previsto negli Stati esteri già citati (Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania e U.S.A.) ci convince facilmente del contrario o, quanto meno, del fatto che la previsione delle fattispecie normative è in Italia più precisa e meglio delineata, con pressoché nulle possibilità di interpretazioni allargate o estensive, come invece succede per altri Stati, soprattutto in materia terroristica-eversiva. La stessa durata delle intercettazioni e delle proroghe prevista nel nostro ordinamento non si discosta molto dalla durata di quanto consentito all’estero, anzi in alcuni casi la nostra normativa è sicuramente più restrittiva.
Avete letto bene ? Si tratta della Commissione giustizia del Senato GIUSTIZIA (2ª) MERCOLEDÌ 29 NOVEMBRE 2006 45ª Seduta (pomeridiana) Pres. Salvi
http://notes9.senato.it/W3/Lavori.nsf/All/49EA81F02AA53689C125723500631ACC?OpenDocument e proprio a conclusione dell'indagine conoscitiva sul fenomeno delle intercettazioni telefoniche.

Per chi fosse interessato ad approfondire gli aspetti giurisprudenziali ,rinviamo invece al saggio di Diana De Martino pubblicato nel corso di un incontro del CSM :
http://appinter.csm.it/incontri/relaz/13065.pdf