martedì 27 maggio 2008

Ancora sul massimario..

Interviene anche Marco Travaglio sulla vicenda dell'annullamento del TAR del Lazio della delibera del CSM sul massimario.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Magistrati-in-balia-delle-correnti/2026736/18

Ovviamente un sindacato vero avrebbe già fatto sentire la sua voce ,ovviamente un sindacato credibile avrebbe preso le distanze ,protestato chiesto chiarimenti..nulla tutto a posto,anzi.
Ma il problema è a monte ,ed è quello dei tempi occcorrenti per qualsiasi valutazione da parte del CSM ,la lentezza delle procedure si risolve in danno per la giustizia e per la sua organizzazione ,e la mancanza di criteri oggettivi e sopratutto trasparenti e predeterminati ,oltre a offendere qualsiasi prospettiva legittima nella categoria (di completa e corretta valutazione delle domande e di conseguente comparazione equa dei soggetti aspiranti in relazione alle diverse esperienze maturate) si rivela solo un pretesto per generare consensi o richiedere consensi. Così non va ,così non può continuare ,ed una riflessione del genere può e deve essere fatta nell'ambito del prossimo congresso della ANM.
Altrimenti non nessuno potrà meravigliarsi dopo, di niente .

venerdì 23 maggio 2008

16 anni fa la strage di Capaci ,ricordiamo Giovanni Falcone

In quest'articolo pubblicato da "L'Unità" il 31 maggio 1992, otto giorni dopo la strage di Capaci, il giudice Giovanni Falcone traccia con chiarezza un quadro dell'evoluzione di Cosa Nostra a partire dal dopoguerra e denuncia la sottovalutazione che, per molto tempo, ha caratterizzato l'approccio delle istituzioni al problema della mafia.

Io, Falcone, vi spiego cos'è la mafia
Nella relazione finale della Commissione d'inchiesta Franchetti-Sonnino del lontano 1875/76 si legge che «la mafia non è un'associazione che abbia forme stabili e organismi speciali... Non ha statuti, non ha compartecipazioni di lucro, non tiene riunioni, non ha capi riconosciuti, se non i più forti ed i più abili; ma è piuttosto lo sviluppo ed il perfezionamento della prepotenza diretta ad ogni scopo di male».
Si legge ancora: «Questa forma criminosa, non... specialissima della Sicilia», esercita «sopra tutte queste varietà di reati»...«una grande influenza» imprimendo «a tutti quel carattere speciale che distingue dalle altre la criminalità siciliana e senza la quale molti reati o non si commetterebbero o lascerebbero scoprirne gli autori»; si rileva, inoltre, che «i mali sono antichi, ma ebbero ed hanno periodi di mitigazione e di esacerbazione» e che, già sotto il governo di re Ferdinando, la mafia si era infiltrata anche nelle altre classi, cosa che da alcune testimonianze è ritenuta vera anche oggidì».
Già nel secolo scorso, quindi, il problema mafia si manifestava in tutta la gravità; infatti si legge nella richiamata relazione:«Le forze militari concentrate per questo servizio in Sicilia risultavano 22 battaglioni e mezzo fra fanteria e bersaglieri, due squadroni di cavalleria e quattro plotoni di bersaglieri montani, oltre i Carabinieri in numero di 3120».Da allora, bisogna attendere i tempi del prefetto Mori per registrare un tentativo di seria repressione del fenomeno mafioso, ma i limiti di quel tentativo sono ben noti a tutti.Nell'immediato dopoguerra e fino ai tragici fatti di sangue della prima guerra di mafia degli anni 1962/1963 gli organismi responsabili ed i mezzi di informazione sembrano fare a gara per minimizzare il fenomeno.
Al riguardo, appaiono significativi i discorsi di inaugurazione dell'anno giudiziario pronunciati dai Procuratori Generali di Palermo.Nel discorso inaugurale del 1954, il primo del dopoguerra, si insisteva nel concetto che la mafia «più che una associazione tenebrosa costituisce un diffuso potere occulto», ma non si manca di fare un accenno alla gravissima vicenda del banditismo ed ai comportamenti non ortodossi di "qualcuno che avrebbe dovuto e potuto stroncare l'attività criminosa"; il riferimento è chiaro, riguarda il Procuratore Generale di Palermo, dottor Pili espressamente menzionato nella sentenza emessa dalla Corte d'Assise di Viterbo il 3/5/1952: «Giuliano ebbe rapporti, oltre che con funzionari di Pubblica Sicurezza, anche con un magistrato, precisamente con chi era a capo della Procura Generale presso la Corte d'appello di Palermo: Emanuele Pili».
Nella relazioni inaugurali degli anni successivi gli accenni alla mafia, in piena armonia con un clima generale di minimizzazione del problema, sono fugaci e del tutto rassicuranti.Così, nella relazione del 1956 si legge che il fenomeno della delinquenza associata è scomparso e, in quella del 1957, si accenna appena a delitti di sangue da scrivere, si dice ad «opposti gruppi di delinquenti».Nella relazione del 1967, si asserisce che il fenomeno della criminalità mafiosa era entrato in una fase di «lenta ma costante sua eliminazione» e, in quella del 1968, si raccomanda l'adozione della misura di prevenzione del soggiorno obbligato, dato che «il mafioso fuori del proprio ambiente diventa pressoché innocuo».Questi brevissimi richiami storici danno la misura di come il problema mafia sia stato sistematicamente valutato da parte degli organismi responsabili benché il fenomeno, nel tempo, lungi dall'esaurirsi, abbia accresciuto la sua pericolosità.
E non mi sembra azzardato affermare che una delle cause dall'attuale virulenza della mafia risieda, proprio, nella scarsa attenzione complessiva dello Stato nei confronti di questa secolare realtà.D
ebbo registrare con soddisfazione, dunque, il discorso pronunciato dal Capo della Polizia, Vincenzo Parisi, alla Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza. In tale intervento, particolarmente significativo per l'autorevolezza della fonte, il Capo della Polizia, in sostanza, individua nella criminalità organizzata e in quella economica i proventi della maggior parte delle attività illecite del nostro paese tra le quali spiccano soprattutto il traffico di stupefacenti e il commercio clandestino di armi. Sottolineando che la criminalità organizzata - e quella mafiosa in particolare - è, come si sostiene in quell'intervento, «la più significativa sintesi delinquenziale fra elementi atavici... e acquisizioni culturali moderne ed interagisce sempre più frequentemente con la criminalità economica, allo scopo di individuare nuove soluzioni per la ripulitura ed il reimpiego del denaro sporco».L'argomentazione del prefetto Parisi, ovviamente fondata su dati concreti, ha riacceso l'attenzione sulla specifica realtà delle organizzazioni criminali e denuncia, con toni giustamente allarmanti, il pericolo di una saldatura tra criminalità tradizionale e criminalità degli affari: un pericolo che minaccia la stessa sopravvivenza delle istituzioni democratiche come ci insegnano le esperienze di alcuni paesi del Terzo mondo, in cui i trafficanti di droga hanno acquisito una potenza economica tale che si sono perfino offerti - ovviamente, non senza contropartite - di ripianare il deficit del bilancio statale.
Ci si domanda allora, come sia potuto accadere che una organizzazione criminale come la mafia anziché avviarsi al tramonto, in correlazione col miglioramento delle condizioni di vita e del funzionamento complessivo delle istituzioni, abbia, invece, vieppiù accresciuto la sua virulenza e la sua pericolosità.
Un convincimento diffuso è quello - che ha trovato ingresso perfino in alcune sentenze della Suprema Corte - secondo cui oggi saremmo in presenza di una nuova mafia, con le connotazioni proprie di un'associazione criminosa, diversa dalla vecchia mafia, che non sarebbe stata altro che l'espressione, sia pure distorta ed esasperata, di un "comune sentire" di larghe fasce delle popolazioni meridionali. In altri termini, la mafia tradizionale non esisterebbe più e dalle sue ceneri sarebbe sorta una nuova mafia, quella mafia imprenditrice per intenderci, così bene analizzata dal prof. Arlacchi.Tale opinione è antistorica e fuorviante.Anzitutto, occorre sottolineare con vigore che Cosa Nostra (perché questo è il vero nome della mafia) non è e non si è mai identificata con quel potere occulto e diffuso di cui si è favoleggiato fino a tempi recenti, ma è una organizzazione criminosa - unica ed unitaria - ben individuata ormai nelle sue complesse articolazioni, che ha sempre mantenuto le sue finalità delittuose. Con ciò, evidentemente, non si intende negare che negli anni Cosa Nostra abbia subito mutazioni a livello strutturale e operativo e che altre ne subirà, ma si vuole sottolineare che tutto è avvenuto nell'avvio di una continuità storica e nel rispetto delle regole tradizionali. E proprio la particolare capacità della mafia di modellare con prontezza ed elasticità i valori arcaici alle mutevoli esigenze dei tempi costituisce una della ragioni più profonde della forza di tale consorteria, che la rende tanto diversa.
Se oltre a ciò, si considerano la sua capacità di mimetizzazione nella società, la tremenda forza di intimidazione derivante dalla inesorabile ferocia delle "punizioni" inflitte ai trasgressori o a chi si oppone ai suoi disegni criminosi, l'elevato numero e la statura criminale dei suoi adepti, ci si può rendere però conto dello straordinario spessore di questa organizzazione sempre nuova e sempre uguale a sé stessa. Altro punto fermo da tenere ben presente è che, al di sopra dei vertici organizzativi, non esistono "terzi livelli" di alcun genere, che influenzino e determinino gli indirizzi di Cosa Nostra.Ovviamente, può accadere ed è accaduto, che, in determinati casi e a determinate condizioni, l'organizzazione mafiosa abbia stretto alleanze con organizzazioni similari ed abbia prestato ausilio ad altri per fini svariati e di certo non disinteressatamente; gli omicidi commessi in Sicilia, specie negli ultimi anni, sono la dimostrazione più evidente di specifiche convergenze di interessi fra la mafia ed altri centri di potere."Cosa Nostra" però, nelle alleanze, non accetta posizioni di subalternità; pertanto, è da escludere in radice che altri, chiunque esso sia, possa condizionarne o dirigerne dall'esterno le attività. E, in verità, in tanti anni di indagini specifiche sulle vicende di mafia, non è emerso nessun elemento che autorizzi nemmeno il sospetto dell'esistenza di una "direzione strategica" occulta di Cosa Nostra.
Gli uomini d'onore che hanno collaborato con la giustizia, alcuni dei quali figure di primo piano dell'organizzazione, ne sconoscono l'esistenza.Lo stesso dimostrato coinvolgimento di personaggi di spicco di Cosa Nostra in vicende torbide ed inquietanti come il golpe Borghese ed il falso sequestro di Michele Sindona non costituiscono un argomento "a contrario" perché hanno una propria specificità tutte ed una peculiare giustificazione in armonia con le finalità dell'organizzazione mafiosa.E se è vero che non pochi uomini politici siciliani sono stati, a tutti gli effetti, adepti di "Cosa Nostra", è pur vero che in seno all'organizzazione mafiosa non hanno goduto di particolare prestigio in dipendenza della loro estrazione politica. Insomma Cosa Nostra ha tale forza, compattezza ed autonomia che può dialogare e stringere accordi con chicchessia mai però in posizioni di subalternità.Queste peculiarità strutturali hanno consentito alla mafia di conquistare un ruolo egemonico nel traffico, anche internazionale, dell'eroina.Ma, per comprendere meglio le cause dell'insediamento della mafia nel lucroso giro della droga, occorre prendere le mappe del contrabbando di tabacchi, una delle più tradizionali attività illecite della mafia. Il contrabbando è stato a lungo ritenuto una violazione di lieve entità perfino negli ambienti investigativi e giudiziari ed il contrabbandiere è stato addirittura tratteggiato dalla letteratura e dalla filmografia come un romantico avventuriero. La realtà era però ben diversa, essendo il contrabbandiere un personaggio al soldo di Cosa Nostra, se non addirittura un mafioso egli stesso ed il contrabbando si è rivelato un'attività ben più pericolosa di quella legata ad una violazione di un interesse finanziario dello Stato, in quanto ha fruttato ingenti guadagni che hanno consentito l'ingresso nel mercato degli stupefacenti della mafia ed ha aperto e collaudato quei canali internazionali - sia per il trasporto della merce sia per il riciclaggio del danaro - poi utilizzati per il traffico di stupefacenti.Occorre precisare, a questo proposito, che già nel contrabbando di tabacchi, si realizzano importanti novità della struttura mafiosa. È ormai di comune conoscenza che Cosa Nostra è organizzata come una struttura piramidale basata sulla "famiglia" e ogni "uomo d'onore" voleva intrattenere rapporti di affari prevalentemente con gli altri membri della stessa "famiglia" e solo sporadicamente con altre famiglie, essendo riservato ai vertici delle varie "famiglie" il coordinamento in seno agli organismi direttivi provinciali e regionale.Assunta la gestione del contrabbando di tabacchi - che comporta l'impiego di consistenti risorse umane in operazioni complesse che non possono essere svolte da una sola famiglia - sorge la necessità di associarsi con membri di altre famiglie e, perfino, con personaggi estranei a Cosa Nostra. Per effetto dell'allargamento dei rapporti di affari con altri soggetti spesso non mafiosi sorge la necessità di creare strutture nuove di coordinamento che, pur controllate da Cosa Nostra, con la stessa non si identificassero.Si formano, così, associazioni di contrabbandieri, dirette e coordinate da "uomini d'onore", che non si identificavano, però, con Cosa Nostra, associazioni aperte alla partecipazione saltuaria di altri "uomini d'onore" non coinvolti operativamente nel contrabbando, previo assenso e nella misura stabilita dal proprio capo famiglia.In pratica, dunque, l'antica, rigida compartimentazione degli "uomini d'onore" in "famiglie" ha cominciato a cedere il posto a strutture più allargate e ad una diversa articolazione delle alleanze in seno all'organizzazione. Cosa Nostra però non si limita ad esercitare il controllo indiretto su altre organizzazioni criminali similari, specialmente nel Napoletano, per assicurare un efficace funzionamento delle attività criminose. Il fatto che esiste anche a Napoli una "famiglia" mafiosa dipendente direttamente dalla "provincia" di Palermo, non deve stupire perché la presenza di "famiglie" mafiose o di sezioni delle stesse (le cosiddette "decine"), fuori della Sicilia, ed anche all'estero, è un fenomeno risalente negli anni. La stessa Cosa Nostra statunitense, in origine, non era altro che un insieme di "famiglie" costituenti diretta filiazione di Cosa Nostra siciliana.Quando Cosa Nostra interviene sul contrabbando presso la malavita napoletana, dunque, lo fa allo scopo dichiarato di sanare i contrasti interni ma più verosimilmente con l'intenzione di fomentare la discordia per assumere la direzione dell'attività.Ecco perché, nel corso degli anni, sono stati individuati collegamenti importanti tra esponenti di spicco della mafia isolana e noti camorristi campani, difficilmente spiegabili già allora con semplici contatti fra organizzazioni criminali diverse.Ed ecco, dunque, perché il contrabbando di tabacchi costituì una spinta decisiva al coordinamento fra organizzazioni criminose, tradizionalmente operanti in territori distinti; coordinamento la cui pericolosità è intuitiva.Nella seconda metà degli anni '70, pertanto, Cosa Nostra con le sue strutture organizzative, coi canali operativi e di riciclaggio già attivati per il contrabbando e con le sue larghe disponibilità finanziarie, aveva tutte le carte in regola per entrare, non più in modo episodico come nel passato, nel grande traffico degli stupefacenti.In più, la presenza negli Usa di un folto gruppo di siciliani collegati con Cosa Nostra garantiva la distribuzione della droga in quel paese.Non c'è da meravigliarsi, allora, se la mafia siciliana abbia potuto impadronirsi in breve tempo del traffico dell'eroina verso gli Stati Uniti d'America.Anche nella gestione di questo lucroso affare l'organizzazione ha mostrato la sua capacità di adattamento avendo creato, in base all'esperienza del contrabbando, strutture agili e snelle che, per lungo tempo, hanno reso pressoché impossibili le indagini.Alcuni gruppi curavano l'approvvigionamento della morfina-base dal Medio e dall'Estremo Oriente; altri erano addetti esclusivamente ai laboratori per la trasformazione della morfina-base in eroina; altri, infine, si occupavano dell'esportazione dell'eroina verso gli Usa.Tutte queste strutture erano controllate e dirette da "uomini d'onore". In particolare, il funzionamento dei laboratori clandestini, almeno agli inizi, era attivato da esperti chimici francesi, reclutati grazie a collegamenti esistenti con il "milieu" marsigliese fin dai tempi della cosiddetta "French connection".L'esportazione della droga, come è stato dimostrato da indagini anche recenti, veniva curata spesso da organizzazioni parallele, addette al reclutamento dei corrieri e collegate a livello di vertice con "uomini d'onore" preposti a tale settore del traffico.Si tratta dunque di strutture molto articolate e solo apparentemente complesse che, per lunghi anni, hanno funzionato egregiamente, consentendo alla mafia ingentissimi guadagni.Un discorso a sé merita il capitolo del riciclaggio del danaro. Cosa Nostra ha utilizzato organizzazioni internazionali, operanti in Italia, di cui si serviva già fin dai tempi del contrabbando di tabacchi, ma è ovvio che i rapporti sono divenuti assai più stretti e frequenti per effetto degli enormi introiti, derivanti dal traffico di stupefacenti. Ed è chiaro, altresì, che nel tempo i sistemi di riciclaggio si sono sempre più affinati in dipendenza sia delle maggiori quantità di danaro disponibili, sia soprattutto dalla necessità di eludere investigazioni sempre più incisive.Per un certo periodo il sistema bancario ha costituito il canale privilegiato per il riciclaggio del danaro.Di recente, è stato addirittura accertato il coinvolgimento di interi paesi nelle operazioni bancarie di cambio di valuta estera.Senza dire che non poche attività illecite della mafia, costituenti per sé autonoma fonte di ricchezza (come, ad esempio, le cosiddette truffe comunitarie), hanno costituito il mezzo per consentire l'afflusso in Sicilia di ingenti quantitativi di danaro, già ripulito all'estero, quasi per intero proveniente dal traffico degli stupefacenti.Quali effetti ha prodotto in seno all'organizzazione di Cosa Nostra la gestione del traffico di stupefacenti? Contrariamente a quanto ritenevano alcuni mafiosi più tradizionalisti, la mafia non si è rapidamente dissolta ma ha accentuato le sue caratteristiche criminali.Le alleanze orizzontali fra uomini d'onore di diverse "famiglie" e di diverse "province" hanno favorito il processo, già in atto da tempo, di gerarchizzazione di Cosa Nostra ed al contempo, indebolendo la rigida struttura di base, hanno alimentato mire egemoniche. Infatti, nei primi anni '70 per assicurare un migliore controllo dell'organizzazione, veniva costituito un nuovo organismo verticale, la "commissione" regionale, composta dai capi delle province mafiose siciliane col compito di stabilire regole di condotta e di applicare sanzioni negli affari concernenti Cosa Nostra nel suo complesso.Ma le fughe in avanti di taluni non erano state inizialmente controllate. Esplode così nel 1978 una violenta contesa culminata negli anni 1981-1982. Due opposte fazioni si affrontano in uno scontro di una ferocia senza precedenti che investiva tutte le strutture di Cosa Nostra, causando centinaia di morti. I gruppi avversari aggregavano uomini d'onore delle più varie famiglie spinti dall'interesse personale - a differenza di quanto accadeva nella prima guerra di mafia caratterizzata dallo scontro tra le famiglie - e ciò a dimostrazione del superamento della compartimentazione in famiglie. La sanguinaria contesa non ha determinato - come ingenuamente si prevedeva - un indebolimento complessivo di Cosa Nostra ma, al contrario, un rafforzamento ed un rinsaldamento delle strutture mafiose, che, depurate degli elementi più deboli (eliminati nel conflitto), si ricompattavano sotto il dominio di un gruppo egemone accentuando al massimo la segretezza ed il verticismo. Il nuovo gruppo dirigente a dimostrazione della sua potenza, a cominciare dall'aprile 1982, ha iniziato ad eliminare chiunque potesse costituire un ostacolo. Gli omicidi di Pio La Torre, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici, di Giangiacomo Ciaccio Montalto, di Beppe Montana, di Ninni Cassarà, al di là delle specifiche ragioni della eliminazione di ciascuno di essi, testimoniano una drammatica realtà. E tutto ciò mentre il traffico di stupefacenti e le altre attività illecite andavano a gonfie vele nonostante l'impegno delle forze dell'ordine.La collaborazione di alcuni elementi di spicco di Cosa Nostra e la conclusione di inchieste giudiziarie approfondite e ponderose hanno inferto indubbiamente un duro colpo alla mafia. Ma se la celebrazione tra difficoltà di ogni genere di questi processi ha indotto Cosa Nostra ad un ripensamento di strategie, non ha determinato l'inizio della fine del fenomeno mafioso.Il declino della mafia più volte annunciato non si è verificato, e non è, purtroppo, prevedibile nemmeno. È vero che non pochi "uomini d'onore", diversi dei quali di importanza primaria, sono in atto detenuti; tuttavia i vertici di Cosa Nostra sono latitanti e non sono sicuramente costretti all'angolo.Le indagini di polizia giudiziaria, ormai da qualche anno, hanno perso di intensità e di incisività a fronte di una organizzazione mafiosa sempre più impenetrabile e compatta talché le notizie in nostro possesso sulla attuale consistenza dei quadri mafiosi e sui nuovi adepti sono veramente scarse.Né è possibile trarre buoni auspici dalla drastica riduzione dei fatti di sangue peraltro circoscritta al Palermitano e solo in minima parte ascrivibile all'azione repressiva. La tregua iniziata è purtroppo frequentemente interrotta da assassinii di mafiosi di rango, segno che la resa dei conti non è finita e soprattutto da omicidi dimostrativi che hanno creato notevole allarme sociale; si pensi agli omicidi dell'ex sindaco di Palermo, Giuseppe Insalaco e dell'agente della PS Natale Mondo, consumati appena qualche mese addietro. Si ha l'eloquente conferma che gli antichi, ibridi connubi tra criminalità mafiosa e occulti centri di potere costituiscono tuttora nodi irrisolti con la conseguenza che, fino a quando non sarà fatta luce su moventi e su mandanti dei nuovi come dei vecchi "omicidi eccellenti", non si potranno fare molti passi avanti.Malgrado i processi e le condanne, risulta da inchieste giudiziarie ancora in corso che la mafia non ha abbandonato il traffico di eroina e che comincia ad interessarsi sempre più alla cocaina; e si hanno già notizie precise di scambi tra eroina e cocaina già in America, col pericolo incombente di contatti e collegamenti - la cui pericolosità è intuitiva - tra mafia siciliana ed altre organizzazioni criminali italiane e sudamericane.Le indagini per la individuazione dei canali di riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di stupefacenti sono rese molto difficili, sia a causa di una cooperazione internazionale ancora insoddisfacente, sia per il ricorso, da parte dei trafficanti, a sistemi di riciclaggio sempre più sofisticati.Per quanto riguarda poi le attività illecite, va registrato che accanto ai crimini tradizionali come ad esempio le estorsioni sistematizzate, e le intermediazioni parassitarie, nuove e più insidiose attività cominciano ad acquisire rilevanza. Mi riferisco ai casi sempre più frequenti di imprenditori non mafiosi, che subiscono da parte dei mafiosi richieste perentorie di compartecipazione all'impresa e ciò anche allo scopo di eludere le investigazioni patrimoniali rese obbligatorie dalla normativa antimafia.Questa, in brevissima sintesi, è la situazione attuale che, a mio avviso, non legittima alcun trionfalismo.
Mi rendo conto che la fisiologica stanchezza seguente ad una fase di tensione morale eccezionale e protratta nel tempo ha determinato un generale clima, se non di smobilitazione, certamente di disimpegno e, per quanto mi riguarda, non ritengo di aver alcun titolo di legittimazione per censurare chicchessia e per suggerire rimedi.
Ma ritengo mio preciso dovere morale sottolineare, anche a costo di passare per profeta di sventure, che continuando a percorrere questa strada, nel futuro prossimo, saremo costretti a confrontarci con una realtà sempre più difficile.

giovedì 15 maggio 2008

Progetto giustizia e progettualità vera


La discussione che ferve nella mailing list della ANM mette in luce ,impietosamente, un crescente senso di amarezza e di disagio.

C’è una precisa questione di legalità che ci riguarda ,se è vero come è vero che solo rivolgendosi al giudice amministrativo un magistrato può fare rispettare le sue legittime aspettative ed aspirazioni lavorative. In altre parole i diritti del magistrato –lavoratore sono oggi “affievoliti” di fatto entro un sistema complesso che dà più peso al consenso (diretto o indiretto) che non alla professionalità ed alla esperienza ,che amplifica i meriti solo di alcuni ,appartenenti ad un circuito preciso e privilegiato di fatto, mentre non riconosce e sempre più spesso mortifica anche le aspettative minime di miglioramento professionale di molti ,emarginati e “in attesa di..” .
C’è un disagio ,preciso e crescente che tocca intere generazioni ed al quale proprio l’ANM dovrebbe fornire delle risposte e soprattutto assicurare impegni precisi.
Ma per questo occorre chiedersi se ci serve di più una ANM sindacato o una ANM “parlamentino” ,nel primo caso quasi naturalmente un soggetto sindacale (anche se non completamente sindacale ,ed esempi ci sono vedasi la Federazione Nazionale della Stampa) si impegna a tutela delle aspettative di lavoro (e delle condizioni di lavoro ) degli associati ,predisponendo proposte e soprattutto lottando non solo per degli obiettivi economici ,ma soprattutto per la dignità e la sicurezza dei lavoratori .
Non possono essere sottovalutate le precise esigenze di incompatibilità reali e non virtuali ,sopratutto tra cariche associative e ruoli strategici in istituzioni consiliari .
Il modello del Parlamentino si è visto,produce carriere eccellenti ,passaggi (e passaggi di vento direbbe De Andrè) dall’associazione alle istituzioni consiliari e viceversa ,moltiplica e veicola il consenso ed i consensi e si traduce in un progetto leaderistico che oggi fa assonanza con l’esterno ma che ogni giorno di più rischia di trovarsi in crisi proprio al suo interno .
Come sottovalutare il disimpegno dei singoli magistrati proprio nei momenti di confronto e di dialogo associativo ? Come sottovalutare proprio ora le proteste spontanee sul blocco dei trasferimenti ,la esasperante lunghezza delle procedure selettive e concorsuali ,il senso di stanchezza che tocca giovani e meno giovani di fronte alle incertissime prospettive di carriera ed ai disagi familiari che si toccano con mano ?
Troppo facile è rispondere con la retorica politica cui siamo stati abituati,del tipo “così fai il gioco di chi attenta all’indipendenza della magistratura” e così via, troppo facile è confondere questi profili con le (altrettanto importanti ) esigenze di miglioramento economico ,esigenze poi che si traducono in ben poco di concreto ma che richiederebbero ben altri approfondimenti di carattere tecnico ,perché si tratta dei nostri diritti.
Troppo facile è ridurre il dibattito alla contrapposizione tra “progressisti” o “conservatori” perché non è il nostro progetto che può avere ,da solo, un significato ,ma solo l’insieme “vivo” delle nostre progettualità ,senza esclusioni preconcette ,senza pregiudizi e con un grande senso delle istituzioni e dei diritti dei cittadini.
Ed il banco di prova sarà proprio il prossimo congresso.

sabato 10 maggio 2008

Illegittime le nomine al massimario della Cassazione per il TAR del Lazio

".... Il giudice è invece tenuto a verificare complessivamente la ragionevolezza del criterio seguito dall’amministrazione e la concreta attuazione di questo con riferimento al soggetto che ne lamenta il mancato rispetto. Pertanto, è possibile cogliere i sintomi di detto vizio nei casi nei quali, dalla documentazione in atti, risulti con evidenza che i punteggi assegnati o siano frutto di elementari errori oppure, come accade più spesso, costituiscano il risultato di criteri impropri o corretti e malamente applicati, in sostanza volti alraggiungimento di finalità estranee a quella della scelta dei soggetti più idonei alle funzioni da conferire (così da, da ultimo, TAR Lazio,sez. II, sentenza n. 12953/2007, la quale richiama Cons. St., IV, 31 maggio 2007 n. 2868)".

E così il Tar del Lazio ,con sentenza n. 3526/2008 (che può essere consultata dal sito della Giustizia amministativa ) ha annullato le nomine al massimario della Cassazione ,che lo stesso Presidente della III Commissione del CSM ,Mario Fresa così espressamente descriveva:
"La lista dei 23, che ne è uscita fuori, è dunque il frutto di un rifiuto avverso ogni logica di appartenenza, rifiuto poi condiviso anche da parte di altri componenti della Commissione. Le iniziali, forti divergenze sono via via venute meno proprio in forza dello studio accurato delle professionalità valutate e sono sicuro che vi sia stato un progresso nella difficile strada del miglioramento del sistema del governo autonomo della magistratura.
Come spesso accade, le divergenze, anche aspre, non sono state inutili, ma hanno consentito di raggiungere un risultato qualitativamente migliore ..".
Così non è proprio sembrato al giudice amministrativo ,che ha riconosciuto le buone ragioni di quanti sono stati impropriamente pretermessi a tutto vantaggio,tra l'altro, anche di colleghi molto più giovani ,ma certamente molto più "idonei".
Conta adesso o no un giudizio così netto di illegittimità assoluta ,quale quello espresso dal TAR del Lazio ,dei criteri fin qui adottati ?
Non è ora di voltare pagina ed adottare finalmente un criterio oggettivo e verificabile valido per tutti ?
Continuiamo a sostenere che solo l'integrale pubblicità del curriculum professionale di ogni magistrato possa e debba soddisfare quei criteri minimi di trasparenza e di imparzialità che oggi i magistrati invocano,per tutti.

A proposito ,troveremo la sentenza del TAR anche su qualche sito di corrente ?

giovedì 1 maggio 2008

Più rispetto della dignità e del lavoro dei magistrati.. una ANM che sia più sindacato e meno partito

Una delle questioni cruciali del prossimo congresso della ANM sarà proprio il suo ruolo. Da più parti ormai si invoca una ANM diversa più "sindacato" e meno partito ,più concentrata sulle questioni reali e sulle condizioni di lavoro dei magistrati ,giudicanti e requirenti e meno disposta a ricoprire un ruolo politico o di indirizzo politico .
I magistrati vivono una situazione insolita ,con il blocco di ogni forma di mobilità interna ,con l'entrata in vigore di normative penalizzanti dal punto di vista economico e organizzativo proprio in termini di mobilità e prospettive di carriera ,con il blocco ormai da diversi anni dei pensionamenti (peraltro in tutti i ruoli apicali) e delle immissioni in ruolo.
I magistrati ,unici nel pubblico impiego, sono impropriamente visti come responsabili dello sfacelo del sistema giudiziario e giustamente segnalano che le cause sono tante e differenti ,non ultima l'eccessiva proliferazione di garanzie formali e la ridondanza di riti che non ha eguali in altri sistemi giudiziari.
Eppure proprio le loro condizioni di lavoro giudiziario ,il rispetto di garanzie minime di dignità delle condizioni nelle quali si trovano ad operare (ne sanno qualcosa i colleghi nelle sedi del meridione) meriterebbe attenzione e rispetto ,in primo luogo meriterebbe una attenzione sindacale che ,allo stato non c'è proprio .
Spieghiamo ai cittadini che molti di noi lavorano ,senza alcun riconoscimento economico ,anche di notte e nei giorni festivi ,che molti di noi operano in condizioni di rischio concreto e che le nostre famiglie conoscono assai bene cosa significa non avere spazi per loro ,perchè il lavoro continua ,i provvedimenti vanno depositati ,la produttività va mantenuta in modo continuo..
Certo ci sono anche casi di disinteresse e di disimpegno ,che allarmano l'opinione pubblica ,giustamente ,ma questi non devono essere confusi con l'impegno e il senso del servizio che è proprio della stragrande maggioranza dei magistrati italiani ,con il senso dello Stato che impone a tutti i magistrati di essere al loro posto sempre ,con umiltà e responsabilità verso i cittadini e gli utenti .
C'è la lealtà istituzionale di molti contro il disimpegno di pochi ,c'è l'isolamento di chi si trova a vivere una situazione di emarginazione in realtà locali difficili senza alcun sostegno da parte della associazione e dei suoi esponenti,c'è un consenso che "serve" a costruire carriere di pochi ma che non serve affatto a migliorare le condizioni di lavoro di molti .
Si dovrà partire da un referendum ,da una consultazione generale ,da una iniziativa coraggiosa di riforma che sancisca la fine del carrierismo correntizio attraverso un vero regime di incompatibilità tra ruolo sindacale improprio ruolo "politico" e rappresentativo .
L'autoreferenzialità ,della quale siamo tutti vittime nasce e prospera dal malinteso senso di esponenzialità "esclusiva" dei temi della giustizia da parte della magistratura .
Oggi ,primo maggio,avremmo voluto vedere queste dichiarazioni ,avremmo voluto sentire poche parole di conforto per le lavoratrici e i lavoratori della giustizia ,ma siamo sicuri che presto la loro voce si sentirà direttamente ,e molto forte nel prossimo congtresso , e che le strategie elitarie e aristocratiche di pochi conteranno ben poco di fronte al dirompente disagio della maggioranza dei magistrati .Indipendenti .