La gravità e la molteplicità dei problemi che affliggono l’Amministrazione della Giustizia in Italia sono sotto gli occhi di tutti tanto da far risultare inutile una elencazione delle criticità da risolvere.
E’ davvero arrivato il momento di mettere mano a riforme incisive ed efficaci. Spetta ovviamente alla politica il compito di individuare la forma ed il contenuto delle riforme: ma ciò non può avvenire senza un contributo costruttivo da parte delle categorie professionali che sono le protagoniste quotidiane e dell’Amministrazione Giudiziaria: Magistrati, avvocati, personale amministrativo.
M.I. richiama con forza l’attenzione su un problema che, ancora una volta, il dibattito di questo ultimo periodo sembra aver relegato in una posizione marginale: la questione delle risorse per la giustizia.
Nessun intervento ordina mentale, nessuna modifica delle regole processuali, saranno capaci di produrre effetti positivi significativi, se non saranno accompagnati, e addirittura preceduti, da una razionalizzazione delle risorse utilizzabili per un miglior funzionamento della Giustizia.
E’ inutile costruire una macchina con un motore più brillante o con una carrozzeria più elegante se poi non vi sono i soldi sufficienti per rifornirla della benzina necessaria a farle compiere tutto il viaggio.
Da tempo noi ribadiamo con insistenza su questo punto. Siamo consapevoli delle gravi difficoltà finanziarie che il nostro Paese deve affrontare; siamo consapevoli della necessità che il Governo stabilisca delle priorità di intervento; siamo consapevoli che una parte delle risorse attualmente a disposizione dell’apparato giudiziario sono mal distribuite o mal utilizzate.
Ma siamo altrettanto fermamente convinti che è indifferibile proprio una nuova stagione di iniziative volte a garantire il miglior uso dei mezzi già attualmente disponibili e un incremento delle voci di bilancio che consenta di uscire dallo stallo in cui tutta l’Amministrazione della Giustizia si trova.
Fare un elenco esauriente sarebbe cosa assai lunga. E’ giunto il momento di fissare delle priorità sulle cose essenziali.
In primo luogo razionalizzare finalmente la geografia giudiziaria ed in tal senso M.I. si riconosce come base di partenza nell’ipotesi di concentrare gli Uffici Giudiziari nelle città capoluogo di provincia, con conseguente adeguamento degli organici dei Magistrati, salvo il mantenimento di Tribunali in città non capoluogo il cui territorio esiga una presenza di sede giudiziaria.
In secondo luogo, non può permanere l’attuale sotto dimensionamento del personale amministrativo. Tutti devono sapere che una delle cause principali della lentezza nel definire i processi, sia penali che civili, dipende dall’oggettiva e insuperabile impossibilità di programmare turni di udienza di durata giornaliera e frequenza settimanale tali da far fronte al carico pendente.
In terzo luogo, l’attuale drammaticità dei tempi della giustizia impone una diversa e maggiore utilizzazione delle professionalità espresse dalla Magistratura Onoraria, che già ora svolge una funzione essenziale, ma che esprime delle potenzialità di utilizzo che è insensato non sfruttare adeguatamente.
Questo profilo coinvolgere anche quello di diverso e definitivo inquadramento della stessa Magistratura Onoraria, alla quale va garantito una stabilità di lavoro e un trattamento economico adeguato.
Sappiamo bene che questi sono argomenti meno “interessanti” su terreno della comunicazione mediatica. Anche da parte degli stessi Gruppi dell’A.N.M. essi non hanno avuto sino ad oggi una attenzione corrispondente alla loro rilevanza. Ma, proprio nell’ottica di rendere il servizio giudiziario più funzionale alle attese della collettività, questi nodi organizzativi e strutturali vanno sciolti, poiché altrimenti si correrà sempre il rischio di discutere di giustizia in modo parziale.
Sullo stesso piano M.I. pone la questione della qualità – quantità del lavoro dei singoli magistrati.
Non ci nascondiamo che possano esservi nella magistratura, come in ogni altra categoria professionale, sacche di negligenza e di scarso impegno. Non vogliamo in alcun modo né coprirle né legittimarle. Tutto al contrario il nostro impegno è per una magistratura sempre più professionalmente adeguata e operosa.
La strada è quella della determinazione dei carichi di lavoro sostenibili, il che significa un giusto riconoscimento alla complessità della nostra professione e alla diversità di esigenze alle quali il nostro lavoro deve far fronte a seconda dello specifico ufficio nel quale prestiamo servizio.
Per le altre Magistrature i vari Organi di autogoverno hanno stabilito dette regole che – ci sentiamo di affermarlo con tranquillità – non sono certo superiori a quanto tutti i Magistrati Ordinari fanno quotidianamente nei loro uffici. Respingiamo l’idea di una Magistratura ordinaria colpevole per scarso impegno lavorativo della lunghezza dei procedimenti. Questa rappresentazione non è vera e siamo in grado di dimostrarlo concretamente, e non temiamo né iscrizioni né tornelli.
Rivendichiamo il diritto ad un trattamento economico che corrisponda sia alla difficoltà del nostro lavoro ed alla sue elevata qualità sia al lungo percorso che ciascuno di noi, e soprattutto i più giovani, devono affrontare per accedere alla nostra carriera. Molti continuano a credere che si possa entrare in magistratura subito dopo la laurea, mentre invece così non è. Il conseguimento del diploma di specializzazione post laurea; la lunghezza delle procedure concorsuali fanno sì che l’ingresso in Magistratura avviene oggi mediamente non prima dei trenta anni. Questo pone anche un problema sociale perché non tutte le famiglie sono in grado di mantenere il figlio sino a quell’età e quindi c’è anche il rischio di una forma, sotterranea ma non meno concreta, di selezione che è contraria ai valori fondamentali di una società democratica.
Tutto ciò rende veramente inaccettabile l’attuale sperequazione, a danno dei Magistrati Ordinari, rispetto alle altre Magistrature che godono di un trattamento economico nettamente superiore e non giustificato da alcuna ragione. Ancora una volta sappiamo che in frangenti così difficili sul piano economico, avanzare queste rivendicazioni può sembrare intempestivo e può divenire oggetto di facili critiche. Ma sono critiche superficiali, perché perpetuare differenze sul terreno economico con le altre Magistrature e con la Dirigenza dello Stato comporta anche un messaggio di disincentivazione verso i giovani migliori e più preparati ad accedere alla nostra carriera, oltre che segnale di una non meritata sottovalutazione del nostro impegno.
Quanto alle riforme costituzionali, siamo contrari a interventi che incidano sostanzialmente sul principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
M.I. è però pienamente consapevole della necessità di disciplinare la materia dell’azione penale attraverso la fissazione di criteri di priorità validi in via generale, per tutti gli uffici di Procura d’Italia.
Non è sostenibile certamente l’attuale situazione nella quale, dietro l’usbergo di una obbligatorietà di una azione penale che sul paino pratico non è realizzabile in modo completo, ciascun Procuratore della Repubblica possa decidere di non fissare criteri di priorità, o di fissarli in modo diverso da tutte le altre Procure Italiane.
Non è ugualmente, e a maggior ragione, sostenibile l’attuale situazione nella quale ogni singolo Pubblico Ministero può decidere di organizzare il proprio lavoro secondo modelli di priorità che Lui singolarmente si è dato.
Riteniamo che l’unica soluzione valida sia quella di una predeterminazione di criteri di priorità fatta in sede Parlamentare con il concorso, ciascuno per la parte di propria competenza, del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura.
E’ un tema delicatissimo e la ricerca della soluzione tecnica più adeguata è certamente difficile: ma questa è la strada.
Proprio per garantire uniformità di trattamento e trasparenza nelle scelte M.I. segnala che l’approccio più saldo è quello che tiene conto di criteri di priorità che il nostro sistema giuridico già conosce.
In primo luogo, le materie che già in Parlamento ha indicato come meritevoli di trattazione prioritaria. In secondo luogo i criteri desumibili dal nostro sistema processuale, che esprime delle scelte di fondo. In una progressione, dall’alto verso il basso, meritano priorità di trattazione quei procedimenti che devono essere giudicati da un collegio di Giudici; poi quelli che devono passare per il filtro dell’udienza preliminare; poi quelli davanti al Giudice monocratico; poi quelli davanti al Giudice di Pace.
Siamo assolutamente contrari ad una riforma del C.S.M. che modifichi l’attuale rapporto tra componenti eletti da Magistrati e componenti “laici”. L’essenza di un organo di autogoverno si fonda nel riconoscimento di una prevalenza numerica dei componenti espressi dall’ordine giudiziario. Alterare questo criterio significa svuotare di contenuti proprio le ragioni e le finalità dell’autogoverno.
M.I. è senza riserve, e da tempo, favorevole ad un sistema elettorale del C.S.M. che garantisca ai Magistrati elettori una libertà di scelta tra i candidati non vincolata rigidamente all’appartenenza degli stessi ad un Gruppo associativo o ad un altro.
L’esperienza della vigente legge elettorale ha dimostrata che essa è fallita proprio rispetto al suo obiettivo principale e cioè quello di evitare una designazione delle candidature da parte dei gruppi associativi con modalità tali da rendere possibile l’elezione dei soli candidati scelti dai singoli gruppi.
Ancora una volta è necessaria una attenta riflessione su questa materia, ma anche a questo proposito M.I. ritiene che questa sia l’unica strada seria per ottenere il risultato di formare il C.S.M. con Magistrati di provata competenza, di sicura correttezza, meritevoli dell’apprezzamento da parte dei colleghi al di là della stretta militanza in un gruppo associativo.
Siamo, invece, convinti sostenitori della necessità di una separazione tra funzioni di amministrazione del C.S.M. e Giurisdizione disciplinare.
Non è accettabile che proprio in sede di autogoverno esistano – perché oggi è ineliminabile – momenti di sovrapposizione e di interferenza tra il giudizio disciplinare e la trattazione di pratiche amministrative che riguardano lo stesso Magistrato, il più delle volte per i medesimi fatti dei quali è chiamato a rispondere davanti alla sezione disciplinare.
E’ assurdo che il nostro sistema giudiziario abbia introdotto regole rigidissime di incompatibilità all’interno dei processi, quando poi queste regole sono del tutto mancanti, e anzi clamorosamente contraddette, quando si tratta di decidere sulla carriera o sulla sede di lavoro di un magistrato e sulla sua eventuale colpa disciplinare.
La sezione disciplinare deve essere composta da persone diverse da quelle che fanno parte del C.S.M. quale organo di autogoverno amministrativo.
M.I. è contraria a progetti che portino ad una formale separazione delle carriere tra Giudici e P.M.
Per sgombrare il campo da frequenti fraintendimenti della realtà, va detto con forza che nessuno dei mali che affliggono il funzionamento della Giustizia in Italia dipende dall’attuale collocazione nell’ordine giudiziario dei Giudici e dei Pubblici Ministeri: non la lentezza dei processi; non un ricorso talora eccessivo alle intercettazioni; non le missioni di misure coercitive non seguite poi da una sentenza di condanna.
Va anche detto che, nei fatti, una netta distinzione tra Giudici e Pubblici Ministeri costituisce già la realtà.
Nel 2008, su 8.000 Magistrati italiani, meno di quaranta hanno chiesto il passaggio da una funzione all’altra, a dimostrazione del fatto, essenzialmente, che la specificità delle diverse funzioni e la conseguente specializzazione delle competenze prevale rispetto ad altri fattori che possono indurre ad un mutamento delle funzioni. Quindi, la questione della separazione tra P.M. e Giudici, che molti presentano come passaggio decisivo per una riforma in senso migliorativo della Giustizia, è in realtà un falso problema.
Il vero punto è che solo l’appartenenza del Pubblico Ministero e del Giudice allo stesso ordine, con le stesse garanzie, con lo stesso organo di autogoverno permette di assicurare allo stato e alla collettività una magistratura realmente indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato, così come avvenuto la nostra Costituzione.
Questo è un terreno sul quale, essendo in gioco principi fondamentali di tutto il nostro ordinamento, M.I. ritiene che non possa essere mutato il quadro di riferimento.
Quanto alle modifiche del processo penale, va difesa la competenza del P.M. nell’acquisire anche direttamente notizie di reato sul versante dell’ l’azione di contrasto rispetto a forme gravi di illegalità, specie nel settore del terrorismo, della criminalità organizzata, dell’attività della Pubblica Amministrazione e in tutti quegli ambiti che vedono un intreccio di interessi finanziari e affaristici. Siamo, quindi, contrari ad una riforma che, in tali settori, limiti l’azione del P.M. allo sviluppo di notizie di reato trasmesse dalla Polizia Giudiziaria. E’ un problema di sostanza, non di forma.
In generale siamo contrari alla visione di un Pubblico Ministero che sia l’avvocato delle forze di polizia giudiziaria, visione che condurrebbe ad una riduzione del ruolo del Pubblico Ministero e indebolirebbe fortemente il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale con ricadute anche sul principio della uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge.
M.I. considera alcuni profili come meritevoli di prioritaria attenzione.
Sulle intercettazioni telefoniche il Parlamento sta già lavorando.
Dal nostro punto di vista siamo assolutamente favorevoli a interventi che siano efficaci per por fine alla barbarie di una violazione frequente del segreto investigativo, che non può essere né giustificata né approvata in virtù del diritto di cronaca, che deve soccombere rispetto alla garanzia – di più alto valore costituzionale – dei diritti fondamentali di difesa di una persona indagata, e a maggior ragione dei diritti di chi in quel processo è un semplice testimone o addirittura non ha alcuna veste.
Siamo altrettanto favorevoli ad una disciplina che vincoli a una motivazione effettiva e non di maniera le ragioni poste a giustificazione di uno strumento così invasivo per la libertà individuale quale l’intercettazione. Riteniamo che il mancato rispetto di tali vincoli debba portare alla non utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni medesime.
Riteniamo invece assolutamente non condivisibile una limitazione della lista dei reati per i quali sia possibile ricorrere all’intercettazione. L’esperienza dimostra che questo mezzo di acquisizione della prova è assolutamente indispensabile e sarebbe insensato privarsene perché il prezzo è quello di ridurre l’efficacia nella tutela della legalità.
E’ necessario, invece, stabilire regole molto precise che impediscano sin dall’inizio l’ingresso nelle carte processuali di conversazioni che non hanno alcuna attinenza con l’oggetto specifico dell’indagine stessa.
Sul versante del processo civile, si deve operare una semplificazione e riduzione dei modelli processuali attualmente vigenti, attribuendo preferenza ad un processo in cui il giudice disponga di poteri di controllo, direzione e impulso dell’attività processuale delle parti.
E’ indispensabile l’introduzione di strumenti che favoriscano il ricorso a procedure conciliative, in funzione deflattiva del carico delle sopravvenienze.
Si deve dare altresì impulso alla piena e generale applicazione del processo telematico e vanno introdotti rimedi extraprocessuali, di natura amministrativa, che riducano l’impatto sulla giurisdizione di merito e di legittimità, non sopportabile alla stregua delle attuali pendenze, dei procedimenti di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata dei processi.
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