sabato 1 dicembre 2007

La logica del Conte zio 2 (chi vi ricorda ? )




Chi vi ricorda ??



Alessandro Manzoni ,I promessi sposi cap. XVIII




"..Attilio, appena arrivato a Milano, andò, come aveva promesso a don Rodrigo, a far visita al loro comune zio del Consiglio segreto. (Era una consulta, composta allora di tredici personaggi di toga e di spada, da cui il governatore prendeva parere, e che, morendo uno di questi, o venendo mutato, assumeva temporaneamente il governo).



Il conte zio, togato, e uno degli anziani del consiglio, vi godeva un certo credito; ma nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri, non c'era il suo compagno.



Un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d'occhi che esprimeva: non posso parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quel fine; e tutto, o più o meno, tornava in pro.



A segno che fino a un: io non posso niente in questo affare: detto talvolta per la pura verità, ma detto in modo che non gli era creduto, serviva ad accrescere il concetto, e quindi la realtà del suo potere: come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c'è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega. Quello del conte zio, che, da gran tempo, era sempre andato crescendo a lentissimi gradi, ultimamente aveva fatto in una volta un passo, come si dice, di gigante, per un'occasione straordinaria, un viaggio a Madrid, con una missione alla corte; dove, che accoglienza gli fosse fatta, bisognava sentirlo raccontar da lui. Per non dir altro, il conte duca l'aveva trattato con una degnazione particolare, e ammesso alla sua confidenza, a segno d'avergli una volta domandato, in presenza, si può dire, di mezza la corte come gli piacesse Madrid, e d'avergli un'altra volta detto a quattr'occhi, nel vano d'una finestra, che il duomo di Milano era il tempio più grande che fosse negli stati del re. Fatti i suoi complimenti al conte zio, e presentatigli quelli del cugino, Attilio, con un suo contegno serio, che sapeva prendere a tempo, disse: - credo di fare il mio dovere, senza mancare alla confidenza di Rodrigo, avvertendo il signore zio d'un affare che, se lei non ci mette una mano, può diventar serio, e portar delle conseguenze... - Qualcheduna delle sue, m'immagino. - Per giustizia, devo dire che il torto non è dalla parte di mio cugino. Ma è riscaldato; e, come dico, non c'è che il signore zio, che possa... - Vediamo, vediamo. - C'è da quelle parti un frate cappuccino che l'ha con Rodrigo e la cosa è arrivata a un punto che... - Quante volte v'ho detto, all'uno e all'altro, che i frati bisogna lasciarli cuocere nel loro brodo? Basta il da fare che dànno a chi deve... a chi tocca... - E qui soffiò. - Ma voi altri che potete scansarli... - Signore zio, in questo, è mio dovere di dirle che Rodrigo l'avrebbe scansato, se avesse potuto. E il frate che l'ha con lui, che l'ha preso a provocarlo in tutte la maniere... - Che diavolo ha codesto frate con mio nipote? - Prima di tutto, è una testa inquieta, conosciuto per tale, e che fa professione di prendersela coi cavalieri. Costui protegge, dirige, che so io? una contadinotta di là; e ha per questa creatura una carità, una carità... non dico pelosa, ma una carità molto gelosa, sospettosa, permalosa. - Intendo, - disse il conte zio; e sur un certo fondo di goffaggine, dipintogli in viso dalla natura, velato poi e ricoperto, a più mani, di politica, balenò un raggio di malizia, che vi faceva un bellissimo vedere. - Ora, da qualche tempo, - continuò Attilio, - s'è cacciato in testa questo frate, che Rodrigo avesse non so che disegni sopra questa... - S'è cacciato in testa, s'è cacciato in testa: lo conosco anch'io il signor don Rodrigo; e ci vuol altro avvocato che vossignoria, per giustificarlo in queste materie. - Signore zio, che Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo a quella creatura, incontrandola per la strada, non sarei lontano dal crederlo: è giovine, e finalmente non è cappuccino; ma queste son bazzecole da non trattenerne il signore zio; il serio è che il frate s'è messo a parlar di Rodrigo come si farebbe d'un mascalzone, cerca d'aizzargli contro tutto il paese... - E gli altri frati? - Non se ne impicciano, perché lo conoscono per una testa calda, e hanno tutto il rispetto per Rodrigo; ma, dall'altra parte, questo frate ha un gran credito presso i villani, perché fa poi anche il santo, e... - M'immagino che non sappia che Rodrigo è mio nipote. - Se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più il diavolo addosso. - Come? Come? - Perché, e lo va dicendo lui, ci trova più gusto a farla vedere a Rodrigo, appunto perché questo ha un protettor naturale, di tanta autorità come vossignoria: e che lui se la ride de' grandi e de' politici, e che il cordone di san Francesco tien legate anche le spade, e che... - Oh frate temerario! Come si chiama costui? - Fra Cristoforo da *** - disse Attilio; e il conte zio, preso da una cassetta del suo tavolino, un libriccino di memorie, vi scrisse, soffiando, soffiando, quel povero nome. Intanto Attilio seguitava: - è sempre stato di quell'umore, costui: si sa la sua vita. Era un plebeo che, trovandosi aver quattro soldi, voleva competere coi cavalieri del suo paese; e, per rabbia di non poterla vincer con tutti, ne ammazzò uno; onde, per iscansar la forca, si fece frate. - Ma bravo! ma bene! La vedremo, la vedremo, - diceva il conte zio, seguitando a soffiare. - Ora poi, - continuava Attilio, - è più arrabbiato che mai, perché gli è andato a monte un disegno che gli premeva molto molto: e da questo il signore zio capirà che uomo sia. Voleva costui maritare quella sua creatura: fosse per levarla dai pericoli del mondo, lei m'intende, o per che altro si fosse, la voleva maritare assolutamente; e aveva trovato il... l'uomo: un'altra sua creatura, un soggetto, che, forse e senza forse, anche il signore zio lo conoscerà di nome; perché tengo per certo che il Consiglio segreto avrà dovuto occuparsi di quel degno soggetto. - Chi è costui? - Un filatore di seta, Lorenzo Tramaglino, quello che... - Lorenzo Tramaglino! - esclamò il conte zio. - Ma bene! ma bravo, padre! Sicuro... infatti..., aveva una lettera per un... Peccato che... Ma non importa; va bene. E perché il signor don Rodrigo non mi dice nulla di tutto questo? perché lascia andar le cose tant'avanti, e non si rivolge a chi lo può e vuole dirigere e sostenere? - Dirò il vero anche in questo, - proseguiva Attilio. - Da una parte, sapendo quante brighe, quante cose ha per la testa il signore zio... - (questo, soffiando, vi mise la mano, come per significare la gran fatica ch'era a farcele star tutte) - s'è fatto scrupolo di darle una briga di più. E poi, dirò tutto: da quello che ho potuto capire, è così irritato, così fuor de' gangheri, così stucco delle villanie di quel frate, che ha più voglia di farsi giustizia da sé, in qualche maniera sommaria, che d'ottenerla in una maniera regolare, dalla prudenza e dal braccio del signore zio. Io ho cercato di smorzare; ma vedendo che la cosa andava per le brutte, ho creduto che fosse mio dovere d'avvertir di tutto il signore zio, che alla fine è il capo e la colonna della casa... - Avresti fatto meglio a parlare un poco prima. - È vero; ma io andavo sperando che la cosa svanirebbe da sé, o che il frate tornerebbe finalmente in cervello, o che se n'anderebbe da quel convento, come accade di questi frati, che ora sono qua, ora sono là; e allora tutto sarebbe finito. Ma... - Ora toccherà a me a raccomodarla. - Così ho pensato anch'io. Ho detto tra me: il signore zio, con la sua avvedutezza, con la sua autorità, saprà lui prevenire uno scandolo, e insieme salvar l'onore di Rodrigo, che è poi anche il suo. Questo frate, dicevo io, l'ha sempre col cordone di san Francesco; ma per adoprarlo a proposito, il cordone di san Francesco, non è necessario d'averlo intorno alla pancia. Il signore zio ha cento mezzi ch'io non conosco: so che il padre provinciale ha, com'è giusto, una gran deferenza per lui; e se il signore zio crede che in questo caso il miglior ripiego sia di far cambiar aria al frate, lui con due parole... - Lasci il pensiero a chi tocca, vossignoria, - disse un po' ruvidamente il conte zio. - Ah è vero! - esclamò Attilio, con una tentennatina di testa, e con un sogghigno di compassione per sé stesso. - Son io l'uomo da dar pareri al signore zio! Ma è la passione che ho della riputazione del casato che mi fa parlare. E ho anche paura d'aver fatto un altro male, - soggiunse con un'aria pensierosa: - ho paura d'aver fatto torto a Rodrigo nel concetto del signore zio. Non mi darei pace, se fossi cagione di farle pensare che Rodrigo non abbia tutta quella fede in lei, tutta quella sommissione che deve avere. Creda, signore zio, che in questo caso è proprio... - Via, via; che torto, che torto tra voi altri due? che sarete sempre amici, finché l'uno non metta giudizio. Scapestrati, scapestrati, che sempre ne fate una; e a me tocca di rattopparle: che... mi fareste dire uno sproposito, mi date più da pensare voi altri due, che, - e qui immaginatevi che soffio mise, - tutti questi benedetti affari di stato. Attilio fece ancora qualche scusa, qualche promessa, qualche complimento; poi si licenziò, e se n'andò, accompagnato da un - e abbiamo giudizio, - ch'era la formola di commiato del conte zio per i suoi nipoti.

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