giovedì 19 febbraio 2009

Spagna, i magistrati contro il governo Zapatero

Storico sciopero dei magistrati in Spagna contro il governo del premier socialista Josè Luis Zapatero: oltre la metà dei 4.400 togati iberici per la prima volta si sono astenuti dal lavoro.
Motivo dello sciopero chiedere una profonda riforma e la modernizzazione del sistema giudiziario del Paese, sempre più lento e inefficace.La protesta dei magistrati, definita «senza base legale» dal Consiglio generale del potere giudiziario (Cgpj, il Csm spagnolo), in quanto i giudici costituiscono un potere dello Stato, ha teso ulteriormente i rapporti fra governo socialista e opposizione già avvelenati dall'inchiesta del giudice Baltasar Garzon su una presunta tangentopoli a Madrid e Valencia che coinvolgerebbe ambienti del Partido Popular.
Il leader del Pp Mariano Rajoy ha chiesto in parlamento le dimissioni di Bermejo - cui Zapatero ha confermato l'appoggio -, che ha seccamente respinto la richiesta di dimissioni del Pp, che lo vede responsabile anche del degrado e della lentezza del sistema giudiziario, con gli attuali 2,5 milioni di procedimenti non risolti. La tensione fra governo e opposizione sta tornando sulla giustizia a livelli di scontro dimenticati dalle politiche del marzo 2008.
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Una postillina : ovviamente siamo in piena sintonia con i colleghi spagnoli ,ma all'ANM non fischiano un pò le orecchie ? O è meglio una bella puntata di Annozero o Ballarò ?

giovedì 5 febbraio 2009

l'ANM sulle intercettazioni : così di fatto le intercettazioni sono eliminate

Associazione Nazionale Magistrati


L’ANM SUGLI EMENDAMENTI DEL GOVERNO SULLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

L’Associazione Nazionale Magistrati esprime netta contrarietà alle proposte di modifica presentate dal Governo in materia di intercettazioni e ribadisce le osservazioni formulate nei suoi precedenti documenti sul disegno di legge.

Le radicali modifiche proposte vanificano di fatto, per la quasi totalità dei reati, la possibilità di utilizzare un fondamentale e insostituibile strumento di indagine.

Il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza”, che presuppone un quadro probatorio identico a quello necessario per le misure cautelari personali, snatura l’istituto e lo trasforma da mezzo di ricerca della prova a strumento praticamente inutile. In sostanza non sarà più possibile utilizzare le intercettazioni per la ricerca e la individuazione dei colpevoli di gravi reati, ma solo per acquisire elementi di conferma di una responsabilità già individuata con un grado di probabilità che potrebbe giustificare, addirittura, la custodia cautelare.

Nei procedimenti contro ignoti, quelli nei quali lo strumento delle investigazioni tecniche si è spesso rivelato decisivo, l’unica intercettazione possibile sarà quella dell’utenza della persona offesa e solo con il consenso di quest’ultima.

La durata massima delle intercettazioni fissata in soli 45 giorni, eccezionalmente prorogabili fino a 60, è irragionevole. La inderogabile interruzione delle intercettazioni alla scadenza di un termine così ridotto, anche quando in ipotesi l’attività criminale sia ancora in corso di esecuzione, non ha alcuna giustificazione logica.

Del tutto irrazionale è anche la completa equiparazione, sul piano dei requisiti, tra le intercettazioni telefoniche e la acquisizione dei tabulati delle comunicazioni o l’effettuazione delle riprese visive in luoghi pubblici.

Si tratta, come è noto, di strumenti di indagine di grande utilità investigativa, ma che non possono essere parificati alle intercettazioni, in quanto la loro invasività nella sfera privata delle persone è decisamente inferiore. E’ paradossale che un privato possa effettuare, in ogni caso e senza limiti, riprese visive in locali pubblici, come banche, uffici postali o esercizi commerciali, mentre le forze dell’ordine e la magistratura potranno farlo solo quando l’autore del fatto è già stato individuato e per soli sessanta giorni.

Tali disposizioni varrebbero anche per le indagini di criminalità organizzata e terrorismo, con il paradossale effetto di prevedere, per questi reati, requisiti più stringenti per l’acquisizione di un tabulato di quelli richiesti per un’intercettazione.

L’Associazione Nazionale Magistrati ribadisce che la limitazione delle intercettazioni ambientali ai luoghi nei quali “vi è fondato motivo di ritenere” che “si stia svolgendo l’attività criminosa”, per tutti i reati e persino per i delitti di criminalità organizzata e terrorismo, rischia di arrecare un danno irreparabile all’attività di contrasto alle organizzazioni criminali da parte delle forze dell’ordine e della magistratura.

Infine, attribuire al tribunale con sede nel capoluogo del distretto e in composizione collegiale, non soltanto la competenza per autorizzare le attività di intercettazione, ma anche quella per la convalida dei provvedimenti di urgenza, le proroghe, l’autorizzazione ad acquisire i tabulati, rischia di creare insuperabili problemi organizzativi, in assenza di qualsiasi intervento sulla geografia giudiziaria, pure sollecitato più volte dalla ANM.

Roma, 4 febbraio 2009

mercoledì 4 febbraio 2009

Caselli su La Stampa " Se si conosce il colpevole a che servono più le intercettazioni?"

Se si conosce il colpevole a che serve intercettare?

GIAN CARLO CASELLI*
Molto si è scritto sul tema delle intercettazioni. In particolare sugli emendamenti del governo al progetto di legge ancora in discussione. Si sa, quindi, che mentre per mafia e terrorismo le intercettazioni richiederanno «sufficienti indizi di reato», per tutti gli altri delitti (dalla rapina all’omicidio, dal traffico di droga allo stupro, dalla corruzione all’aggiotaggio) occorreranno «gravi indizi di colpevolezza»: si potranno disporre intercettazioni solo se saranno già accertati i colpevoli. Ma se si conoscono i colpevoli, manca l’altro requisito richiesto dagli emendamenti (l’intercettazione è data «quando è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini»), per cui l’intercettazione non sarà mai data. Escluso il perimetro mafia-terrorismo, bloccando le intercettazioni in tutti gli altri casi, si sacrifica la sicurezza dei cittadini, la possibilità stessa di difenderli efficacemente dalle aggressioni d’ogni sorta di pericolosa delinquenza. Conviene?Ma c’è un altro punto degli emendamenti governativi di cui meno si è parlato, mentre presenta anch’esso profili d’incongruenza: la disposizione relativa ai procedimenti contro ignoti, per i quali l’intercettazione dev’essere richiesta «dalla persona offesa, sulle utenze o nei luoghi nella disponibilità della stessa, al solo fine di identificare l’autore del reato». Prendiamo un caso tipico, il sequestro di persona a scopo di estorsione. Il sequestrato non potrà chiedere l’intercettazione del suo telefono; semmai lo potranno fare i familiari. Ma questi, per tutelare l’integrità del loro caro, potrebbero avere interesse a vedersela direttamente coi sequestratori con una trattativa privata, baipassando la polizia e la magistratura (soprattutto nei casi «di sequestri mordi e fuggi»). In tal modo sarebbe rimessa alla discrezionalità di un privato, scosso dal delitto che ha colpito la famiglia, la difficile scelta se mettere o no sotto controllo i suoi telefoni, che all’inizio dell’indagine sono di solito l’unica strada per non brancolare nel buio. Anche le estorsioni danno quasi sempre vita, all’inizio, a procedimenti contro ignoti (pensiamo all’incendio doloso d’un negozio o cantiere, presumibile opera di un racket, che spesso non è mafia). La vittima, specie quella (statisticamente frequente) che fa di tutto per escludere ogni riferibilità a estorsioni, si guarderà bene dal chiedere che il suo telefono sia messo sotto controllo. Magari perché bloccato dalla paura degli estortori (che conosce o intuisce chi possano essere). Di nuovo: una scelta difficile, che potrebbe aprire l’unica via possibile all’accertamento della verità, rimessa a un privato. Mentre ci sono in giro gruppi di balordi o bande che praticano estorsioni e sequestri, delinquenti che occorre neutralizzare nell’interesse della sicurezza generale, oltre che dei singoli soggetti coinvolti (facilmente ricattabili dai delinquenti con minacce di ritorsioni in caso di collaborazione con le autorità). Può poi accadere che si sospetti qualcosa che porta all’ambiente di lavoro del sequestrato o dell’estorto (tipico il caso del dipendente infedele «basista»), ma senza la richiesta della vittima niente intercettazioni «nei luoghi di sua disponibilità». Non credo di esagerare dicendo che tanti gravi delitti potranno essere di fatto agevolati. Muovere in questa direzione, con il tanto parlare che si fa di sicurezza e tolleranza zero, mi sembra a dir poco paradossale.*procuratore capo di Torino

martedì 3 febbraio 2009

La riforma delle intercettazioni (e i molti punti critici)

Segnaliamo le puntuali osservazioni di Aldo Morgigni :

1) il reinserimento dell'attuale soglia di punibilità (5 anni di reclusione) per l'autorizzazione, ma con competenza del tribunale collegiale distrettuale in materia di intercettazioni comprese le proroghe entro 24 ore (perché il PM può inoltrare il decreto urgente fino a 24 ore dalla sua emissione); si tratta del primo atto collegiale da emettere in termini così ristretti e richiederà una probabile riorganizzazione totale dei tribunali distrettuali, che devono motivare il decreto contestualmente; ovviamente non è ammessa l'integrazione successiva del decreto e (ma chi ci aveva mai pensato?) la sua sostituzione!;
2) l'obbligo di inviare tutti gli atti al tribunale, con conseguente blocco dell'attività di indagine fino alla decisione (per la quale non sono previsti termini) sulla richiesta di autorizzazione alle intercettazioni;
3) la famigerata necessità di "gravi indizi di colpevolezza", con la conseguenza che non è chiaro perché il PM non chieda direttamente la misura cautelare, posto che quando vi sono gravi indizi di colpevolezza le indagini di solito sono complete;
4) la benevola concessione che per, i reati contro ignoti, le intercettazioni si facciano con "gravi indizi di reato" ma solo a richiesta della persona offesa e solo sulle sue utenze; il che agevolerà le indagini soprattutto se la persona offesa è morta in conseguenza del reato e gli assassini conversano del delitto tra di loro;
5) l'impossibilità di utilizzare per le proroghe delle intercettazioni i risultati di quelle precedenti; anche se in una delle conversazioni l'autore del delitto confessa e preannuncia che in successiva conversazione (magari quando le intercettazioni sono scadute) indicherà le generalità complete dei complici;
6) la creazione centri distrettuali di intercettazione e punti di ascolto circondariali (senza che venga previsto un euro di fondi per le necessarie ristrutturazioni delle attuali sale di ascolto e per l'interconnessione);
7) il divieto per i difensori di chiedere copia dei supporti e dei verbali delle intercettazioni; con la conseguente necessità di prevedere sale di ascolto per gli avvocati, che dovranno annotare a mano il contenuto delle intercettazioni;
8) l'obbligatoria ed immediata necessità di un udienza-stralcio davanti al "tribunale"; non è chiaro se sia quello distrettuale o circondariale, in composizione monocratica o collegiale, ma questo poco importa al legislatore;
9) il divieto di allegare DVD con le registrazioni ed i brogliacci al fascicolo di indagine (si suppone che debbano esserci solo le trascrizioni disposte dal PM ma ciò non è detto);
10) la possibilità di trascrivere con perizia le registrazioni solo "se necessario per la decisione da assumere" (in effetti basterebbe sentire con il pc portatile il DVD, ma non è chiaro se il DVD debba o possa essere allegato al fascicolo per il dibattimento);
11) l'inutilizzabilità delle intercettazioni se cambia la qualificazione giuridica del fatto (ad esempio si passa da furto aggravato a truffa); la possibilità di utilizzarle in altri procedimenti per i reati di mafia, terrorismo e criminalità organizzata o violenta (407 c. 2 lett. a c.p.p.) e non più per i delitti di cui all'art. 380 c.p. (ovviamente si tratta di un minor numero di delitti);
12) la registrazione e ripresa dei dibattimenti sono sempre vietate senza il consenso delle parti;
13) le sanzioni penali e disciplinari per la pubblicazione di atti del processo e violazione del segreto investigativo sono rafforzate ed è prevista anche la responsabilità amministrativa da reato dell'editore;seguono una serie di disposizioni varie:
14) violazione di domicilio non solo per i luoghi di privata dimora ma per tutti i "luoghi privati";
15) arresto obbligatorio in flagranza anche per le associazioni per delinquere finalizzate a commettere i furti;
16) un mini codice di diritto ecclesiastico sugli avvisi da dare in caso di procedimenti o misure cautelari a ministri del culto cattolico; ovviamente non a quelli del culto ebraico, valdese, musulmano etc.;

DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Modifiche agli articoli 36 e 53 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 36, comma 1, del codice di procedura penale, dopo la lettera h) è aggiunta la seguente:
«h-bis) se ha pubblicamente rilasciato dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli».
2. All'articolo 53, comma 2, del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo le parole: «lettere a), b), d), e)» sono inserite le seguenti: «e h-bis), nonché se il magistrato risulta iscritto nel registro degli indagati per il reato previsto dall'articolo 379-bis del codice penale, in relazione ad atti del procedimento assegnatogli, sentito in tale caso il capo dell'ufficio competente ai sensi dell'articolo 11»;
b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il procuratore generale procede allo stesso modo, se il capo dell'ufficio e il magistrato assegnatario risultano indagati per il reato previsto dall'articolo 379-bis del codice penale, ovvero hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche in merito al procedimento».
Art. 2.
(Modifiche agli articoli 114 e 115 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 114 del codice di procedura penale, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto o del relativo contenuto, di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare».
2. All'articolo 114 del codice di procedura penale, il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. È in ogni caso vietata la pubblicazione anche parziale o per riassunto della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione ai sensi degli articoli 269 e 271».
3. All'articolo 115 del codice di procedura penale, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Di ogni iscrizione nel registro degli indagati per fatti costituenti reato di violazione del divieto di pubblicazione commessi dalle persone indicate al comma 1, il procuratore della Repubblica procedente informa immediatamente l'organo titolare del potere disciplinare, che nei successivi trenta giorni, ove siano state verificate la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità e sentito il presunto autore del fatto, può disporre la sospensione cautelare dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi».
Art. 3.
(Modifica dell'articolo 266 del codice di procedura penale).
1. L'articolo 266 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 266 (Limiti di ammissibilità). - 1. L'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, di altre forme di telecomunicazione, di immagini mediante riprese visive e l'acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni sono consentite nei procedimenti relativi ai seguenti reati:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4;
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo delle persone col mezzo dei telefono;
f-bis) delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater 1 del medesimo codice.
2. Negli stessi casi di cui al comma 1 è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti solo se vi è fondato motivo di ritenere che nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l'attività criminosa».
Art. 4.
(Modifiche all'articolo 267 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 267 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Il pubblico ministero richiede l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 al tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, che decide in composizione collegiate. L'autorizzazione è data con decreto motivato, contestuale e non successivamente modificabile o sostituibile, quando vi sono gravi indizi di colpevolezza e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini e sussistono specifiche e inderogabili esigenze relative ai fatti per i quali si procede, fondate su elementi espressamente e analiticamente indicati nel provvedimento, non limitati ai soli contenuti di conversazioni telefoniche intercettate nel medesimo procedimento e frutto di un'autonoma valutazione da parte del giudice»;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Il pubblico ministero, insieme alla richiesta di autorizzazione, trasmette al giudice il fascicolo con tutti gli atti di indagine fino a quel momento compiuti»;
c) dopo il comma 1-bis sono inseriti i seguenti commi:
«1-ter. Nei procedimenti contro ignoti, l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 è data, su richiesta della persona offesa, sulle utenze o nei luoghi nella disponibilità della stessa, al solo fine di identificare l'autore del reato;
1-quater. Nei procedimenti contro ignoti, è sempre consentita l'acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni, al solo fine di identificare le persone presenti sul luogo del reato o nelle immediate vicinanze di esso».
d) al comma 2, la parola: «giudice» è sostituita dalla seguente: «tribunale» e dopo le parole: «con decreto motivato», ovunque ricorrono, sono inserite le seguenti: «contestuale e non successivamente modificabile o sostituibile»;
e) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni per un periodo massimo di trenta giorni, anche non continuativo. Il pubblico ministero da immediata comunicazione al tribunale della sospensione delle operazioni e della loro ripresa. Su richiesta motivata del pubblico ministero, contenente l'indicazione dei risultati acquisiti, la durata delle operazioni può essere prorogata dal tribunale fino a quindici giorni, anche non continuativi. Una ulteriore proroga delle operazioni fino a quindici giorni, anche non continuativi, può essere autorizzata qualora siano emersi nuovi elementi, specificamente indicati nel provvedimento di proroga unitamente ai presupposti di cui al comma 1».
f) dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:
«3-bis. Quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione a delitti di cui all'articolo, 51, comma 3-bis e comma 3-quater, l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 è data se vi sono sufficienti indizi di reato. Nella valutazione dei sufficienti indizi si applica l'articolo 203. La durata delle operazioni non può superare i quaranta giorni, ma può essere prorogata dal tribunale con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1, entro i termini di durata massima delle indagini preliminari. Nei casi di urgenza, alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero ai sensi del comma 2;
3-ter. Nel decreto di cui al comma 3, il pubblico ministero indica l'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile del corretto adempimento delle operazioni, nei casi in cui non procede personalmente»;
g) al comma 4 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei casi di cui al comma 3-bis, il pubblico ministero e l'ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare da agenti di polizia giudiziaria»;
h) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. In apposito registro riservato tenuto in ogni procura della Repubblica sono annotati, secondo un ordine cronologico, la data e l'ora di emissione e la data e l'ora di deposito in cancelleria o in segreteria dei decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni».
Art. 5.
(Modifiche all'articolo 268 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 268 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 1, 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:
«1. Le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale. I verbali e i supporti delle registrazioni sono custoditi nell'archivio riservato di cui all'articolo 269. 2. Il verbale di cui al comma 1 contiene l'indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l'intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione dell'intercettazione; nel medesimo verbale sono altresì annotati cronologicamente, per ogni comunicazione intercettata, i riferimenti temporali della comunicazione e quelli relativi all'ascolto, la trascrizione sommaria del contenuto, nonché i nominativi delle persone che hanno provveduto alla loro annotazione. 3. Le operazioni di registrazione sono compiute per mezzo degli impianti installati nei centri di intercettazione telefonica istituiti presso ogni distretto di corte d'appello. Le operazioni di ascolto sono compiute mediante gli impianti installati presso la competente procura della Repubblica ovvero, previa autorizzazione del pubblico ministero, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini»;
b) dopo il comma 3-bis è inserito il seguente:
«3-ter. Ai procuratori generali presso la corte d'appello e ai procuratori della Repubblica territorialmente competenti sono attribuiti i poteri di gestione, vigilanza, controllo e ispezione, rispettivamente, dei centri di intercettazione e dei punti di ascolto di cui al comma 3»;
c) i commi 4, 5 e 6 sono sostituiti dai seguenti:
«4. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero salvo che il tribunale, su istanza delle parti, tenuto conto del loro numero, nonché del numero e della complessità delle intercettazioni, non riconosca necessaria una proroga. 5. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il tribunale autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la data di emissione dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari. 6. Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine di cui ai commi 4 e 5, hanno facoltà di prendere visione dei verbali e dei decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione e di ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. È vietato il rilascio di copia dei verbali, dei supporti e dei decreti»;
d) dopo il comma 6 sono inseriti i seguenti:
«6-bis. È vietato disporre lo stralcio delle registrazioni e dei verbali prima del deposito previsto dal comma 4. 6-ter. Scaduto il termine, il pubblico ministero trasmette immediatamente i decreti, i verbali e le registrazioni al tribunale, il quale fissa la data dell'udienza in camera di consiglio per l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiono manifestamente irrilevanti, procedendo anche d'ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. Il tribunale decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 127»;
e) i commi 7 e 8 sono sostituiti dai seguenti:
«7. Il tribunale, qualora lo ritenga necessario ai fini della decisione da assumere, dispone la trascrizione integrale delle registrazioni acquisite ovvero la stampa in forma intelligibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento. 8. I difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione delle registrazioni su supporto informatico. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7».
Art. 6.
(Modifiche all'articolo 269 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 269 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. I verbali e i supporti contenenti le registrazioni sono conservati integralmente in un apposito archivio riservato tenuto presso l'ufficio del pubblico ministero che ha disposto l'intercettazione, con divieto di allegazione, anche solo parziale, al fascicolo»;
b) al comma 2, primo periodo, dopo le parole: «non più soggetta a impugnazione» sono aggiunte le seguenti: «e delle stesse è disposta la distruzione nelle forme di cui al comma 3»;
c) ai commi 2 e 3, la parola: «giudice» è sostituita dalla seguente: «tribunale».
Art. 7.
(Modifica all'articolo 270 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 270 del codice di procedura penale, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le intercettazioni sono state disposte, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), e non siano state dichiarate inutilizzabili nel procedimento in cui sono state disposte».
Art. 8.
Modifiche all'articolo 271 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 271, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «commi 1 e 3» sono sostituite dalle seguenti: «commi 1, 3, 5, 6 e 6-bis». 2. All'articolo 271 del codice di procedura penale, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora, nell'udienza preliminare o nel dibattimento, il fatto risulti diversamente qualificato e in relazione ad esso non sussistano i limiti di ammissibilità previsti dall'articolo 266».
Art. 9.
(Modifica all'articolo 292 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 292 del codice di procedura penale, dopo il comma 2-ter è inserito il seguente:
«2-quater. Nell'ordinanza le intercettazioni di conversazioni, comunicazioni telefoniche o telematiche possono essere richiamate soltanto nel contenuto e sono inserite in un apposito fascicolo allegato agli atti».
Art. 10.
(Modifiche all'articolo 329 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 329, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «Gli atti d'indagine» sono sostituite dalle seguenti: «Gli atti e le attività d'indagine». 2. All'articolo 329 del codice di procedura penale, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può chiedere al giudice l'autorizzazione alla pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero».
Art. 11.
(Modifica all'articolo 380 del codice di procedura penale).
1. All'articolo 380, comma 2, lettera m), del codice di procedura penale, dopo le parole: «o dalle lettere a), b), c), d),» sono inserite le seguenti: "e), e-bis),».

Art. 12.
(Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271).
1. All'articolo 89 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è abrogato;
b) al comma 2, le parole: «I nastri contenenti le registrazioni» sono sostituite dalle seguenti: «I supporti contenenti le registrazioni e i flussi di comunicazioni informatiche o telematiche» e dopo le parole: «previsto dall'articolo 267, comma 5» sono inserite le seguenti «, nonché il numero che risulta dal registro delle notizie di reato di cui all'articolo 335»;
c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:
«2-bis. Il procuratore della Repubblica designa un funzionario responsabile del servizio di intercettazione, della tenuta del registro riservato delle intercettazioni e dell'archivio riservato nel quale sono custoditi i verbali e i supporti».
2. All'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole: «dell'imputazione» sono inserite le seguenti: «, con espressa menzione degli articoli di legge che si assumono violati, nonché della data e del luogo del fatto»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'autorità ecclesiastica di cui ai commi 2-ter e 2-quater»;
c) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
«2-bis. Il pubblico ministero invia l'informazione anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato, ovvero quando è stata applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare; nei casi in cui risulta indagato un ecclesiastico o un religioso del culto cattolico invia, altresì, l'informazione quando è stata applicata nei suoi confronti ogni altra misura cautelare personale, nonché quando procede all'invio dell'informazione di garanzia di cui all'articolo 369 del codice. 2-ter. Quando risulta indagato o imputato un vescovo diocesano, prelato territoriale, coadiutore, ausiliare, titolare o emerito, o un ordinario di luogo equiparato a un vescovo diocesano, abate di un'abbazia territoriale o sacerdote che, durante la vacanza della sede, svolge l'ufficio di amministratore della diocesi, il pubblico ministero invia l'informazione al cardinale Segretario di Stato. 2-quater. Quando risulta indagato o imputato un sacerdote secolare o appartenente a un istituto di vita consacrata o a una società di vita apostolica, il pubblico ministero invia l'informazione all'ordinario diocesano nella cui circoscrizione territoriale ha sede la procura della Repubblica competente»;
d) il comma 3-bis è abrogato.
2-bis. All'articolo 147 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 è abrogato;
b) al comma 3 le parole: «dei commi 1 e 2» sono sostituite dalle seguenti: «del comma 1».
Art. 13.
(Modifiche al codice penale).
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 379-bis è sostituito dal seguente:
«Art. 379-bis. - (Rivelazione illecita di segreti inerenti a un procedimento penale). - Chiunque rivela indebitamente notizie inerenti ad atti del procedimento penale coperti dal segreto dei quali è venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio o servizio svolti in un procedimento penale, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a un anno. Chiunque, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391-quinquies del codice di procedura penale è punito con la reclusione fino a un anno»;
b) all'articolo 614, primo comma, le parole: «di privata dimora» sono sostituite dalla seguente: «privato»;
c) dopo l'articolo 617-sexies è inserito il seguente:
«Art. 617-septies. - (Accesso abusivo ad atti del procedimento penale). - Chiunque mediante modalità o attività illecita prende diretta cognizione di atti del procedimento penale coperti dal segreto è punito con la pena della reclusione da uno a tre anni»;
d) all'articolo 684, le parole: «fino a trenta giorni o con l'ammenda da euro 51 a euro 258» sono sostituite dalle seguenti: «fino a trenta giorni o con l'ammenda da euro 1000 a euro 5000»;
e) all'articolo 684, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Se il fatto di cui al primo comma riguarda le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche, le altre forme di telecomunicazione, le immagini mediante riprese visive e l'acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni stesse, la pena è dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro 500 a euro 1.032».

Art. 14.
(Introduzione dell'articolo 25-novies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231).
1. Dopo l'articolo 25-octies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, è inserito il seguente:
«Art. 25-novies. - (Responsabilità per il reato di cui all'articolo 684 del codice penale). - 1. In relazione alla commissione del reato previsto dall'articolo 684 del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a trecento quote».
Art. 15.
(Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47).
1. All'articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il terzo comma è inserito il seguente:
«Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell'articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono»;
b) al quarto comma, dopo le parole: «devono essere pubblicate» sono inserite le seguenti: «, senza commento,»;
c) dopo il quarto comma è inserito il seguente:
«Per la stampa non periodica l'autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all'articolo 57-bis del codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a proprie cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l'ha determinata»;
d) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma,» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, e sesto comma» e le parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, quinto e sesto comma»;
e) dopo il quinto comma è inserito il seguente:
«Della stessa procedura può avvalersi l'autore dell'offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva o delle trasmissioni informatiche o telematiche non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta».
Art. 16.
(Abrogazione).
1. L'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni, è abrogato.
Art. 17.
(Modifiche al codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196).
1. Al codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 5 dell'articolo 139 è sostituito dal seguente:
«5. In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia o, comunque, delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 137 del presente codice, il Garante può vietare il trattamento o disporne il blocco ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera c)»;
b) dopo il comma 5 sono inseriti i seguenti:
«5-bis. Nell'esercizio dei compiti di cui agli articoli 143, comma 1, lettere b) e c), e 154, comma 1, lettera e), il Garante può anche prescrivere, quale misura necessaria a tutela dell'interessato, la pubblicazione o diffusione in una o più testate della decisione che accerta la violazione, per intero o per estratto, ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione. 5-ter. Nei casi di cui al comma 5-bis, il Consiglio nazionale e il competente consiglio dell'Ordine dei giornalisti anche in relazione alla responsabilità disciplinare, nonché, ove lo ritengano, le associazioni rappresentative di editori, possono far pervenire documenti e la richiesta di essere sentiti. 5-quater. La pubblicazione o diffusione di cui al comma 5-bis è effettuata gratuitamente nel termine e secondo le modalità prescritti con la decisione, anche per quanto riguarda la collocazione, le relative caratteristiche anche tipografiche e l'eventuale menzione di parti interessate. Per le modalità e le spese riguardanti la pubblicazione o diffusione disposta su testate diverse da quelle attraverso la quale è stata commessa la violazione, si osservano le disposizioni di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 2003, n. 284»;
c) all'articolo 170, comma 1, dopo le parole: «26, comma 2, 90,» sono inserite le seguenti: «139, comma 5-bis,».

Art. 18.
(Disciplina transitoria).
1. Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore. 2. Le disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 268 del codice di procedura penale, come sostituito dall'articolo 5 della presente legge, entrano in vigore il 1o gennaio 2009 e si applicano decorsi tre mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'apposito decreto del Ministro della giustizia che dispone l'entrata in funzione dei centri di intercettazione telefonica di cui al medesimo comma 3 dell'articolo 268. Fino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni del comma 3 dell'articolo 268 del codice di procedura penale nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge.

lunedì 2 febbraio 2009

Il discorso di Giulio Romano per l'inaugurazione dell'anno giudiziario a Messina

INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2009

INTERVENTO DEL RAPPRESENTANTE DEL CSM - GIULIO ROMANO


Premessa - La giustizia civile - Il sistema penale - La magistratura onoraria - Il “correntismo” - Il CSM - La sezione disciplinare - Le intercettazioni - Il concorso in magistratura


Sig. Presidente,
di solito questa, per il rappresentante del CSM, è principalmente l’occasione per riassumere i dati relativi all’attività svolta dall’organo di autogoverno della magistratura.
Tuttavia le sempre crescenti difficoltà in cui versa il sistema giustizia, la discussione su importanti riforme forse anche a livello costituzionale, le polemiche circa alcune decisioni del Consiglio Superiore, mi inducono ad affrontare, sia pure in estrema sintesi, le questioni oggi di maggior rilievo.

La giustizia civile.
La grave inefficienza del sistema è sotto gli occhi di tutti. Per porvi rimedio si continua a parlare di come rendere più rapido il processo civile. Interventi in tale direzione sono i benvenuti, ma va detto chiaramente che non basteranno. Un buon giudice civile può scrivere circa venti sentenze al mese e ciò oggi già accade; se anche avessimo un processo in grado di far concludere un caso in un solo giorno, i procedimenti si accumulerebbero, sulla scrivania di chi deve deciderli, in attesa del loro turno. Poiché non è pensabile aumentare a dismisura il numero dei giudici e dei dipendenti della giustizia, occorre allora focalizzare alcune tra le ragioni di una domanda semplicemente fuori controllo:
a) una litigiosità, anche per le piccolissime cose, che affonda le sue radici in un tessuto sociale senza valori adeguati, dove per troppo tempo le pagine di educazione civica sono sostanzialmente scomparse dai sussidiari, dove il rispetto delle ragioni altrui fa fatica ad imporsi, dove le televisioni hanno preso atto che le trasmissioni che raccolgono maggior interesse sono quelle della cd. “TV spazzatura”
b) difficoltà economiche ed impunità che spingono molti ad agire in giudizio temerariamente ed altri a resistere ingiustificatamente, individuando nel solo scorrere del tempo un fattore di guadagno.
Ecco dunque che si possono fare tutti i miglioramenti processuali che si vogliono, ma non si può sfuggire ad una considerazione: se si intende mantenere questo livello di domanda occorre quanto più possibile rinunciare alla motivazione della decisione ed ai vari gradi di giudizio (mi interessa di più sapere definitivamente oggi se ho o no ragione oppure dopodomani perché ho ragione, sulla base peraltro di un ragionamento che dovrà affrontare ulteriori gradi di giudizio?); se invece si vuole dare la giusta importanza alla funzione giurisdizionale bisogna, nel breve periodo, scoraggiare l’abusivo ricorso alla stessa prevedendo severissimi, ineludibili, deterrenti economici, all’agire e resistere sconsiderato; bisogna poi, nel medio e lungo termine, creare le premesse per una crescita culturale del paese.
Va inoltre programmato, ormai guardando lontano, un accesso dei giovani alla professione forense che sia sostenibile rispetto alle capacità operative di cui si ritiene di dotare il sistema.

Il sistema penale
Come spesso in passato, si sente parlare separatamente di modifiche del sistema penale (depenalizzazione) o di quello processuale.
Il processo penale è strutturato in maniera complessa perché serve ad accertare se una persona deve andare in prigione, così le garanzie devono essere massime.
I reati previsti dalla legge sono tantissimi ma, se verifichiamo quali sono quelli commessi da coloro che sono effettivamente in carcere, scopriamo che si tratta sempre degli stessi dieci, forse venti delitti.
Questo significa che utilizziamo la più complessa delle macchine anche quando non ve ne sarebbe concreto bisogno.
E non è tutto, per come si è andato sviluppando il sistema, accade che per un reato modestissimo si impegni la giustizia in tre estenuanti gradi di giudizio (perché dovrei rinunciare a sperare negli intoppi del processo per avere una riduzione esigua di una pena che tanto non sconterò?) mentre invece per quelli gravi, nello sconcerto generale, si baratta la punizione con un po’ di comprensione per le difficoltà della macchina giustizia.
Per converso si dimentica che anche sanzioni semplici, comminate quasi senza garanzie, possono costituire un valido deterrente: non ci sono difese e carte bollate quando mettono le ganasce all’automobile ma, se ne vedo una che le ha, resto terrorizzato e mai parcheggerò anche io nello stesso posto.
Ecco allora che si possono attuare le riforme che si vogliono, ma non si inciderà significativamente se non innovando profondamente il nostro modo di pensare.
Occorre diversificare le sanzioni e calibrare i modelli di accertamento processuale sulla gravità e rilevanza delle punizioni comminabili. Bisogna superare gli sconti di pena (eticamente inaccettabili) e favorire l’accesso alle attuali misure alternative come contropartita alla scelta, tempestiva, di modelli processuali che consentano al sistema di risparmiare sul processo e di addivenire presto alla definizione del giudizio.

La magistratura onoraria.
E’ vero che ormai la magistratura onoraria concorre alla definizione di buona parte, della domanda di giustizia (anche se di quella meno complessa).
Si confrontano la pretesa dei giudici onorari, di raggiungere la stabilità e l’opposizione della magistratura professionale, comprensibilmente timorosa di veder stabilizzata e sostanzialmente equiparata, una categoria che, per definizione, non possiede gli stessi livelli di preparazione.
Due cose sono certe.
La prima è che la magistratura onoraria è in definitiva una forma di “precariato stabilizzato”.
Il precariato per un verso genera insicurezza nelle vite degli interessati, per un altro riduce l’interesse del sistema a curarne la formazione e verificarne al meglio l’adeguatezza.
La seconda è che in assenza di una rivisitazione organica del sistema, a volte, contraddittoriamente, accade che il magistrato professionale si occupi di cose modeste e quello onorario di cose di maggior rilievo.
Occorre allora superare il precariato, di per sé sia ingiusto sia dannoso, tracciando al contempo una netta linea orizzontale che individui, al di sopra, le competenze della magistratura professionale, al di sotto quelle, parimenti rispettabili ma meno complesse, dei giudici onorari.
Solo così si potrà dare ai cittadini una magistratura onoraria attrezzata al meglio ed assolutamente credibile, per la soluzione di controversie che sono modeste ma riguardano la vita di tutti i giorni di tanti.

Il “correntismo”
Come altri ho ricoperto alternativamente cariche istituzionali ed associative (consiglio giudiziario, comitato direttivo e giunta esecutiva dell’ANM, CSM). Per farlo ho partecipato a elezioni, così come il sistema impone. La competizione elettorale ha in sè pregi ma anche un limite: è del tutto naturale che chi ti ha votato si aspetti che, più o meno a parità di altri parametri, tu lo sostenga. La partecipazione ad organismi ora istituzionali ora associativi comporta il rischio che nelle proprie determinazioni si sia spinti in qualche misura anche dall’intento di aumentare la propria forza elettorale in vista di successivi traguardi.
Così l’attività l’associativa (e la sua componente sindacale che ne dovrebbe esser parte significativa con importanti riflessi anche sulla funzionalità del servizio e quindi sulla soddisfazione dei cittadini) rischia di essere condizionata dagli altri, pur legittimi, obiettivi di chi la pone in essere; al contempo l’attività istituzionale perde di credibilità, potendosi pensare che chi la esercita sia guidato più da interessi personali e dal dover rendere conto al suo elettorato, piuttosto che dal doveroso desiderio di mettere il migliore al “posto giusto”.
Tutto questo causa disfunzioni sia nella misura in cui è vero (e non lo si può negare radicalmente) sia nella misura in cui non lo è. Infatti accade ormai spessissimo che il collega il quale non vince in un concorso, preferisca pensare e dire che è stato superato da un “raccomandato”, piuttosto che accettare che qualcuno sia stato ritenuto migliore di lui. Tutti ciò ha ormai diffuso, anche a livello di opinione pubblica, la convinzione dell’esistenza di un fenomeno degenerativo che non nego e che va affrontato, ma che ha dimensioni meno rilevanti di quel che ormai si crede.
D’altra parte mi sia permesso di dire che, se è innegabile che i magistrati eletti scontino le contraddizioni del sistema, non può neanche ritenersi verosimile che, scelti perché conosciuti come per bene, si trasformino poi in persone scorrette, che antepongono il loro interesse personale di magistrati in carriera a quello che loro stessi hanno come figli, coniugi, genitori, in definitiva cittadini (se concorro a nominare il peggiore come procuratore della Repubblica forse traggo un qualche vantaggio di carriera ma contribuisco a ridurre la sicurezza dei miei familiari quando la sera tornano a casa).
Certo mi si può obiettare che non sono credibile, quando evidenzio le contraddizioni di un sistema di cui mi sono avvalso, ma non posso, ora che ho preso coscienza del problema, negarlo. Posso solo impegnarmi per il futuro, dicendo che non proseguirò su questa strada; posso solo dire che uscito dal CSM non mi ricandiderò all’ANM, alimentando in questo modo il sospetto di aver potuto utilizzare la funzione consiliare per aumentare il mio elettorato e così la mia influenza sui futuri consiglieri, magari per ottenere la dirigenza di un tribunale o di una procura prima del dovuto.

Il CSM
Il discorso deve prendere le mosse da quello che ho appena detto sul “correntismo”. Non si cambia la struttura del CSM prevista nella Costituzione perché qualcosa non va. Non è il sistema pensato dai costituenti che è sbagliato; quel che non funziona più al meglio è il modo il cui esso trova attuazione. Abbiamo la grande responsabilità di proporre un diverso modello di rapporto tra ANM e CSM. Di questo però devono rendersi conto tutti: anche chi, nella “base”, si lamenta e magari si dimette dall’ANM, perché qualcun altro gli è stato preferito per questo o quell’incarico (così dimostrando un non condivisibile approccio all’associazionismo ed in definitiva che se c’è il “correntismo”, vale a dire la “offerta”, è perché c’è la “domanda”).
Se poi proprio si intende cambiare il CSM, allora occorre prima studiarne l’organizzazione. Prima di discutere chi lo deve comporre, serve stabilire di chi ha bisogno. Le esigenze della commissione che si occupa di tabelle ed organizzazione degli uffici sono diverse da quelle della commissione che si occupa di valutazioni di professionalità; la presenza di un maggior numero di componenti laici può essere utile in certi casi e meno in altri. Solo analizzando l’aspetto organizzativo e funzionale delle strutture interne, come evolutosi in alcuni decenni (anche ad esempio approfondendo l’utilità o meno di commissioni che sono solo referenti) si possono avere le idee più chiare circa il tipo di professionalità che serve per comporle. Diversamente si rischia di avere un CSM meno efficiente o di consegnarlo, per la stragrande maggioranza delle pratiche, alle scelte delle strutture di segreteria e scientifica (correndo il rischio di far rientrare dalla finestra problemi che si pensava di aver risolto).
Qualche ulteriore notazione.
Una riguarda le cd. “pratiche a tutela”, attraverso le quali, è stato detto, il Consiglio ha finito con il fare politica. La critica non è del tutto infondata ma è vero anche che a volte i magistrati sono stati oggetto di attacchi impropri. In un paese normale il CSM non deve tutelare, ma in un paese normale la magistratura è rispettata. Una anomalia consegue ad un'altra anomalia, solo il reciproco rispetto delle ragioni dell’altro, può ricondurre il sistema alla fisiologia.
Un’altra attiene alla professionalità e discende dalla analisi particolare dei compiti del Consiglio. Il fatto di esser stato eletto non mi trasforma automaticamente in un esperto di formazione, di organizzazione, di valutazione delle attitudini a dirigere e così via. Oggi l’assegnazione alle commissioni e la presidenza delle stesse prescindono completamente dalla verifica di una specifica professionalità in un determinato settore; anzi, in qualche misura è obbligatoria la “rotazione”. Un simile assetto, sotto il profilo della scienza dell’organizzazione è scarsamente comprensibile e finisce con il favorire le degenerazioni del “correntismo” (o dell’appartenenza politica), le cui logiche magari vanno ad integrare insufficienti capacità specifiche.
Una ancora inerisce alla separazione di carriere. Ho iniziato da pubblico ministero, ho svolto le funzioni inquirenti e requirenti al meglio delle mie possibilità ma sono certo che se vi tornassi ora, dopo tanti anni passati da giudice, le svolgerei meglio. Sono dunque contrario alla separazione ed auspico anzi che possano diventare pubblici ministeri solo coloro che hanno maturato una lunga esperienza da giudici (magari nel settore civile che è quello dove ancor di più si può assimilare la cultura della terzietà). Occorre però evitare, come invece accade ora, che sia a livello locale sia a livello centrale, pubblici ministeri facciano parte degli organismi che valutano la professionalità dei giudici che magari hanno respinto le loro richieste. Non si chiede al centravanti che si è visto negare il rigore di dare la pagella all’arbitro. Quando si tratta di valutazioni di professionalità, solo una netta separazione è garanzia di indipendenza e, per gli avvocati, di assoluta equidistanza.
L’ultima infine: l’idea di un unico CSM per tutte le magistrature (sia pure con diverse articolazioni) potrebbe finalmente avviare il percorso verso la eliminazione di differenze tra le diverse magistrature, che non hanno ragione di persistere e che avviliscono quella ordinaria la quale, più delle altre, sopporta l’impatto con le difficoltà della giurisdizione ed affronta giornalmente i problemi della gente).

La sezione disciplinare
La sezione disciplinare del CSM è al centro sia di critiche sia di proposte di modifica. Comprendo che poichè il fenomeno del “correntismo” appare sempre più invasivo, si possa pensare che anche la sezione non ne sia immune. Anche se so che, essendone parte, posso essere ritenuto “a credibilità attenuata”, permettetemi di dire con forza che quello disciplinare è prima di tutto un giudice e come tale si comporta. Nel 2008 a fronte di 24 assoluzioni vi sono state 28 condanne, di cui tre alla rimozione, a cui vanno aggiunte 17 estinzioni per cessata appartenenza all’ordine giudiziario (quindi con gli stessi effetti sostanziali della rimozione).
Si tratta di numeri che, comparati a quelli di altre categorie, rassicurano sulla serietà del controllo disciplinare ed è difficile pensare che i condannati fossero tutte persone che non avevano votato per il CSM (o l’ANM). D’altra parte a chi dovesse nutrire sfiducia, mi sembra giusto far notare che personalmente (e non sono certo l’unico) sono stato relatore ed estensore della sentenza di condanna per ritardi di un collega che ricopre una carica nello stesso gruppo con il quale sono stato eletto.
Capisco però anche che il giudicare chi ti ha votato possa apparire inopportuno. Al riguardo va detto che non soccorre neanche l’istituto dell’astensione perché, atteso che i componenti la sezione sono eletti tra quelli a loro volta eletti al CSM, il rapporto giudice-giudicato/eletto-elettore è del tutto fisiologico; d’altra parte, ragionando al contrario, in tutti i procedimenti qualcuno dovrebbe astenersi, anche tra i supplenti.
Quindi, pur se di regola il controllo deontologico degli appartenenti ad una categoria avviene all’interno della stessa, trovo auspicabile che la magistratura ordinaria, per il primario ruolo svolto, si doti di un sistema disciplinare inattaccabile anche sotto il profilo dell’apparenza.
Però vi invito a riflettere su una cosa: molti dei procedimenti riguardano ritardi nel deposito dei provvedimenti. Al cittadino non interessa che colui che ha ritardato tre anni sia condannato all’ammonimento o alla censura. Al cittadino interessa che il ritardo venga intercettato il più presto possibile. E allora noi abbiamo bisogno di un sistema disciplinare di tipo completamente diverso che incida sul problema ritardo. Come è possibile perseguire un simile obiettivo? Oggi i dirigenti degli uffici che si accorgono che un collega accumula ritardi possono fare poco o niente; se e quando arriva l’ispezione ministeriale, i colleghi dell’ispettorato sono vissuti come intrusi, ai quali il problema va minimizzato, se non nascosto.
Occorre dunque uno sforzo di ideazione innovativa. Occorre pensare ad un sistema nel quale si vada alla ricerca del ritardo, inteso come danno “in progress”, non per punire, ma per aiutare il collega ad ovviarvi, da solo o in modo organizzato. Serve invitare i dirigenti alla ricerca delle cause dei ritardi e all’analisi delle stesse; serve coinvolgere in questa ricerca ed analisi l’Ispettorato, che non deve essere vissuto come un nemico ma come una struttura con cui collaborare, composta da colleghi che hanno esperienza nell’analisi del problema e nella ricerca delle soluzioni; serve una sezione disciplinare che adotti, più che sanzioni, provvedimenti cautelari d’urgenza da utilizzarsi - magari di concerto con la commissione che si occupa di formazione così da far ricorso all’ausilio della scienza dell’organizzazione e della psicologia del lavoro - per ovviare al ritardo mentre si verifica e riabilitare il magistrato.
Si tratta di pensare ad sistema completamente diverso con sanzioni completamente diverse.
Oggi una delle punizioni più gravi con cui può essere sanzionato il magistrato ritardatario è la sospensione dalle funzioni. E che guadagno ne ha il sistema? L’interessato continua a guadagnare un, sia pur ridotto, stipendio ma non lavora; così la sua sentenza non sarà scritta un solo giorno prima!
La sanzione successiva è la rimozione che però, paragonabile all’ergastolo, si attaglia a chi ha commesso infrazioni dolose, non colpose. Per l’infrazione colposa ci vorrebbe una sanzione che adesso non esiste nel sistema disciplinare (pur essendo prevista altrove). Così si spiegano casi che al cittadino appaiono di incomprensibile indulgenza. Servirebbe invece la possibilità di collocare l’interessato (temporaneamente o definitivamente) in un ruolo alternativo ed adeguato rispetto ai problemi accertati.
Se allora si vuole pensare alla modifica della composizione della disciplinare, lo si faccia pure, ma se non si ragiona sul prontuario delle sanzioni e soprattutto sui provvedimenti di urgenza rispetto ai ritardi, domani avremo forse qualche censura in più al posto di qualche ammonimento, ma per il cittadino non cambierà niente.
Quanto alla composizione della sezione va poi rilevato che la maggioranza degli incolpati è costituita da giudici di primo grado; sono loro che affrontano giornalmente l’impatto con le disfunzioni del sistema e che a volte rischiano di pagarne le conseguenze; sono loro che altre volte accettano dei rischi nel tentativo di rispondere in modo effettivo alla richiesta di giustizia; allora se devono sapere che sbagliando verranno puniti, devono anche sapere che a valutarli sarà un giudice che conosce bene le difficoltà del loro lavoro.
Così è auspicabile che il giudice disciplinare sia composto per lo più da magistrati di merito di primo grado. Se la prevalenza dovesse essere di chi non ha il “polso” dei tribunali ogni mattina, potrebbero “fioccare” condanne non giuste, avvertite come inique dalla maggior parte dei colleghi i quali, per evitare contestazioni, si attesterebbero su una soglia comportamentale minima esigibile, assolutamente esente da rischi disciplinari, così diminuendo la produttività.
Insomma, l’opposto di quello che ci serve come cittadini.
Passando al merito delle decisioni va detto che la Sezione non ha in alcun modo inteso infrangere il principio della insindacabilità delle decisioni giurisdizionali.
Il collegio disciplinare ha però chiarito, ad esempio:
a) che se dagli atti emerge una specifica controindicazione alla assunzione di una decisione, il giudice, per andare di contrario avviso, nella sua motivazione deve dimostrare di aver tenuto conto della controindicazione, nonchè spiegare sulla base di quali accertamenti e considerazioni ha ritenuto di decidere diversamente
b) che poiché nella fase delle indagini preliminari - caratterizzata da risultati di indagini che non hanno valore di prova - anche l’attribuzione solo in via di ipotesi di una condotta disdicevole può cagionare danno alla reputazione di una persona (cosa che, vera di per sé, lo è ancor più nella moderna “società mediatica”, nella quale il contenuto degli atti giudiziari va sempre maggiormente divenendo suscettibile di divulgazione e giudizio di massa) il magistrato è tenuto a sviluppare il proprio ragionamento ed esprimere il proprio convincimento in modo rigorosamente continente e conferente.

Le intercettazioni
Se il Legislatore indica come delitto una condotta vuol dire che essa è grave. Se un comportamento è grave, da cittadino auspico che il magistrato per scoprirlo possa avvalersi di tutti i mezzi di ricerca della prova previsti dall’ordinamento. Sono dunque contrario ad una restrizione dei casi nei quali è possibile ricorrere alle intercettazioni.
Ciò premesso va rilevato che nonostante il rigoroso tenore letterale del codice di procedura penale, la magistratura ha dato interpretazioni diverse e contraddittorie della legge, così allargando le maglie di norme che incidono su diritti costituzionalmente garantiti.
Questa considerazione pone ancora una volta il problema del senso di responsabilità della magistratura, del “self restraint” di giudici e pubblici ministeri e diviene questione culturale e di formazione, fino ad interessare la tecnologia, che pone a disposizione potenti strumenti prima che si possa imparare ed insegnare a farne adeguato, consapevole uso.
La vera garanzia dell’indipendenza ed autonomia dei magistrati, e fra questi dei pubblici ministeri, risiede nell’equilibrio e nella professionalità di cui danno prova.

Il concorso in magistratura
Le carenze nell’organico dei magistrati sono note. Sono in fase di svolgimento un concorso a 350 posti, un altro a 500 e già si parla di un terzo.
Mentre si alza il numero dei posti messi a concorso si deve però prendere atto che non si riesce ad ammettere agli orali tante persone quante sono le disponibilità. Poiché non si può pensare di “abbassare l’asticella”, occorre riflettere sull’adeguatezza del livello di preparazione. Il CSM deve non solo concorrere a questa riflessione ma anche trovare il modo di mettere a disposizione, di tutti ed allo stesso modo, il proprio notevole bagaglio di esperienza formativa (secondo una circolarità che vada dalle università alle scuole di specializzazione, al concorso e poi ai magistrati per tornare alle università e così via).
Solo contribuendo, sia pur indirettamente, alla preparazione degli aspiranti, si avranno magistrati migliori ed in numero adeguato; solo così si eviterà di costringere i giovani ad affiancare a scuole di specializzazione che a volte costituiscono mere ripetizioni delle università, corsi privati; solo così si permetterà loro di risparmiare tempo e denaro, eliminando uno tra i maggiori fattori di tensione che hanno portato alle difficoltà che si sono verificate nell’ultimo concorso.

Messina 31.1.09

GIULIO ROMANO
(presidente nona commissione CSM)

La posizione di MI per l'inaugurazione dell'anno giudiziario

La gravità e la molteplicità dei problemi che affliggono l’Amministrazione della Giustizia in Italia sono sotto gli occhi di tutti tanto da far risultare inutile una elencazione delle criticità da risolvere.
E’ davvero arrivato il momento di mettere mano a riforme incisive ed efficaci. Spetta ovviamente alla politica il compito di individuare la forma ed il contenuto delle riforme: ma ciò non può avvenire senza un contributo costruttivo da parte delle categorie professionali che sono le protagoniste quotidiane e dell’Amministrazione Giudiziaria: Magistrati, avvocati, personale amministrativo.

M.I. richiama con forza l’attenzione su un problema che, ancora una volta, il dibattito di questo ultimo periodo sembra aver relegato in una posizione marginale: la questione delle risorse per la giustizia.

Nessun intervento ordina mentale, nessuna modifica delle regole processuali, saranno capaci di produrre effetti positivi significativi, se non saranno accompagnati, e addirittura preceduti, da una razionalizzazione delle risorse utilizzabili per un miglior funzionamento della Giustizia.

E’ inutile costruire una macchina con un motore più brillante o con una carrozzeria più elegante se poi non vi sono i soldi sufficienti per rifornirla della benzina necessaria a farle compiere tutto il viaggio.

Da tempo noi ribadiamo con insistenza su questo punto. Siamo consapevoli delle gravi difficoltà finanziarie che il nostro Paese deve affrontare; siamo consapevoli della necessità che il Governo stabilisca delle priorità di intervento; siamo consapevoli che una parte delle risorse attualmente a disposizione dell’apparato giudiziario sono mal distribuite o mal utilizzate.

Ma siamo altrettanto fermamente convinti che è indifferibile proprio una nuova stagione di iniziative volte a garantire il miglior uso dei mezzi già attualmente disponibili e un incremento delle voci di bilancio che consenta di uscire dallo stallo in cui tutta l’Amministrazione della Giustizia si trova.

Fare un elenco esauriente sarebbe cosa assai lunga. E’ giunto il momento di fissare delle priorità sulle cose essenziali.

In primo luogo razionalizzare finalmente la geografia giudiziaria ed in tal senso M.I. si riconosce come base di partenza nell’ipotesi di concentrare gli Uffici Giudiziari nelle città capoluogo di provincia, con conseguente adeguamento degli organici dei Magistrati, salvo il mantenimento di Tribunali in città non capoluogo il cui territorio esiga una presenza di sede giudiziaria.

In secondo luogo, non può permanere l’attuale sotto dimensionamento del personale amministrativo. Tutti devono sapere che una delle cause principali della lentezza nel definire i processi, sia penali che civili, dipende dall’oggettiva e insuperabile impossibilità di programmare turni di udienza di durata giornaliera e frequenza settimanale tali da far fronte al carico pendente.

In terzo luogo, l’attuale drammaticità dei tempi della giustizia impone una diversa e maggiore utilizzazione delle professionalità espresse dalla Magistratura Onoraria, che già ora svolge una funzione essenziale, ma che esprime delle potenzialità di utilizzo che è insensato non sfruttare adeguatamente.

Questo profilo coinvolgere anche quello di diverso e definitivo inquadramento della stessa Magistratura Onoraria, alla quale va garantito una stabilità di lavoro e un trattamento economico adeguato.

Sappiamo bene che questi sono argomenti meno “interessanti” su terreno della comunicazione mediatica. Anche da parte degli stessi Gruppi dell’A.N.M. essi non hanno avuto sino ad oggi una attenzione corrispondente alla loro rilevanza. Ma, proprio nell’ottica di rendere il servizio giudiziario più funzionale alle attese della collettività, questi nodi organizzativi e strutturali vanno sciolti, poiché altrimenti si correrà sempre il rischio di discutere di giustizia in modo parziale.

Sullo stesso piano M.I. pone la questione della qualità – quantità del lavoro dei singoli magistrati.
Non ci nascondiamo che possano esservi nella magistratura, come in ogni altra categoria professionale, sacche di negligenza e di scarso impegno. Non vogliamo in alcun modo né coprirle né legittimarle. Tutto al contrario il nostro impegno è per una magistratura sempre più professionalmente adeguata e operosa.

La strada è quella della determinazione dei carichi di lavoro sostenibili, il che significa un giusto riconoscimento alla complessità della nostra professione e alla diversità di esigenze alle quali il nostro lavoro deve far fronte a seconda dello specifico ufficio nel quale prestiamo servizio.
Per le altre Magistrature i vari Organi di autogoverno hanno stabilito dette regole che – ci sentiamo di affermarlo con tranquillità – non sono certo superiori a quanto tutti i Magistrati Ordinari fanno quotidianamente nei loro uffici. Respingiamo l’idea di una Magistratura ordinaria colpevole per scarso impegno lavorativo della lunghezza dei procedimenti. Questa rappresentazione non è vera e siamo in grado di dimostrarlo concretamente, e non temiamo né iscrizioni né tornelli.

Rivendichiamo il diritto ad un trattamento economico che corrisponda sia alla difficoltà del nostro lavoro ed alla sue elevata qualità sia al lungo percorso che ciascuno di noi, e soprattutto i più giovani, devono affrontare per accedere alla nostra carriera. Molti continuano a credere che si possa entrare in magistratura subito dopo la laurea, mentre invece così non è. Il conseguimento del diploma di specializzazione post laurea; la lunghezza delle procedure concorsuali fanno sì che l’ingresso in Magistratura avviene oggi mediamente non prima dei trenta anni. Questo pone anche un problema sociale perché non tutte le famiglie sono in grado di mantenere il figlio sino a quell’età e quindi c’è anche il rischio di una forma, sotterranea ma non meno concreta, di selezione che è contraria ai valori fondamentali di una società democratica.

Tutto ciò rende veramente inaccettabile l’attuale sperequazione, a danno dei Magistrati Ordinari, rispetto alle altre Magistrature che godono di un trattamento economico nettamente superiore e non giustificato da alcuna ragione. Ancora una volta sappiamo che in frangenti così difficili sul piano economico, avanzare queste rivendicazioni può sembrare intempestivo e può divenire oggetto di facili critiche. Ma sono critiche superficiali, perché perpetuare differenze sul terreno economico con le altre Magistrature e con la Dirigenza dello Stato comporta anche un messaggio di disincentivazione verso i giovani migliori e più preparati ad accedere alla nostra carriera, oltre che segnale di una non meritata sottovalutazione del nostro impegno.

Quanto alle riforme costituzionali, siamo contrari a interventi che incidano sostanzialmente sul principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
M.I. è però pienamente consapevole della necessità di disciplinare la materia dell’azione penale attraverso la fissazione di criteri di priorità validi in via generale, per tutti gli uffici di Procura d’Italia.

Non è sostenibile certamente l’attuale situazione nella quale, dietro l’usbergo di una obbligatorietà di una azione penale che sul paino pratico non è realizzabile in modo completo, ciascun Procuratore della Repubblica possa decidere di non fissare criteri di priorità, o di fissarli in modo diverso da tutte le altre Procure Italiane.

Non è ugualmente, e a maggior ragione, sostenibile l’attuale situazione nella quale ogni singolo Pubblico Ministero può decidere di organizzare il proprio lavoro secondo modelli di priorità che Lui singolarmente si è dato.

Riteniamo che l’unica soluzione valida sia quella di una predeterminazione di criteri di priorità fatta in sede Parlamentare con il concorso, ciascuno per la parte di propria competenza, del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura.

E’ un tema delicatissimo e la ricerca della soluzione tecnica più adeguata è certamente difficile: ma questa è la strada.

Proprio per garantire uniformità di trattamento e trasparenza nelle scelte M.I. segnala che l’approccio più saldo è quello che tiene conto di criteri di priorità che il nostro sistema giuridico già conosce.

In primo luogo, le materie che già in Parlamento ha indicato come meritevoli di trattazione prioritaria. In secondo luogo i criteri desumibili dal nostro sistema processuale, che esprime delle scelte di fondo. In una progressione, dall’alto verso il basso, meritano priorità di trattazione quei procedimenti che devono essere giudicati da un collegio di Giudici; poi quelli che devono passare per il filtro dell’udienza preliminare; poi quelli davanti al Giudice monocratico; poi quelli davanti al Giudice di Pace.

Siamo assolutamente contrari ad una riforma del C.S.M. che modifichi l’attuale rapporto tra componenti eletti da Magistrati e componenti “laici”. L’essenza di un organo di autogoverno si fonda nel riconoscimento di una prevalenza numerica dei componenti espressi dall’ordine giudiziario. Alterare questo criterio significa svuotare di contenuti proprio le ragioni e le finalità dell’autogoverno.

M.I. è senza riserve, e da tempo, favorevole ad un sistema elettorale del C.S.M. che garantisca ai Magistrati elettori una libertà di scelta tra i candidati non vincolata rigidamente all’appartenenza degli stessi ad un Gruppo associativo o ad un altro.

L’esperienza della vigente legge elettorale ha dimostrata che essa è fallita proprio rispetto al suo obiettivo principale e cioè quello di evitare una designazione delle candidature da parte dei gruppi associativi con modalità tali da rendere possibile l’elezione dei soli candidati scelti dai singoli gruppi.

Ancora una volta è necessaria una attenta riflessione su questa materia, ma anche a questo proposito M.I. ritiene che questa sia l’unica strada seria per ottenere il risultato di formare il C.S.M. con Magistrati di provata competenza, di sicura correttezza, meritevoli dell’apprezzamento da parte dei colleghi al di là della stretta militanza in un gruppo associativo.

Siamo, invece, convinti sostenitori della necessità di una separazione tra funzioni di amministrazione del C.S.M. e Giurisdizione disciplinare.

Non è accettabile che proprio in sede di autogoverno esistano – perché oggi è ineliminabile – momenti di sovrapposizione e di interferenza tra il giudizio disciplinare e la trattazione di pratiche amministrative che riguardano lo stesso Magistrato, il più delle volte per i medesimi fatti dei quali è chiamato a rispondere davanti alla sezione disciplinare.

E’ assurdo che il nostro sistema giudiziario abbia introdotto regole rigidissime di incompatibilità all’interno dei processi, quando poi queste regole sono del tutto mancanti, e anzi clamorosamente contraddette, quando si tratta di decidere sulla carriera o sulla sede di lavoro di un magistrato e sulla sua eventuale colpa disciplinare.
La sezione disciplinare deve essere composta da persone diverse da quelle che fanno parte del C.S.M. quale organo di autogoverno amministrativo.

M.I. è contraria a progetti che portino ad una formale separazione delle carriere tra Giudici e P.M.

Per sgombrare il campo da frequenti fraintendimenti della realtà, va detto con forza che nessuno dei mali che affliggono il funzionamento della Giustizia in Italia dipende dall’attuale collocazione nell’ordine giudiziario dei Giudici e dei Pubblici Ministeri: non la lentezza dei processi; non un ricorso talora eccessivo alle intercettazioni; non le missioni di misure coercitive non seguite poi da una sentenza di condanna.

Va anche detto che, nei fatti, una netta distinzione tra Giudici e Pubblici Ministeri costituisce già la realtà.

Nel 2008, su 8.000 Magistrati italiani, meno di quaranta hanno chiesto il passaggio da una funzione all’altra, a dimostrazione del fatto, essenzialmente, che la specificità delle diverse funzioni e la conseguente specializzazione delle competenze prevale rispetto ad altri fattori che possono indurre ad un mutamento delle funzioni. Quindi, la questione della separazione tra P.M. e Giudici, che molti presentano come passaggio decisivo per una riforma in senso migliorativo della Giustizia, è in realtà un falso problema.

Il vero punto è che solo l’appartenenza del Pubblico Ministero e del Giudice allo stesso ordine, con le stesse garanzie, con lo stesso organo di autogoverno permette di assicurare allo stato e alla collettività una magistratura realmente indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato, così come avvenuto la nostra Costituzione.

Questo è un terreno sul quale, essendo in gioco principi fondamentali di tutto il nostro ordinamento, M.I. ritiene che non possa essere mutato il quadro di riferimento.


Quanto alle modifiche del processo penale, va difesa la competenza del P.M. nell’acquisire anche direttamente notizie di reato sul versante dell’ l’azione di contrasto rispetto a forme gravi di illegalità, specie nel settore del terrorismo, della criminalità organizzata, dell’attività della Pubblica Amministrazione e in tutti quegli ambiti che vedono un intreccio di interessi finanziari e affaristici. Siamo, quindi, contrari ad una riforma che, in tali settori, limiti l’azione del P.M. allo sviluppo di notizie di reato trasmesse dalla Polizia Giudiziaria. E’ un problema di sostanza, non di forma.

In generale siamo contrari alla visione di un Pubblico Ministero che sia l’avvocato delle forze di polizia giudiziaria, visione che condurrebbe ad una riduzione del ruolo del Pubblico Ministero e indebolirebbe fortemente il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale con ricadute anche sul principio della uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge.


M.I. considera alcuni profili come meritevoli di prioritaria attenzione.
Sulle intercettazioni telefoniche il Parlamento sta già lavorando.

Dal nostro punto di vista siamo assolutamente favorevoli a interventi che siano efficaci per por fine alla barbarie di una violazione frequente del segreto investigativo, che non può essere né giustificata né approvata in virtù del diritto di cronaca, che deve soccombere rispetto alla garanzia – di più alto valore costituzionale – dei diritti fondamentali di difesa di una persona indagata, e a maggior ragione dei diritti di chi in quel processo è un semplice testimone o addirittura non ha alcuna veste.

Siamo altrettanto favorevoli ad una disciplina che vincoli a una motivazione effettiva e non di maniera le ragioni poste a giustificazione di uno strumento così invasivo per la libertà individuale quale l’intercettazione. Riteniamo che il mancato rispetto di tali vincoli debba portare alla non utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni medesime.
Riteniamo invece assolutamente non condivisibile una limitazione della lista dei reati per i quali sia possibile ricorrere all’intercettazione. L’esperienza dimostra che questo mezzo di acquisizione della prova è assolutamente indispensabile e sarebbe insensato privarsene perché il prezzo è quello di ridurre l’efficacia nella tutela della legalità.
E’ necessario, invece, stabilire regole molto precise che impediscano sin dall’inizio l’ingresso nelle carte processuali di conversazioni che non hanno alcuna attinenza con l’oggetto specifico dell’indagine stessa.

Sul versante del processo civile, si deve operare una semplificazione e riduzione dei modelli processuali attualmente vigenti, attribuendo preferenza ad un processo in cui il giudice disponga di poteri di controllo, direzione e impulso dell’attività processuale delle parti.

E’ indispensabile l’introduzione di strumenti che favoriscano il ricorso a procedure conciliative, in funzione deflattiva del carico delle sopravvenienze.

Si deve dare altresì impulso alla piena e generale applicazione del processo telematico e vanno introdotti rimedi extraprocessuali, di natura amministrativa, che riducano l’impatto sulla giurisdizione di merito e di legittimità, non sopportabile alla stregua delle attuali pendenze, dei procedimenti di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata dei processi.

domenica 1 febbraio 2009

Borrelli : "Cari colleghi abbiamo esagerato"(dal Giornale di oggi)

L’ex capo di Mani Pulite ammette: "Cari colleghi, abbiamo esagerato"

Milano La linea è sottile.
«Non parlo di abusi, piuttosto di eccessi».

Ma tanto basta. Sa che il rischio è di essere «impopolare rispetto alla mia categoria». È una voce fuori dal coro. Che fa rumore. Francesco Saverio Borrelli, ex capo del pool di Mani pulite, già procuratore generale di Milano, interviene sul tema caldo delle intercettazioni. L’occasione è ufficiale. All’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo lombardo, Borrelli chiama i magistrati a un «esame di coscienza».

La premessa è d’obbligo.
«Non è possibile fare a meno delle intercettazioni», esordisce Borrelli, e «non bisogna privare magistrati e forze dell’ordine di questo strumento».

Poi, l’affondo. Perché «io mi considero ancora appartenente alla magistratura e seguo le vicende con lo stesso rigore e autocritica che avevo quando esercitavo la professione».

E per questo spiega che «probabilmente era inevitabile una riforma», ed era «necessario autolimitarsi.

C’è stata un’eccessiva facilità, in buona fede, nel protrarre a tempo indeterminato le intercettazioni».

Il senso è chiaro. «Se dopo un ragionevole periodo di controllo non emergono fatti rilevanti, bisogna chiudere», anche perché «se fatte a macchia d’olio sono pericolose».

«Io - insiste Borrelli - non ho mai ritenuto che i pm abbiano delegato all’uso delle intercettazioni le loro capacità di indagine», tuttavia «è possibile che con la speranza di riuscire a trovare elementi che possono rafforzare l’accusa» queste si siano «protratte a tempo indeterminato».

Un limite, ricorda l’ex procuratore, esiste già. Sessanta giorni.

«È un termine necessario a conciliare l’efficacia delle indagini e il rispetto della riservatezza dei cittadini».
E, in tema di privacy, Borrelli ne ha anche per l’informazione.

«Ha delle responsabilità, se la magistratura deve autolimitarsi anche la stampa dovrebbe farlo».

Nella stessa aula, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo rilancia. «Se fosse stata applicata correttamente la norma, il legislatore non sarebbe intervenuto». Il problema, però, è che «le norme vengono dimenticate dalla pratica quotidiana». E quello che per Borrelli è un «eccesso», per Caliendo, ex magistrato, diventa «un’abitudine». L’abitudine «ad attivare le indagini solo con le intercettazioni e sappiamo tutti quali sono state le conseguenze sotto il profilo di influenza sulle indagini e sotto quello della privacy». Di vero e proprio «abuso», invece, parla il pg di Catanzaro, Enzo Jannelli. «Ben vengano norme più rigorose: finora ne hanno abusato tutti, magistrati e giornalisti». Di fronte a uno strumento «tanto indispensabile quanto invasivo, va trovato un equilibrio, garantendo l’utilizzabilità solo di quelle che hanno rilevanza penale».Da Napoli, il ministro della Giustizia Angelino Alfano assicura che «non si sta limitando l’uso delle intercettazioni per alcun reato. Il nostro ddl tutela lo strumento delle intercettazioni e la privacy dei cittadini». Ma «il sistematico aggiramento della norma del codice attualmente vigente ha prodotto la necessità di intervenire». Per ridurre i costi, poi, il ministro annuncia che il governo «studierà il modello tedesco», in base al quale gli operatori telefonici, in cambio della licenza a erogare un servizio pubblico, non fanno pagare le attività di intercettazione richieste dai magistrati. Così fosse stato, nel 2007 il Grande Orecchio d’Italia avrebbe risparmiato 224 milioni di euro

Maurizio Laudi sulle intercettazioni: un prospettiva moderata in un dibattito nel quale tutti dicono tutto (e pochi capiscono davvero)

Ripubblichiamo l'intervista di Maurizio Laudi ,Segretario Generale di MI sulle intercettazioni apparsa sul "Messaggero" di oggi (v. il link) .

ROMA - «La riforma della legge sulle intercettazioni è urgente»: dice Maurizio Laudi, segretario generale di Magistratura Indipendente, la corrente moderata dell’Associazione nazionale magistrati, per la quale è stato consigliere del Csm. Che cosa c’è che non va nel sistema attuale?

«Io credo ci sia un uso eccessivo dell’uso di intercettazioni per qualsiasi indagine che rientra nella responsabilità dei pm che le chiedono e dei giudici che le autorizzano; un ritardo nella esclusione di quelle conversazioni che non sono ritenute attinenti alle indagini stesse; e la mancanza di un responsabile del segreto».Proporrebbe misure come quelle allo studio alla Camera?«Non esattamente. Mi convince il concetto, ma in pratica no. Prenda ad esempio il reato di estorsione. Noi conosciamo la vittima non l’aguzzino. E per scoprirlo l’investigatore metterà sotto controllo il telefono della vittima. Ma siamo fuori dal parametro degli “indizi di colpevolezza. Si rischia la confusione. A mio avviso le autorizzazioni dovrebbero essere chieste e concesse soltanto se agganciate a elementi concreti, chiari, non fumosi, teorici. E bisognerebbe vietare la prassi dell’estensione illimitata delle intercettazioni. Altrimenti si rischia una barbarie giuridica».

Che cos’altro cambierebbe?

«Secondo me le conversazioni intercettate non attinenti alle indagini dovrebbero essere escluse nell’immediatezza, non appena arrivano al pm le annotazioni della polizia giudiziaria. Per evitare che estranei al reato vengano coinvolti».

Chi dovrebbe essere il responsabile delle intercettazioni?

«Secondo me più di uno. In ogni fase processuale cambia la responsabilità. Nel corso delle indagini sono responsabili il pm e l’ufficiale di polizia delegato. Poi anche gli avvocati quando hanno accesso alle trascrizioni . Infine il giudice o i giudici che ne prendono conoscenza. In caso di fughe di notizie ogni responsabile, in ciascuna fase del processo, dovrebbe essere sanzionato con multe in denaro molto elevate».

Come evitare la discrezionalità del pm nel perseguire certi reati anzicché altri?

«Il Parlamento con legge potrebbe fissare i criteri di priorità in modo chiaro e trasparente. Non sulla base della gravità o dell’emotività, ma già il codice di procedura indica una gerarchia: quelli da Corte d’assise e da Tribunale collegiale prima, poi quelli da tribunale monocratico. Basta seguire il codice».

M. Cof.