mercoledì 17 dicembre 2008

Augusto Barbera sulle riforme : le priorità necessarie

GIUSTIZIA/ Barbera: prima di riformare il Csm, riduciamo i tempi dei processi
INT. Augusto Barbera
mercoledì 17 dicembre 2008
Continua il confronto di maggioranza e opposizione sulla giustizia. Alla proposta di Berlusconi, di fare la riforma mettendo mano alla Costituzione, hanno fatto seguito toni più concilianti. E Veltroni ha proposto un tavolo comune per favorire il dialogo. Secondo il costituzionalista Augusto Barbera la vera emergenza è la lentezza dei processi, «dovuti a una legislazione piena di garbugli, anche perché – e lo diceva già Calamandrei nel 1919 – ci sono troppi avvocati in Parlamento. Noi abbiamo sì un’anomalia, ma è un’anomalia positiva rispetto ad altri paesi europei: l’autonomia dei pubblici ministeri dal potere politico. Non mi sentirei francamente di cambiare per questo la nostra Costituzione».

Professor Barbera, le forze politiche stanno cercando un accordo su come affrontare il nodo della riforma della giustizia. Prima Berlusconi ha proposto di fare la riforma cambiando la Costituzione, poi Veltroni ha risposto con un tavolo comune che metta insieme parlamentari, avvocati e magistrati. Qual è la sua opinione?

Il tema della riforma della giustizia è complesso, ma rimango convinto che ci siano della priorità. E che queste siano i processi penali, civili e amministrativi, che sono lentissimi, dovuti a una legislazione piena di garbugli, anche perché – e lo diceva già Calamandrei nel 1919 – ci sono troppi avvocati in Parlamento. Che portano con sé una deformazione professionale ammantata di garantismo. Questa è il primo problema della giustizia. Non è l’unico, ma il principale. Poi può esserci un problema di ordinamento della magistratura. Ma bisogna muoversi con molta cautela.

Perché?

Perché noi abbiamo sì un’anomalia, ma è un’anomalia positiva rispetto ad altri paesi europei: l’autonomia dei pubblici ministeri dal potere politico. Non mi sentirei francamente di cambiare per questo la nostra Costituzione. Senza quest’autonomia non avremmo avuto Tangentopoli, non avremmo avuto il processo Calvi, non avremmo avuto quel poco che sappiamo delle stragi in Italia. Questo va salvaguardato. Fatto questo si possono anche operare dei cambiamenti al testo costituzionale, che definirei piuttosto come ritocchi.

Secondo lei l’autonomia dei pm è un principio a rischio?

Quello che si dice di voler fare no. Ma se vogliamo fare il processo alle intenzioni, alcune di queste non sembrano in buona fede. E non soltanto da parte del centrodestra. Diciamo che, forse, quando il Capo dello Stato parla di “principi” intende riferirsi proprio a un principio come quello dell’autonomia. Poi, se si mantiene ferma questa autonomia, si potrebbe anche discutere di separazione delle carriere.

In quali termini?

Certamente non è conforme a principi del costituzionalismo liberale che ci sia questa connessione stretta tra che dirige le indagini, promuove l’accusa, sostiene l’accusa in dibattimento e chi poi deve giudicare. Non è il massimo, direi, dal punto di vista delle garanzie liberali. Ma che cosa frena il cambiamento? Le resistenze corporative della magistratura, ma anche una diffidenza, il timore cioè che la separazione delle carriere sia il primo passo per sottoporre il pm all’autorità politica. È il timore che spinge molti, che pure potrebbero esser teoricamente d’accordo, a tirare il freno sulla separazione.

Come si può sbloccare la situazione?

Un patto solenne tra le forze politiche che dicesse: cambiamo anche alcune norme costituzionali, ma ribadiamo l’autonomia della magistratura e in particolare l’autonomia del pubblico ministero dal potere politico. In tal caso forse molte diffidenze potrebbero cadere.

Lei come riformerebbe il Csm?

La proposta di Violante di riequilibrarne la composizione con la presenza di personalità nominate dal capo dello Stato potrebbe essere utile. Ma io mi spingerei ancor più in là: fatta la separazione delle carriere, si potrebbero istituire due sezioni del Csm, una per i pm e l’altra per i magistrati giudicanti. Perché, in effetti, che la carriera di un magistrato giudicante debba essere condizionata dai giudizi e dalle decisioni assunte in Consiglio anche dai pubblici ministeri non è così tranquillizzante.

Lei ha parlato di un “patto solenne”. Come lo si può raggiungere? Veltroni ha parlato di una commissione della durata di sessanta giorni che valuti le proposte di riforma di maggioranza e opposizione. Può essere la strada giusta?

Per trovare un accordo, data l’attuale situazione direi che tutti i mezzi sono “leciti”. Prima ho parlato dell’autonomia come della nostra anomalia positiva. Ma ci sono ovviamente anche anomalie negative, come l’organizzazione della magistratura per correnti. Qui non c’entra nulla la Costituzione, ma i comportamenti stessi dei magistrati. Teniamo presente che le correnti in passato sono state espressione di nobilissimi contrasti, sul modo di applicare il diritto e la Costituzione, ma ora sono prevalentemente gruppi di potere.

Come si potrebbe intervenire per rimediare a questa degenerazione?

Potrebbe rivelarsi decisiva una legge diversa per l’elezione del Csm, basata su collegi uninominali, in cui la scelta avviene sulla base della persona che si ritiene più capace e in cui si ha più fiducia, anziché in base a liste nazionali e quindi a appartenenze correntizie.

Cosa pensa di una corte di giustizia disciplinare del tutto svincolata dal Csm? È una vecchia idea di Violante, che ha riproposto poco fa su questo quotidiano anche il sottosegretario Mantovano.

Una corte disciplinare, che si occupi però di tutte le magistrature, è indubbiamente un altro ritocco che andrebbe fatto. Le faccio un esempio: io sono stato nell’organo di autotutela della magistratura amministrativa, come vicepresidente, e non era simpatico vedere che noi adottavamo alcuni provvedimenti disciplinari e che poi questi venivano impugnati davanti al Tar. Anche se devo dire che hanno ragione i magistrati, quando dicono che fra tutti gli organismi disciplinari di tutte le amministrazioni quello che ha funzionato meglio degli altri è il Csm. Prendiamo l’università: nella mia carriera ha sentito nominare solo due o tre docenti che hanno subito provvedimenti disciplinari. In magistratura questo avviene in misura nettamente superiore.

La giustizia nel nostro paese appare a conti fatti vittima di uno scontro che ha le sue radici in Tangentopoli. Che cosa avrebbe da rimproverare al centrodestra e al centrosinistra dal punto di vista culturale?

Il problema culturale fondamentale è che si parla di questi temi solo quando viene colpito qualche esponente del ceto politico. Mentre il problema riguarda tutti coloro che risentono di una cattiva amministrazione della giustizia, il signor Rossi e il signor Bianchi. Ecco perché per me la cosa più importante è la riforma della macchina che non funziona, delle procedure; mentre il centrodestra è propenso a ribaltare l’ordine delle priorità, mettendo davanti il problema dell’ordinamento della magistratura. Anche se mi sembra che qualche segnale nuovo, di volersi occupare anche del resto, Alfano lo abbia dato.

E cosa invece avrebbe da rimproverare al centrosinistra?

A parte le ultime proposte di Violante, di essersi appiattita su posizioni conservatrici.

martedì 16 dicembre 2008

Riformare la giustizia o la magistratura? Il documento conclusivo dell'Assemblea di MI

Questo il documento conclusivo dell'Assemblea nazionale di Magistratura Indipendente del 14 dicembre 2008 :

RIFORMARE LA GIUSTIZIA O LA MAGISTRATURA?

La crisi del sistema di giustizia in Italia, giunta ad una gravità incompatibile con i canoni costituzionali e con gli standards imposti a livello europeo, impone che le componenti culturali e associative della magistratura, al pari di ogni singolo magistrato, partecipino al dibattito sulle possibili riforme con spirito scevro da tatticismi, posizioni di convenienza, contrapposizioni corporative.

Principi immodificabili in tema di riforma costituzionale della magistratura.
La separazione delle carriere.
È una questione agitata in modo strumentale. Nessun aspetto delle patologie nel funzionamento attuale della giustizia italiana è, infatti, conseguenza della carriera unitaria dei magistrati giudicanti e requirenti. Il principale problema prospettato come effetto della carriera unica, cioè il possibile passaggio di funzioni da giudice a pubblico ministero e viceversa nella stessa sede, è già stato risolto dai vigenti limiti al passaggio dall’uno all’altro settore all’interno del medesimo distretto. I dati dimostrano la non rilevanza concreta del problema visto che nell’ultimo anno soltanto 36 magistrati hanno mutato funzione. In ogni caso alcuni punti fermi vanno ribaditi con forza in vista di possibili ulteriori riforme sul punto:
- mantenimento di un unico concorso di accesso alla magistratura;
- tirocinio comune per tutti i magistrati di nuova nomina e formazione professionale comune anche nel corso della carriera;
- nessuna limitazione al passaggio dal settore giudicante a quello requirente (e viceversa) per la Corte di cassazione, in considerazione della specificità delle funzioni di legittimità;
- unicità del C.S.M. per l’intero ordine giudiziario;
Consiglio superiore della magistratura.
Il mantenimento dell’attuale proporzione tra componenti togati e laici del C.S.M. è coessenziale all’indipendenza dell’ordine giudiziario. Si impone, invece, una riforma della legge elettorale poiché l’esperienza concreta ha dimostrato come Magistratura indipendente aveva pronosticato, che l’eliminazione delle liste non ha affatto indebolito il ruolo delle correnti, accentuandolo anzi con la possibilità di indicare i nomi dei singoli candidati in numero sostanzialmente uguale a quello dei possibili eletti. L’opzione da preferire è per un sistema proporzionale a liste contrapposte con unico collegio nazionale. È da tutti percepita la necessità di una modifica del C.S.M. che eviti sovrapposizioni e confusioni tra funzioni di amministrazione e di giurisdizione disciplinare. Occorre, quindi, separare la sezione disciplinare da ogni altro organo interno del C.S.M., provvedendo ad autonoma elezione dei suoi componenti.
Obbligatorietà dell’azione penale.
Va riaffermata l’irrinunciabilità del principio costituzionale dell’azione penale obbligatoria, poiché essa costituisce garanzia di indipendente esercizio delle funzioni giudiziarie e di uguale trattamento di tutti i cittadini di fronte alla legge. Altrettanto doverosamente, si deve prendere atto che tale principio di fatto non è stato realizzato nell’assolutezza della sua formulazione per la materiale impossibilità di perseguire ogni reato commesso. È, perciò, necessario che l’obbligatorietà sia disciplinata in modo ragionevole e comunque nel pieno rispetto dei valori costituzionali. Magistratura indipendente ritiene necessari interventi legislativi che introducano criteri – specificamente predeterminati – di priorità anche nella trattazione delle indagini preliminari oltre che dei conseguenti processi. È indispensabile ampliare l’ambito della depenalizzazione e dell’irrilevanza penale del fatto al fine di riservare il processo penale alle fattispecie di maggior allarme sociale.

L’azione dell’A.N.M.
Lo “stato di agitazione”, indetto molti mesi addietro è rimasto lettera morta. Nonostante l’approssimarsi della prospettiva di una riforma della magistratura (e non della giustizia) la G.E.C. non ha formulato alcuna concreta proposta, limitandosi a richiamare genericamente i condivisibili principi della Costituzione, non comprendendo che oggi non si discute più di approvare leggi ordinarie in contrasto con quei principi, ma di riformare proprio gli attuali equilibri costituzionali. Nell’interesse della magistratura, il nostro ruolo di gruppo di opposizione ci impone di ricercare un’autonoma interlocuzione con il governo e tutte le forze parlamentari, senza atteggiamenti accondiscendenti ma denunciando i veri difetti del sistema giudiziario e proponendo positive modifiche migliorative. Fermo restando che l’autonomia e indipendenza della magistratura giudicante e requirente costituiscono un principio fondamentale ed irrinunciabile dell’assetto costituzionale del nostro Stato, è politicamente sterile e non ha alcuna conseguenza positiva rifiutare aprioristicamente ogni dialogo, con il rischio di subire passivamente riforme inaccettabili rinunciando a svolgere alcuna azione propositiva.

Vincere l’isolamento della magistratura.
L’attuale isolamento della magistratura si può superare ricercando continui momenti di confronto con le altre categorie del sistema giustizia quali, in particolare, la magistratura onoraria, l’avvocatura, ed il personale amministrativo. Ciò non attraverso dialoghi estemporanei ma tramite la creazione di un organismo permanente tra la magistratura ordinaria e le suddette categorie per la valutazione delle riforme in tema di giustizia. Sul fondamentale versante del rapporto con la società civile e dell’informazione, è indispensabile creare relazioni più incisive con gli organi di stampa ed informazione, senza limitarsi a diffondere meri comunicati di protesta ma divulgano i dati effettivi sulla laboriosità e produttività dei magistrati italiani.

Essere sindacato e associazione.
Magistratura indipendente intende riaffermare come aspetto prioritario del proprio programma la valorizzazione dell’A.N.M. come sede di attiva difesa sindacale dei magistrati. Ciò significa, ad esempio, sviluppare iniziative incisive e concrete per la determinazione dei carichi di lavoro massimi sostenibili, in coerenza con una linea che solo Magistratura indipendente ha sin qui svolto elaborando seri studi e proposte. Devono essere i dirigenti degli uffici giudiziari, sentiti tutti i colleghi in assemblea, ad individuare nelle tabelle o nei piani organizzativi i carichi massimi di lavoro per ciascun ufficio e magistrato. Nella denegata eventualità di un’inerzia dei dirigenti, le stesse decisioni delle assemblee dei magistrati potranno costituire una forte proposta su cui puntare per ravvivare la vita associativa garantendo protagonismo a tutti i magistrati.
Quanto al trattamento economico Magistratura indipendente auspica che l’attuale maggioranza dell’A.N.M. ponga finalmente questo tema al centro di effettive iniziative in sede associativa. Per parte sua Magistratura indipendente, in ogni caso, fornirà ai colleghi un effettivo supporto istituendo un apposito ufficio per il contenzioso con l’amministrazione ed un ufficio per le questioni sindacali (stipula di polizze di previdenza integrativa, convenzioni con operatori bancari e telefonici, informazioni in materia di aspettative, congedi, pensioni, organizzazione degli uffici ecc.).
Magistratura indipendente sosterrà, inoltre, ogni iniziativa, anche giudiziaria, per l’immediato riallineamento della carriera economica dei magistrati a seguito della riforma dell’ordinamento giudiziario e anche al fine di una corretta applicazione della legge sugli stipendi per una reale perequazione con le altre magistrature.

lunedì 15 dicembre 2008

La variabile "indipendenza"

Solo l’indipendenza ci potrà far tornare credibili ,e non gli slogan ripetuti e declamati in un senso quasi auto consolatorio e grafitificante .
L’indipendenza è ,essa sola, parametro della qualificazione dell’attività giudiziaria ,minimo comune denominatore per una linea comune con le magistrature ,garanzia di autorevolezza individuale e collettiva .
Indipendenza è contenuto economico costante di giuste rivendicazioni che pongono al centro di un’azione sindacale che voglia essere credibile ed autentica il rispetto del lavoro giudiziario ,delle condizioni di lavoro dei magistrati ,come ricerca di un carico “ragionevole” cioè esigibile e rapportato a strutture ,alle risorse ed ai mezzi disponibili ed alle condizioni complessive e non astratto parametro imposto in una ricerca di consenso politico e di egualitarismo fine a sé stesso.
Indipendenza è la sola nostra ed autentica "risorsa" ,è la proiezione sociale della nostra attività ,capacità di “essere” e non solo di “apparire” ,magistrati liberi da condizionamenti e da pregiudiziali ideologiche.
La “politica del diritto “ ,ed ora la nuova politica riformistica “giudiziaria “ sono ,senza l’indipendenza e la ricerca continua della sua difesa e garanzia, solo riferimenti vuoti per un sistema giudiziario privo di riferimenti esterni e ricco di contraddizioni ed ormai al capolinea.
Vi è una esigenza fondamentale di azione ,di informazione e di formazione comune con gli avvocati e non è possibile limitarsi a seguire imperterriti solo la cultura della “giurisdizione “ come “giurisdicere” ,disperdendo magari o attenuando anche quella cultura comune del diritto della legalità e della giustizia che solo nell’ indipendenza può riconoscersi e che è alla base della credibilità di ogni sistema giudiziario.
Occorrono nuove idee e non solo dichiarazioni o slogan .
Ci serve ,e le riforme devono provare a costruirla una Giustizia con la G maiuscola ,non solo “efficiente” ma soprattutto “vicina” ai cittadini con una idea della prossimità che presupponga una nuova organizzazione degli uffici giudiziari ,anche ad un livello di quartiere per le questioni civili e penali più semplici ed a un livello distrettuale e dipartimentale per le questioni più complesse e cioì potrebbe significare non solo l’idea (ormai vecchia) dell’efficienza del servizio raggiunta con l’ accorpamento dei tribunali ma una nuova organizzazione degli uffici di Procura ,con Dipartimenti specializzati e modelli “distrettuali” .
Insomma ,ci vorrebbero posizioni chiare e semplici e non limitarsi a richiamare se si è favorevoli o contrari alla “separazione delle carriere” (espressione di per sé ingannevole ..la separazione delle carriere purtroppo nei fatti c’è già e nessuno si è detto contrario alla riforma Mastella ,il problema è la potenziale divisione dei ruoli organici ,la possibilità di opzione ma soprattutto il rispetto per la professionalità maturata ed acquisita e quindi la coerenza dei percorsi professionali esistenti e verificabili ,non è la panacea ,ma solo uno slogan una riforma che non risolva i problemi di efficienza del sistema ma occorre tener presente e non eludere i modelli europei .
Occorre una posizione chiara a livello associativo su alcuni problemi di fondo :
-una riforma statuto della ANM ,con l’elezione diretta delle cariche di Presidente /Segretario ,e con eliminazione o riduzione delle preferenze per le elezioni alla Gec ,oggi solo concepite come potenziale scalata verso il CSM;
-fissazione di vere e rigide incompatibilità tra ruoli sindacali e ruoli amministrativi che è una anomalia solo italiana e che produce e favorisce il disinteresse verso l’associazione e spinge inevitabilmente verso il correntismo inteso nella sua logica di appartenenze e di ripartizioni ideali “chiuse” ;

-Sistema elettorale del CSM
-Norme ,se necessario anche legislative, che assicurino visibilità e trasparenza ai percorsi professionali di ognuno nell’ambito delle valutazioni (perché non basta l’eliminazione dell’anzianità come parametro di scelta se poi le valutazioni del merito delle scelte professionali ,piccole o grandi che siano, restano nei fatti assolutamente svincolate da qualsiasi parametro di verificabilità) ;
-Prassi di autoregolamentazione che riconoscano anche al CSM norme di comportamento come codici etici presenti in tutte le autorità di garanzia (con l’evidente obiettivo di evitare confusione di ruoli e conflitti di interesse .
Parole ne abbiamo sentite ,anche tante ,oggi è il momento delle decisioni e delle proposte .
E' il momento della chiarezza .