venerdì 25 gennaio 2008

Si fa presto a dire "casta"

Una casta ,termine oggi più che mai di moda grazie al fortunato libro di Gian Antonio Stella è un gruppo sociale che costituisce , insieme ad altri una vera e propria gerarchia ,propria delle società del passato. In società di questo tipo, per un individuo appartenente ad una casta è molto difficile -se non proprio impossibile- entrare a far parte di una casta diversa, in particolare se questa è di rango più alto .Il concetto di "casta" si riferisce originariamente alla società indiana ma è ormai utilizzato per estensione anche in altri contesti ed in senso improprio anche per riferirsi a qualsiasi gruppo sociale "chiuso" . La parola indiana "varna" che indica appunto le caste significa "colore" e richiama le differenze (razziali e sociali ) esistenti nel periodo risalente al II millennio a.c. in cui nel continente convivevano tribù indoeuropee e ariane .
La parola "casta" - è però una parola portoghese che significa appunto "puro" ,cioè "non contaminato" , che si avvicina lessicalmente anche all'espressione italiana "casto" -e che sintetizza così due concetti legati tra loro, ma differenti e talvolta antagonisti, nella società indiana.
Infatti proprio durante il periodo coloniale, i coloni portoghesi utilizzavano questo termine per definire gli abitanti dell'enclave . Ci sono ovviamente "caste ricche" e caste "povere" ,ma l'importante ,l'essenziale è non mischiarsi ..

Lo Stato della giustizia in Italia

Riportiamo in link le relazioni di apertura dell'anno giudiziario
http://www.governo.it/Presidente/Interventi/dettaglio.asp?d=38190
(il Ministro della Giustizia ad interim Prodi)
e la relazione del Presidente della Corte di Cassazione Carbone:
in cui si legge tra l'altro che la Giustizia va intesa innanzitutto come "servizio" e non come sistema a sè stante .

Le dimissioni facili e quelle difficili

Lascia l'ANM il collega De Magistris ,con una lettera pubblicata sia sull'Espresso che sul sito "Eguale per tutti" http://toghe.blogspot.com/2008/01/luigi-de-magistris-si-dimesso-dallanm.html .
Poco da dire sulle motivazioni ,tanto più che proprio noi abbiamo ,e non da ora , posto molti problemi reali che vengono alla luce.
Molto ,invece da dire sul fatto che non è la ANM che va "abbandonata" ,ma un certo modo di intendere i rapporti tra la ANM e le istituzioni che va cambiato .
Dimettersi va di moda ..ma dove andiamo ?
Imparzialità ,indipendenza ,autonomia la risposta l'hanno solo nel ruolo e nella funzione dei magistrati ,nel senso della misura e del rispetto delle regole .
Il correntismo puro e duro ,ovviamente contraddice prima di tutto il nostro modo di essere ,ed in un certo senso ci allinea e consente e facilita speculazioni politiche.
Ma attenzione non è con le dimissioni (anche se "pure e dure") che si risolvono i molti problemi ,che esistono e che vanno posti e certamente risolti ,e vanno risolti "dentro" la ANM . Come pure non ha certo ratificato l'immagine di una magistratura libera da condizionamenti e appunto imparziale il ripetuto passaggio di molti magistrati alla politica ,indifferentemente dallo schieramento scelto o dal partito ,una volta almeno i pochi magistrati che decidevano di dedicarsi alla politica pretendevano di essere "indipendenti" ,e oggi non più e anzi ,finito il loro ruolo "politico" a volte (troppe volte) tornano .
E siamo sicuri che tutto questo facilita la comprensione dei problemi reali della magistratura?

"Prova" ,Prova, prova !!!..bloccata la mailing list della ANM

Tanti ,tantissimi messaggini di prova (qualcuno con i saluti a tutti) . Davvero i magistrati italiani sono così poco avvezzi all'uso della posta elettronica ? Certo è che la nuova mailing list della ANM ha vissuto momenti di crisi ,qualcuno si è subito defilato (temendo forse di intasare il proprio PC ) e qualcun altro ostinatamente persiste. Certo è che la nuova mailing list è rimasta attiva per poco ed è stata subito bloccata ,appunto per impedirne il collasso.
Delle due l'una : o è stato un caso di spamming (e infatti molti messaggi recavano un allegato ) ed allora è grave che l'ANM ,che sicuramente ha una propria convenzione per la gestione di un server e del proprio sito abbia sottovalutato il problema .
Oppure sono i magistrati ingenuamente a essere poco avvezzi all'uso della posta elettronica ,con buona pace delle speranze di rinnovamento tecnologico che tutti ripongono per il rinnovamento del sistema giustizia (ricordiamo le parole ,che ovviamente condividiamo ,del nostro Segretario generale .."magari potessimo usare la posta elettronica per le notifiche"!) .
C'è molto,moltissimo da fare per in un caso o nell'altro ,e prenderne atto sarebbe una scelta seria e responsabile ,e quanto è avvenuto non è affatto da sottovalutare . Se non altro si può dire che i magistrati hanno dimostrato di "possedere una cultura della ..prova".

martedì 22 gennaio 2008

Gian Antonio Stella sul Corriere di oggi : a proposito di Giustizia

Dentro le aule Processi che non finiscono mai: 3.612 istruttorie contro le toghe e 3.612 assoluzioni
Giustizia condannata
Sprechi, lentezze e 7,7 miliardi di euro 200 mila prescrizioni: record europeo
di Gian Antonio Stella


Cosa avete in agenda il 27 febbraio 2020? «Che razza di domanda!», direte voi. Eppure un paio di braccianti pugliesi, quel giovedì che arriverà fra dodici anni abbondanti, quando sarà un vecchio rottame (calcisticamente) perfino il baby Pato, hanno dovuto segnarselo su un quaderno: appuntamento in tribunale.

Così gli avevano detto: se il buon Dio li manterrà in salute (hanno già passato la settantina: forza nonni!), se quel giorno non verranno colpiti da un raffreddore, se il giudice non avrà un dolore cervicale, se il cancelliere non sarà in ferie, se gli avvocati non saranno in agitazione, se l’Italia non sarà bloccata da uno sciopero generale con paralisi di tutto, se non mancherà qualche carta bollata, se non salterà la corrente elettrica, Sua Maestà la Giustizia si concederà loro in udienza. E potranno finalmente discutere della loro causa contro l’Inps.
Dopo di che, auguri. Di rinvio in rinvio, col ritmo delle nostre vicende giudiziarie, già immaginavano una sentenza tra il 2025 e il 2030. Magari depositata, cascando su un giudice pigro, verso il 2035.

Già centenari.Ma niente paura: sulla base della legge Pinto avrebbero potuto ricorrere in Appello contro la lentezza della giustizia. E ottenere l’«equa riparazione » per avere aspettato tanto. Certo, avrebbero dovuto avere pazienza: da 2003 al 2005 i ricorsi di questo tipo sono infatti raddoppiati (da 5.510 a 12.130) e in certi posti come Roma ci vuole già oggi un’eternità (due anni) per vedersi riconoscere di avere atteso un’eternità. Quanto ai soldi del risarcimento, ciao… Le somme che lo Stato è costretto a tirar fuori ogni anno continuano a montare, montare, montare…
E per quella lontana data non è detto che ci sia ancora un centesimo. Il presidente di Cassazione Gaetano Nicastro, del resto, l’ha già detto: «Se lo Stato italiano dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi, non basterebbero tre leggi finanziarie». Diagnosi infausta confermata il mese scorso dal ministero dell’Economia. Secondo il quale i cittadini che hanno «potenzialmente diritto all’indennizzo» per i processi interminabili sono «almeno 100mila» l’anno. Mettete che abbiano diritto a strappare in media 7 mila euro ciascuno e fate il conto. Erano già rassegnati, i due braccianti, a darsi tempi biblici quando il Tribunale, per evitare una figuraccia, li ha in questi giorni richiamati: era tutto un errore, l’appuntamento è solo nel 2013. Ah, solo nel 2013! Solo fra cinque anni! Ecco com’è, il libro sulla giustizia italiana scritto da Luigi Ferrarella e titolato, con un malizioso richiamo alla dannazione eterna, «Fine pena mai»: un libro sospeso tra il ridicolo e l’incubo.
Un formidabile reportage su un pianeta che tutti pensiamo di conoscere e che scopriamo di non conoscere affatto. Almeno non fino in fondo. Fino agli abissi di numeri e situazioni incredibili. Un racconto che trabocca di storie, aneddoti, personaggi curiosi e surreali ma che allo stesso tempo non concede un grammo al populismo, alla demagogia, al qualunquismo. E che proprio grazie a questa sobrietà ricca di humour ma esente da ogni invettiva caciarona, in linea con lo stile di Ferrarella che i lettori del Corriere bene conoscono, rappresenta la più lucida, netta e spietata requisitoria contro un sistema che rischia di andare a fondo. E di tirare a fondo l’intero Paese. Sia chiaro: non ci sono solo ombre, nella giustizia italiana. Di più: se ogni giorno si compie il miracolo di tanti processi che arrivano in porto, tante udienze che vengono aperte, tanti colpevoli che finiscono in galera e tanti innocenti che ottengono l’assoluzione, è merito di migliaia di persone perbene, giudici, cancellieri, impiegati, fattorini, che si dannano l’anima in condizioni difficilissime. Se non proprio disperate.
Ma certo, anche le luci mostrano quanto sia buio il contesto. Bolzano, che nonostante un buco del 45% negli organici riesce ad aumentare la produttività, ridurre l’arretrato e insieme dimezzare le spese abbattendo addirittura del 60% i costi delle intercettazioni fa apparire ancora più scandalosi i contratti stipulati separatamente dai diversi tribunali per l’affitto delle costose apparecchiature necessarie al «Grande Orecchio », affitto che configurava «uno sconcertante ventaglio dei costi da 1 a 18 per lo stesso servizio». Torino, «capace tra il 2001 e il 2006 di ridurre di un terzo il carico pendente del contenzioso ordinario civile: una performance che, se imitata da tutti i tribunali italiani, in cinque anni avrebbe ridotto di 238 giorni il tempo medio di attesa di una sentenza civile» dimostra quanto siano incapaci di una reazione all’altezza la stragrande maggioranza degli altri uffici, dove si è accumulato un «debito giudiziario» spaventoso: «4 milioni e mezzo di procedimenti civili e 5 milioni di fascicoli penali». Una «macchina» sgangherata e infernale. Che «consuma più di 7,7 miliardi di euro l’anno» e per cosa? «Per impiegare in media 5 anni per decidere se qualcuno è colpevole o innocente; per far prescrivere da 150 a 200mila procedimenti l’anno, record europeo; per incarcerare ben 58 detenuti su 100 senza condanne definitive; per dare ragione o torto in una causa civile dopo più di 8 anni, per decidere in 2 anni un licenziamento in prima istanza; per far divorziare marito e moglie in sette anni e mezzo; per lasciare i creditori in balia di una procedura di fallimento per quasi un decennio; per protrarre 4 anni e mezzo un’esecuzione immobiliare».
Ma certo che ci sono raggi di sole. A Milano, per esempio, dall’11 dicembre 2006 si possono «emettere decreti ingiuntivi telematici. Il risultato del primo anno è stato fare guadagnare a cittadini e imprese richiedenti dai 12 ai 14 milioni di euro: cioè i soldi fatti loro risparmiare, nella differenza tra costo del denaro al 4% e tasso di interesse legale al 2,50%, dal fatto di poter disporre con quasi due mesi d’anticipo dei 700 milioni di euro che costituiscono il valore dei circa 3.500 decreti ingiuntivi emessi. Un effetto leva pazzesco: 100mila euro spesi per investire nella tecnologia, ma già 12-14 milioni di euro di ritorno per la collettività nel primo anno». Qual è la lezione? Ovvio: occorre assolutamente investire sulle nuove tecnologie. Macché. «Fine pena mai» dimostra che, dovendo tagliare e non avendo il fegato di tagliare là dove si dovrebbe ma dove stanno le clientele, le amicizie, le reti di interessi, hanno via via deciso di tagliare in questi anni perfino le email, gli accessi a Internet, l’acquisto di programmi elettronici, la messa a punto di software specifici, l’assistenza informatica.
L’ultimo somaro sa che se non puoi contare su un’assistenza efficiente, addio: il tuo computer può improvvisamente diventare inutile come un’auto senza ruote. Bene: su questo fronte «la disponibilità del ministero per il 2006 copre appena il 5% del fabbisogno annuale ». Auguri. Per non dire del casellario ancora aggiornato in larga parte manualmente e che dovrebbe diventare totalmente informatico quest’anno (e vai!) nonostante dovesse esserlo già dal 1989 (diciotto anni fa) e per questa sua arretratezza ha consentito ad esempio a una nomade «fermata in varie città 122 volte per furti o borseggi, e condannata a segmenti di pena di 6/9 mesi per volta» di totalizzare «in teoria 20 anni di carcere senza mai fare nemmeno un giorno in prigione». Colpa dei ministri di destra e di sinistra che si sono succeduti ammucchiando «troppe riforme» spesso in contraddizione l’una con l’altra. Del Parlamento che ha via via affastellato leggi su leggi votando ad esempio 19 modifiche alla custodia cautelare in tre decenni.
Dei politici che non hanno mai trovato la forza, il coraggio, lo spirito di servizio per dare «insieme» una nuova forma a un sistema giudiziario che ormai è così sgangherato che riesce a recuperare «soltanto dal 3% al 5%» delle pene pecuniarie, con una perdita secca annuale di 750 milioni di euro, cioè sette miliardi in un decennio, «nonché di 112 milioni di euro di spese processuali astrattamente recuperabili ». Così cieco che, taglia taglia, offre per le spese agli uffici giudiziari di Campobasso 138 mila euro e poi ne spende un milione, sette volte di più, per risarcire i cittadini vittime della giustizia troppo lenta anche per mancanza di fondi. E i magistrati? Tutti assolti? Ma niente affatto, risponde Ferrarella. Il quale non fa sconti a nessuno. E se riconosce qualche buona ragione a chi tende a inquadrare certi ritardi «nel contesto», contesto che è «il migliore avvocato difensore » del giudice sotto accusa, non manca di denunciare assurdità che gridano vendetta. Possibile che perfino chi si «dimenticò » in galera 15 mesi un immigrato se la sia cavata con una semplice censura perché «era la prima volta»? Che non abbia pagato dazio neanche chi ha depositato sentenze «riguardanti cause decise più di sette anni prima»? Che 3.612 istruttorie aperte per accertare la responsabilità delle «toghe» in 3.612 casi di indennizzo per processi troppo lenti si siano concluse con 3.612 assoluzioni?
Gian Antonio Stella
22 gennaio 2008

lunedì 21 gennaio 2008

EURISPES : cala la fiducia nelle istituzioni



Secondo il rapporto Eurispes il rapporto tra cittadini e istituzioni in Italia sta precipitando . E ci sono ,moltissimi segnali di questa crisi . E' significativo che la magistratura tra le istituzioni è al secondo posto dopo il capo dello Stato, raccoglie il 42,5% di fiduciosi, ma purtroppo vede più della metà dei cittadini (53,6%) sfiduciati. Il consenso comunque è in crescita rispetto all'anno precedente (39,6%). Più sfiduciati sono i giovani, hanno più fiducia gli italiani di sinistra o di centro-sinistra.Bisognerebbe notare che la gente si fida di più di Carabinieri e Polizia (57,4% e 50,7%) . Una chiara indicazione della necessità di recuperare un visibile rapporto di indipendenza "tecnica" e di servizio per i magistrati italiani.Dati eloquenti ,che richiedono una risposta .

-------------------------------------
CAPO DELLO STATO - Unico soggetto istituzionale che ottiene la fiducia della maggioranza dei cittadini (58,5%) sebbene in calo rispetto alla rilevazione precedente (63,2%). D'altronde, questo ulteriore calo di popolarità secondo l'Eurispes non sembra attribuibile tanto alla persona, quanto a un più generale rifiuto della politica.
GOVERNO - Solo un cittadino su 4 (25,1%) vi ripone fiducia, in calo di 5 punti rispetto all'anno precedente; il 31,1% non ha nessuna fiducia nell'esecutivo. La maggiore sfiducia da parte dei più giovani (18-24 anni), soprattutto al Sud e nelle isole. Situazione poco più positiva al Nord e soprattutto al Nord-est. Crollo verticale della fiducia soprattutto tra chi si dichiara di sinistra e di centro-sinistra.
PARLAMENTO - Tre cittadini su quattro (75,3%) hanno poca o nessuna fiducia nel maggiore organo di rappresentanza. Rispetto all'anno precedente c'é un ulteriore calo di circa 9 punti percentuali. Si fida solo il 19,4%, contro un 30,5% del Rapporto 2007.
MAGISTRATURA - Al secondo posto dopo il capo dello Stato, raccoglie il 42,5% di fiduciosi, ma vede più della metà dei cittadini (53,6%) sfiduciati. Il consenso comunque è in crescita rispetto all'anno prima (39,6%). Più sfiduciati i giovani, hanno più fiducia gli italiani di sinistra o di centro-sinistra.
PARTITI - Solo il 14,1% degli italiani ha fiducia in queste istituzioni. La metà non si fida per niente, uno su tre si fida poco e solo uno su 10 ha abbastanza fiducia. Il risultato è quasi analogo a quello del 2007. Consenso un po' più alto tra i personaggi esterni alla politica, come Beppe Grillo o Nanni Moretti, dei quali si fidano soprattutto i cittadini dai 25 ai 34 anni e i giovanissimi. Si fidano di più dei politici gli elettori di sinistra e centro-sinistra.
ISTITUZIONI NON POLITICHE - Alle associazioni di volontariato il primato della fiducia: 71,6% di fiduciosi, in calo comunque rispetto all'anno precedente (78,5%). Al secondo posto, con oltre la metà di cittadini fiduciosi, i Carabinieri (57,4%) e la Polizia (50,7%). La Chiesa e le altre istituzioni religiose non raggiunge la metà (49,7%) di fiduciosi, con un calo di 10 punti rispetto al 2007 (60,7%). In forte crisi anche la scuola, che ispira fiducia solo a un terzo del campione (33%) a fronte del 47,1% del 2007. Il 46,3% dice di fidarsi della Guardia di Finanza. Solo il 23,5% del campione ha fiducia nelle associazioni di imprenditori, il 20% nella Pubblica Amministrazione, il 19,5% nei sindacati, tutti in calo rispetto all'anno precedente.
IL VOTO - La larga maggioranza del campione (77,1%) dichiara comunque di andare sempre a votare, in calo rispetto al 2007 (81,5%). Si vota sempre alle elezioni soprattutto al Nord-Ovest (l'84%) e i più assidui al voto sono gli elettori di sinistra e centro-sinistra, seguono quelli di destra e centro-destra. Rispetto al precedente rapporto, si registra un calo di votanti regolari soprattutto fra gli elettori di sinistra, segno che sono soprattutto loro a sperimentare una sfiducia tale da demotivare al voto.

domenica 20 gennaio 2008

La notte della Repubblica ,di Ilvo Diamanti Repubblica 20 gennaio 2008

Da Repubblica del 20 gennaio 2008 ,un commento importante e sul quale riflettere molto :

http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/politica/notte-repubblica/notte-repubblica/notte-repubblica.html

La notte della Repubblica
di ILVO DIAMANTI
Settimane come questa lasciano un sentimento di sconcerto di rara intensità. Un giorno dopo l'altro, una cattiva notizia. Un'emergenza. Senza soluzione di continuità. I rifiuti di Napoli e le polemiche sulla lezione di Benedetto XVI alla Sapienza, annunziata e successivamente annullata. Le accuse dei magistrati a Sandra Lonardo e al marito, Clemente Mastella; e le dimissioni del ministro Guardasigilli. L'appoggio esterno dell'Udeur al governo (un paradosso) e la possibile crisi. L'inchiesta sulle segnalazioni di Berlusconi a Saccà e la condanna del governatore siciliano Cuffaro per favoreggiamento. E ancora: i contrasti fra Confindustria e sindacato, le proteste dei metalmeccanici. Fino alla nuova tragedia sul lavoro, a Marghera. Non manca proprio nulla al catalogo dei mali italiani - antichi e nuovi. Per cui cresce la tentazione popolare (non di rado praticata) di star lontani dai giornali e dai telegiornali. Oppure, di girare pagina e canale ogni volta che incontriamo la politica, ma anche la cronaca. L'inverno civile che stiamo attraversando non accenna a chiudersi, tanto meno a intiepidirsi. Non deve sorprende, allora, se, da molte parti, si evocano i primi anni Novanta. La fine della prima Repubblica. L'avvio di una transizione patologica che non transita mai, ma diventa sempre più indecifrabile. Molti segni, d'altronde, suggeriscono questo accostamento. Gli (esorbitanti) indici di sfiducia nelle istituzioni e negli attori politici; il ricorso al referendum sulla legge elettorale; gli scontri fra magistrati e politici. Il copione di questa stagione rammenta da vicino quello di quindici anni fa. C'è, per questo, chi invoca il '92; una nuova frattura. Per ritentare l'impresa avviata allora, senza fortuna. Voltare pagina, andare oltre "l'anomalia italiana".
Come la chiamavano gli osservatori stranieri. Come la percepivano, con fastidio, gli stessi italiani. I quali, però, oggi assistono spaesati alla catena senza fine delle cattive notizie. Quasi rassegnati. Perché molto è cambiato dal '92. A differenza di allora, non hanno ganci a cui attaccarsi, né reti che li tengano insieme. Ma, soprattutto, non riescono a guardare avanti. A sperare. 1. Agli inizi degli anni Novanta, gli italiani, di fronte alla dissoluzione dei partiti e alla delegittimazione della classe politica, potevano aggrapparsi ad alcuni appigli. I magistrati, considerati i "giustizieri". I tribuni del popolo indignato, che "non ne poteva più". I nuovi soggetti politici, emersi nel vuoto prodotto dallo sbriciolarsi della prima Repubblica. Partiti: la Lega, la Rete. In seguito, Berlusconi e Forza Italia. An, cresciuta sulle radici del Msi. Mariotto Segni e i referendari. L'Ulivo nascente. Inoltre, i sindaci, che colmavano la distanza fra istituzioni e società "personalizzando" il rapporto con i cittadini su base locale. La "questione settentrionale", agitata dalle piccole imprese e dai movimenti autonomisti, non marcava solo distacco, ma anche domanda di riforme profonde. E alimentava il disordinato dinamismo del Mezzogiorno. Sotto il profilo economico, dell'associazionismo, delle città. Poi, ci rassicurava il vincolo esterno imposto dall'Unione Europea. Che ci costringeva a comportamenti finanziari ed economici virtuosi. In fondo, la grande fiducia riscossa dall'Unione Europea in quegli anni rifletteva la grande sfiducia nello Stato e nella classe politica del nostro Paese. 2. Il Paese, per quanto diviso e attraversato da tensioni profonde, nei primi anni Novanta era tenuto insieme da alcune grandi organizzazioni di rappresentanza economica, dalle associazioni volontarie. La "concertazione", promossa da Ciampi (al tempo presidente del Consiglio) insieme a sindacati, Confindustria e, in seguito, ad altre organizzazioni di categoria, costituì un metodo per affrontare la crisi economica del Paese. Ma anche per ridurre il deficit di consenso e di fiducia nelle istituzioni. D'altronde, insieme al "muro" erano crollate anche le ideologie. Mentre, dopo la fine della Dc, i cattolici si erano "sparsi" in tutte le direzioni, in tutti i principali partiti. L'Italia, quindici anni fa, nonostante le tensioni e le fratture, appariva un Paese accomunato dalle particolarità; per questo flessibile, capace di adattarsi, di "arrangiarsi" nelle occasioni più difficili. Di reagire alle emergenze. Anzi: di reggere alle fratture (come quella Nord/Sud) e di trasformare le emergenze in motivo di unità e rilancio. Oggi, invece, i colpi e i contraccolpi che scuotono il sistema non suscitano speranza. Solo spaesamento. 3. I ganci si sono sganciati. Rispetto ai primi anni Novanta è cresciuta ulteriormente la sfiducia nei confronti dei "partiti" e dei "politici". La "casta" dei privilegiati (per riprendere il titolo del fortunato libro di Stella e Rizzo). Contro cui si è mobilitata una protesta "antipolitica" molto ampia. Il cui esponente più significativo è Beppe Grillo. I sindaci, soprattutto al Sud, non fanno più miracoli. Anzi. I cittadini li sentono lontani, quanto e più degli altri politici. Il Paese si è spezzato. Il Mezzogiorno: rientrato nella spirale del sottosviluppo, ricacciato negli stereotipi del passato. Il Nord - e il Nordest, in particolare - impegnato a marcare le distanze da Roma e dal Sud. L'Unione Europea non è percepita più come un'ancora, ma, da una quota crescente di cittadini, come un vincolo, un freno. Il Paese più eurottimista d'Europa, infine, è divenuto euroscettico. Insofferente verso l'euro, considerato responsabile dell'inflazione crescente. Per alcuni attori politici, come la Lega, Bruxelles è, da tempo, come Roma. Entrambe capitali di Stati nemici. I magistrati non godono più del consenso popolare. La fiducia nei loro confronti si è quasi dimezzata, rispetto a quindici anni fa. Ma è calata anche rispetto a pochi anni addietro. Sono percepiti non più come "garanti" della democrazia, ma come "un" potere in conflitto con gli altri. 4. Non c'è più colla a tenere insieme i pezzi della società e del Paese. Le organizzazioni economiche e sociali - Confindustria e sindacati in primo luogo - appaiono anch'esse largamente "sfiduciate" dai cittadini. Non "concertano" più. Confliggono, si dividono e dividono. La stessa presenza di grandi associazioni oggi appare un po' sbiadita. Le Onlus si stanno trasformando in grandi imprese, per quanto dedite a finalità benefiche. Parte del volontariato si è, anch'esso, aziendalizzato. La compassione e la solidarietà si sono mediatizzate. Praticate a distanza. Un Sms, un'offerta sul proprio conto. Un clic e via. Siamo più buoni. Cattolici e laici: non definiscono più identità compatibili. Ma sempre più alternative. Solchi di una comunità che non è più tale. Divisa dall'etica e nella politica. 5. Così, anche i rimedi e le terapie non hanno più la stessa presa di un tempo. Lo stesso referendum è accolto dai più (che lo sostengono) come il male minore. Una pistola puntata alla tempia, per costringere il legislatore a legiferare. Ma dopo vent'anni di referendum elettorali, affidare loro una missione salvifica pare davvero troppo. Anche la minaccia di nuove elezioni. Magari, anzi, probabilmente si avvia a diventare un destino ineluttabile. Ma è difficile immaginare che un nuovo terremoto, uno strappo violento, possa sottrarci a questa condizione miserevole. Perché, quindici anni dopo, è svanita la speranza che aveva accompagnato il "crollo" del sistema. Quasi come un evento liberatorio. Una palingenesi che avrebbe fatto sorgere un ordine nuovo. Uomini nuovi. Per questo, ora che è quasi buio, affrontare la notte di una lunga campagna elettorale fa correre un brivido. Senza ganci, senza colla, senza cornici. Ma con queste regole, queste divisioni, questi partiti e questi leader, in gran parte responsabili della lunga e improduttiva transizione italiana. Qualcuno è disposto a sperare ancora in un big-bang che riunisca i pezzi di questo Paese a pezzi? E che, per caso (o per caos), ricomponga il complesso mosaico italiano?
(20 gennaio 2008)

sabato 19 gennaio 2008

Noblesse oblige

"Despotisms endure while they are benevolent, and aristocracies while noblesse oblige is not a phrase to be referred to with a cynical smile. Even an oligarchy might be permanent if the spirit of human kindness, which harmonises all things otherwise incompatible, is present." — George William Russell
Sintetica definizione di nobiltà, «noblesse oblige» chiarisce la differenza tra il nobile e l’ignobile . La nobiltà "obbliga" ,obbliga ad un tono,a modi civili ,ad alto lignaggio ,a superiorità morale ,si diceva una volta . L'aristocrazia politica italiana sembra dimenticarsi proprio di questa aurea massima ,classica in qualche modo riscoperta e nota a tutti come motto dell'uomo ragno "..a grandi poteri ,grandi responsabilità" .
Ed allora.
Non c'è paese al mondo nel quale possa accettarsi ,prima sul piano della civiltà e poi sul piano politico che il Segretario di un sindacato ,e di un sindacato di magistrati, possa essere offeso in diretta in televisione (tra l'altro senza che il giornalista responsabile intervenga) con un vero e proprio turpiloquio istituzionale ,che colpisce e offende tutti indiscriminatamente e si mostra così ,tra l'irriverenza (apparentemente) scherzosa e la dura realtà delle espressioni offensive .
L'educazione personale non paga televisivamente anche di fronte alla maleducazione istituzionale .
I magistrati ,rappresentati da Luca Palamara Segretario generale della ANM ,cui va la nostra totale ,piena e incondizionata solidarietà non sono San Sebastiano ,sono questa volta uniti e si sono sentiti tutti ,proprio tutti, offesi .
I magistrati sono abituati alla motivazione ed al contraddittorio ,l'aristocrazia politica ,evidentemente no.

venerdì 18 gennaio 2008

Povero Pasquale..

In una celebre scenetta Totò raccontava ad un amico che gli era appena successa una cosa inspiegabile .
Aveva appena incontrato poco prima un tizio che prima lo chiamava “Pasquale!”, poi a poco a poco lo riempiva di improperi e infine -gradualmente- lo spingeva in un angolo e lo riempiva di schiaffi : “Prendi, Pasquale!”, “Infame d’un Pasquale!”, “Io t’ammazzo, Pasquale!”. Allora la spalla diceva a Totò: “E tu non hai reagito?”. E Totò: “No, a me che m’importa, mica mi chiamo Pasquale io!”.
Qualche volta ,di fronte ai serafici richiami al dialogo rivolti alla magistratura (usa a subir tacendo) in una condizione simile ci viene in mente proprio la scenetta di Totò ..
"Dialogo" sì ,ma fino a un certo punto citando Totò diremmo "ogni limite ha una pazienza" e la nostra di pazienza è proprio finita ,non si possono accettare accuse generiche e generalizzate e sopratutto offese alla dignità personale e professionale ,di tutti i magistrati ,da parte di chicchessia .
Di fronte alle offese gratuite ai singoli magistrati e alla magistratura nel suo insieme servirebbero azioni civili e richieste di devoluzione dei danni alle vittime della mafia e del terrorismo.

Il discorso di Benedetto XVI alla Università La "Sapienza" il diritto presupposto della libertà

"È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo.
Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".
Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.
Ritorno alla mia domanda di partenza: che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità.
Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità. Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato.
Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.
Ma ora ci si deve chiedere: e che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.
Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università. È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.
Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.
Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista.
Ma qui emerge subito la domanda: come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica.
I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico. Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza.
Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente.
Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta. Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze.
Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò.
Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino.
Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi. Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito.
Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati.
Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande.
Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.Città del Vaticano, 17 gennaio 2008 "

giovedì 17 gennaio 2008

La notte in cui tutti i gatti diventano bigi ...e qualche piccolo raggio di luce

Ci siamo ,nessuno ricorda momenti come questi ,nessuno commenta e nessuno può commentare a ragion veduta cioè conoscendo gli atti ..ma tutti parlano sottolineano ,invocano .. Nella stessa giornata sono avvenuti almeno tre eventi straordinariamente importanti per la vita democratica : prima al Papa è stato -di fatto- stato impedito (in nome di un malinteso laicismo) l'accesso all'Università La Sapienza,episodio gravissimo che non ha eguali in alcun paese civile ,indipendentemente dalle motivazioni .
Poi le dimissioni del Ministro della Giustizia ,per una vicenda in cui i contorni sono certamente tutti da accertare e da definire ,ma che indubbiamente preoccupa sia il mondo politico (tutto) ,sia la magistratura ,e va detto che pochi hanno sottolineato la nobiltà del comunicato della Unione delle Camere Penali Italiane http://www.camerepenali.it/
"Di fronte all’insurrezione della politica e alle accuse di mancato rispetto delle garanzie processuali e di strumentalizzazione dell’azione giudiziaria che già si rilevano dalle prime prese di posizione odierne, deve anzitutto ribadirsi che il merito di un procedimento penale in corso non può essere soggetto a critiche politiche, sia che riguardi esponenti politici che cittadini comuni.
E’ dunque grave, scandalosa ed incomprensibile la schizofrenica valutazione del mondo politico, senza distinzione di schieramento, che interviene in difesa dei principi di garanzia e di civiltà giuridica solo allorché la vicenda riguardi determinati soggetti, e si disinteressa invece del rispetto delle garanzie, del funzionamento del sistema giudiziario, delle grandi riforme liberali e democratiche in materia di giustizia nella quotidiana attività politica.
Vale allora la pena oggi ricordare che gli appelli al rispetto dei valori costituzionali e delle garanzie nel processo sono credibili solo quando valgano per tutti i cittadini ed in tutte le situazioni. I penalisti italiani, che si sono spesso trovati soli, anche nei confronti della politica, a contrastare il ruolo improprio della magistratura in questo paese ed a difendere i principi costituzionali nel processo ed i valori dello stato di diritto nei confronti di tutti, denunciano alla pubblica opinione l’ambiguo comportamento della classe politica italiana che tali valori invoca e difende –come dimostrano anche le vicende degli ultimi mesi in tema di sicurezza e di leggi speciali- soltanto in occasione di particolari contingenze che la riguardano, senza farne, come sarebbe doveroso, un punto di riferimento quotidiano in ogni momento e nei confronti di tutti i cittadini."
Nessun commento ,se non il senso di una condivisione dei valori della civiltà e del diritto che per una volta magistratura (in verità con sfumature un tantino caute) e avvocatura hanno ritrovato nella (lunga) notte in cui tutti i gatti sono bigi ,in cui "la magistratura" siede tutta sul banco degli imputati o poco ci manca gli avvocati penalisti ,con un comunicato di altissimo profilo danno una grande lezione di stile e di compostezza.
La "road map" parte da qui, dalla cooperazione tra avvocati e magistrati per ritrovare un senso ad un sistema giudiziario che gira a vuoto e che viene incompreso e frainteso ,e spesso e volentieri vilipeso in modo generalizzato ,senza alcuna speranza di cambiamento.
Il terzo evento ,che magari sarà quello storicamente più importante , è l'ammissione di tutti e tre i quesiti in materia elettorale da parte della Corte Costituzionale..una vittoria del diritto sulla politica "assorbente" e del diritto dei cittadini a esprimere senza mediazioni la propria sovranità .La vera lezione per tutti. Anche per chi aveva messo in dubbio perfino l'imparzialità della Corte costituzionale ,giudice supremo delle leggi e custode della Costituzione.
Se si riscoprisse ,ogni tanto,anzichè farsi dominare dalle emozioni "forti" e dall'ansia mediaticamente "gridata" lo strumentario della legittimità costituzionale e della conformità ai Trattati Europei come alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo di leggi e provvedimenti giurisdizionali non sarebbe male. Per la democrazia .

venerdì 11 gennaio 2008

Tempi moderni :questioni vere e risposte che bisognerebbe dare ..

Abbiamo posto per primi le questioni che oggi pone ,con forza -e come sempre con grande coraggio- la collega Ilda Boccassini .
Ed in un certo senso avevamo facilmente previsto che si sarebbe ripetuto lo scenario che già aveva avuto per protagonista Giovanni Falcone ,che se fosse sopravvissuto oggi sarebbe stato inevitabilmente sommerso anche lui dalla massa quotidiana dei "processetti" ,dall'ansia di evitare le prescrizioni nella quale sono immersi,come in uno tsunami che avanza inesorabile nel quale non ci sono più soccorsi o vie d'uscita ,la gran parte dei magistrati italiani,requirenti e giudicanti ,impegnati a scrivere , scrivere,scrivere anzi a "produrre" senza fine imputazioni ordinanze,decreti o sentenze ,ma anche lettere e note documentate per giustificarsi o per difendersi ,note per le valutazioni (le nuove "note di qualifica" per i magistrati in ricordo dell'ultimo convegno dell'ANM ,quello con le matite, nel quale si teorizzava "magistrati..non burocrati" ).
E ,attenzione , meglio ,molto meglio tacere ,obbedir tacendo e soprattutto evitare di esporsi ,sopportare .Nessuno può parlare ,perchè il magistrato quando parla parla solo "con sentenze" ..immagine straordinaria che semplifica e nel contempo riduce giudici e pubblici ministeri in valvole meccaniche o in operai chini anonimamente sulla catena di montaggio esattamente come nel film "Tempi moderni" di Chaplin ,unici responsabili dei tempi e dei ritmi di lavoro . Rassegnati e soli.
Non c'è più una vera e propria carriera per i giudici come per i pubblici ministeri ,prima forse tutti potevano diventare "caballeros" e oggi tutto si riduce a numeri ,coerentemente (1,2,3 4 valutazione e così via) e comunque non c'è rimasta ,purtroppo, alcuna seria e umana aspettativa di carriera (che non è un orpello burocratico ,non è un'ambizione ma è solo il modo di valorizzare in maniera logica le esperienze che esistono ,e che non dovrebbero mai essere sottovalutate o addirittura emarginate..esistono i "quadri" anche in magistratura e c'è tutta una generazione delusa che si sente messa da parte ) e ,se capita di essere attaccati ,ed è inevitabile magari se si fa sul serio e senza timori questo lavoro bisogna avere pur sempre un riferimento "associativo" nel quale confidare. Senza consensi interni o di immagine "esterna" si resta isolati ,si resta soli ci si sente sempre di più come oggetto di un "mobbing" silenzioso e impassibile ,e non c'è solo la collega Boccassini (che ha avuto peraltro la valutazione massima) ,ricordiamo molti altri casi .
Nessuno si chiede come colleghi straordinari che hanno svolto e vissuto esperienze straordinarie e hanno messo a rischio la propria vita in contesti delicatissimi fatichino non poco ogni giorno non solo a raggiungere posti direttivi o semidirettivi ,e fin qui si dirà è inevitabile, ma persino a essere inclusi nella DDA come nella DNA o in gruppi specializzati all'interno delle grandi Procure . Ovviamente si può fare ricorso al Tar ,e qualcuno lo fa ,ma il problema non è solamente e strettamente giuridico .
La loro esperienza ,semplicemente, si perde e si disperde e nessuno si rende conto che proprio la sensazione di isolamento che per primo aveva avuto Giovanni Falcone oggi si rinnova nella loro disillusione ,nel loro disagio ,nella consapevolezza che imporre o difendere la legalità sia ogni giorno più difficile ,perchè si è visti con sospetto e isolati ..e quindi occorre magari mediare ,mediare accettare ,rassegnarsi .
L'ANM è impegnata in un rinnovamento ,e qualche piccolo segno in verità sembra averlo dato ,e ci riferiamo alla iniziativa della mailing list unica, ma purtroppo esiste ancora un imbarazzo ,un silenzio glaciale quando si tratta di affrontare i temi ,quando si tratta di confrontarsi su problemi veri e concreti ,oggi più che mai ci sembra necessario non limitarsi ad esprimere "auspici" o "dispiaceri" ,ma avviare "insieme" e senza preconcetti un percorso di autocritica e di vera riforma.
l'ANM dovrebbe fare il sindacato ,e non è un'offesa e nessuno si senta offeso (come diceva De Gregori in "La Storia siamo noi" ) ,appunto nessuno si senta offeso perchè come abbiamo detto e ripetuto più volte quella del sindacato è una funzione essenziale ,per interloquire ,per difendere ,per evitare emarginazioni e penalizzazioni dei lavoratori ,sia di quelli più semplici che di quelli specializzati .
l'ANM dovrebbe e potrebbe sentire semplicemente meglio la sua "base" ,cioè la voce diretta dei magistrati semplici ,senza sempre passare dai notabili delle correnti ,dai titolari dei consensi organizzati in "pacchetti" di voti che propongono "modelli" di magistrato come di "magistratura" o di organizzazione ma sono distanti dalla esperienza viva della gestione degli uffici : manca loro il senso della realtà ,ma purtroppo anche l'umiltà di considerare e di ascoltare i colleghi "comuni" e di capire le molte cose che potrebbero essere migliorate nelle diverse realtà che compongono il sistema giudiziario.
A volte si tratta di piccole cose ,ma importanti ,si tratta di gestire i turni ,i ruoli di udienza ,le assegnazioni ,sono i magistrati di "prima linea" gli impiegati (anonimi e non ) allo sportello giustizia ,quelli cui tocca l'ingrato compito di incarnare per moltissimi cittadini il volto e la voce di un sistema giudiziario che sembra loro girare a vuoto ,penalizzare i più deboli e premiare i più forti o i più furbi .
Non si tratta solo di individuare "colpe" vere o presunte e di indicarne i responsabili all'interno o all'esterno della magistratura . Questo sarebbe da un lato relativo quanto forse troppo semplice sia nel settore civile che nel settore penale ,si tratta invece di avviare una ampia consultazione ,un referendum ,una assemblea ,una assemblea costituente per riscrivere delle regole che oggi sembrano tanto vuote quanto insignificanti e distanti dalla società civile. E siamo convinti che una chiara definizione delle incompatibilità "interne" potrebbe essere un grande passo avanti.
Ma a questo deve corrispondere anche il passo indietro degli apparati di corrente ,dell'idea che solo il consenso organizzato può aiutare i magistrati .
Almeno noi vorremmo che la ricerca del consenso (sia interno che qualche volta anche esterno) non pregiudichi mai indipendenza ed autonomia ,vorremmo vedere i nostri sindacalisti sinceramente impegnati nella difesa di questi valori ma anche della dignità dei magistrati italiani giovani e meno giovani ,in sedi importanti come periferiche ,essi non dovrebbero mai sentirsi isolati e soprattutto "ignorati" se non in occasione di scadenze elettorali.
Vorremmo vedere premiata l'indipendenza e la professionalità ,ma anche l'esperienza di molti che oggi rischia di perdersi ,con grave danno non solo per la magistratura ,ma anche per il Paese ..
Per questo ringraziamo Ilda ,che ci ha dato ancora una volta l'occasione per discutere e per metterci in discussione ,interrogandoci -sinceramente- sui problemi veri .

Ilda Boccassini : perchè l'ANM dovrebbe fare autocritica (da Repubblica)

http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/bocassini/bocassini/bocassini.html
http://www.rainews24.rai.it/ran24/speciali/irisme/personaggi_boccassini.htm
Lo sfogo di Ilda Boccassini"Magistrati, fate autocritica"
di CINZIA SASSO

MILANO - Come quindici anni fa. Anche stavolta l'attacco arriva a freddo, inatteso, proprio ora perfino impensabile. La rabbia è la stessa, anzi, forse di più. Perché "tanto tempo è passato ma niente è cambiato, come fossimo nella Palermo del principe di Salina". Per Ilda Boccassini la maturità, però, è una conquista e un grande alleato, e allora oggi per alzare la voce, per puntare l'indice, per suggerire disperatamente attenzione, bastano poche righe. Messe nero su bianco. Oggi non occorre un microfono in mano. Ilda Boccassini quelle righe le ha scritte alla metà di dicembre, sono le sue dimissioni dall'Anm. E non sono la stizza di chi si è sentito scavalcato; non è, anche se a molti fa comodo leggerle semplicemente così, l'invidia contro un collega che è anche un amico. Le sue dimissioni, rese note dal Corriere della Sera, parlano solo di motivi "maturati nel tempo". Ma dietro c'è un preciso atto d'accusa contro la sua associazione che "non ha mai fatto autocritica", che "non ha il coraggio di guardare dentro se stessa", che non pretende da tutti "professionalità, rigore, indipendenza, autonomia". Che fa, insomma, "come fanno i napoletani con la monnezza: la colpa è sempre degli altri, loro non c'entrano mai". Tra poco sarebbe toccato a lei: Ilda Boccassini - magistrato-simbolo, l'unica conosciuta e invitata anche all'estero, implorata dalle tivù per un'apparizione, corteggiata per un'intervista - sarebbe diventata uno dei procuratori aggiunti della Repubblica a Milano, la città dove ha lavorato di più. Ma lei, ancora una volta, ha spiazzato tutti: non vuole più quel posto, non le interessa "fare carriera". "Io sono un soldato", dice, un magistrato che vuole fare i turni esterni, perché quelli, solo quelli, sono un bagno nella realtà, sono il modo per amministrare la giustizia dei semplici; la giustizia non sono solo i processi a Berlusconi. Dunque non è la gelosia per una promozione mancata: a concorrere per il posto da aggiunto appena assegnato c'erano lei e Francesco Greco, il collega che ha la stanza proprio di fronte alla sua. Stesso punteggio a tutti e due, ma poi, stavolta, ha fatto premio l'anzianità. Ed è passato Greco, il pubblico ministero delle inchieste finanziarie. Di certo, però, al prossimo turno sarebbe toccato a lei.
Ma, ecco, alla Boccassini questa è sembrata l'occasione giusta per riprendere il discorso cominciato quindici anni fa. Era il '92, l'aula magna del palazzo di giustizia di Milano stracolma. Di fronte a una folla di colleghi che ricordavano Giovanni Falcone, Ilda prese il microfono e puntò il dito: "L'avete fatto morire voi - disse - con le vostre critiche, la vostra indifferenza, la vostra diffidenza". Era un atto d'accusa violento contro una categoria. Quella categoria che non l'ha mai amata perché lei non è mai stata un cavallo da scuderia e non ha mai accettato briglie sul collo. Che ufficialmente l'ha portata ad esempio, ma che ha ritardato le sue promozioni. Che l'ha avuta come emblema, ma che sotto sotto l'ha vissuta come un peso da cui liberarsi: lei, una donna, per giunta, che con la sua ostinazione a celebrare a tutti i costi qualsiasi processo sembrava essere diventata la causa della rappresaglia della politica contro la magistratura, non già la paladina di un principio costituzionale. Perché la carriera dei magistrati è ingessata, prigioniera di logiche di corrente, svincolata da valutazioni sulla professionalità e sul rendimento, passa chi deve passare per questioni di equilibrio interno.
La carriera dei magistrati, pensa la Boccassini, "è un mercato"; e a volte, ma solo a volte, vincono i migliori. Ed è questo quello che le sue dimissioni dal sindacato dei magistrati, da "una corporazione ripiegata su se stessa", vogliono dire. "Facciamo autocoscienza, guardiamo dentro noi stessi. Abbiamo il coraggio di dire che ci sono sacche di ignoranza, di scarsa produttività, anche di corruzione". Un appello disperato: "A me - dice Boccassini - interessa solo il mio lavoro, la credibilità delle istituzioni". C'è troppa confusione, in giro. Troppi silenzi quando bisognerebbe alzare la voce, e troppo clamore quando sarebbe necessario tacere. Come se la magistratura fosse diventata "un Grande Fratello". Anche ieri, alla segreteria del pm, sono arrivate richieste di partecipazione a trasmissioni tivù. E anche ieri, con cortesia ma fermezza, sono state respinte. "Un magistrato non va in televisione - si inalbera la Boccassini - e c'è perfino stato chi ha avuto il coraggio di paragonarsi a Falcone": un riferimento alla collega Forleo. Se c'era un'attenuante, fino a qualche tempo fa, quando il governo Berlusconi aveva dichiarato guerra alla magistratura e dunque l'esigenza primaria era quella di difendersi coi denti, oggi quell'attenuante non vale più. Non esiste un governo amico - perché la forza della magistratura sta nella sua indipendenza - ma oggi, secondo lei, la categoria dovrebbe riprendere la battaglia anche dentro se stessa.
Avere il coraggio di liberarsi dalla logica delle correnti. Trovare la forza di imporre quelle quattro, semplici parole, che sono sempre state il suo unico motto: "Professionalità, rigore, indipendenza, autonomia". (11 gennaio 2008)

giovedì 10 gennaio 2008

FINALMENTE PARTE LA MAILING LIST UNICA DELLA ANM

Come si dice ? Riceviamo e pubblichiamo ,ed anche molto volentieri visto che siamo stati proprio noi di Controcorrente e pochi altra a pretenderla . E siamo molto soddisfatti del risultato .

------------------------------


NUOVA MAILING LIST ANM

Cari Colleghi,a partire dal 9 gennaio 2008 è finalmente operativa la mailing list dell'Associazione Nazionale Magistrati, richiesta da molti colleghi, già avviata dalla precedente Giunta Esecutiva ed accolta con grande favore anche dalla Giunta in carica che le dà attuazione.Vista la larga diffusione, l'uso quotidiano e il grande interesse suscitato dalle mailing list dei singoli gruppi associativi e delle varie realtà locali, era tempo che anche l'ANM si dotasse e soprattutto dotasse i magistrati iscritti di questo importante strumento di comunicazione, di condivisione e discussione dei temi che riguardano tutti.La ML è concepita quindi come uno spazio aperto agli interventi di tutti i magistrati iscritti e in una prima fase di "rodaggio" abbiamo ritenuto opportuno non estenderla ad altre persone, seguendo la linea già tracciata dalla precedente Giunta.Così abbiamo anche deciso di non appesantirla di regole e criteri di intervento, convinti che la qualità e il buon andamento della discussione "elettronica" possano essere garantiti adeguatamente dall'intelligenza e dal buon senso dei partecipanti. Per il resto, chi interviene è personalmente responsabile di fronte ai colleghi e alla legge di cosa e di come scrive.L'auspicio è che la ML possa essere realmente concepita come una moderna piazza o un foro se vogliamo, qualificato dal leale confronto, dall'importanza degli argomenti, dalla utilità per tutti.Non ci sarà quindi un vero e proprio moderatore, ma soltanto un responsabile tecnico che per il momento viene indicato nel responsabile del sito web.Tutti sappiamo ormai come funziona una ML e quindi, per concludere, ricordo soltanto alcuni accorgimenti tecnici che è bene rispettare per il buon funzionamento della lista.I messaggi dovrebbero essere preferibilmente brevi o comunque non eccessivamente lunghi, scritti in formato testo e privi di allegati, che potranno essere diffusi solo inviando preventivamente il messaggio al responsabile tecnico. Si consiglia di evitare messaggi e avvisi personali, di interesse strettamente locale o dialoghi a due non interessanti per gli altri, che intaserebbero inutilmente la lista e le caselle di posta degli iscritti.Infine, per garantire la partecipazione ai soli magistrati iscritti associati, per iscriversi alla ML occorrerà inviare all'indirizzo postasito@associazionemagistrati.it un messaggio di richiesta da un account "giustizia.it", indicando il proprio nominativo, dichiarando di essere iscritti all'ANM e comunicando il proprio indirizzo di posta elettronica da condividere nella lista.Un caro saluto a tutti e buon lavoro!

Roma, 9 gennaio 2008

Il Presidente Simone Luerti

-------------------------------------------

mercoledì 9 gennaio 2008

I DISPIACERI DELLA ANM ...

Giustizia: Dimissioni bocassini, Anm “Dispiaciuta”
9 gennaio 2008 alle 11:11 — Fonte: repubblica.it

L’Associazione nazionale magistrati esprime un profondo dispiacere per le dimissioni dal sindacato delle toghe del Pm di Milano, Ilda Boccassini.

“Ci dispiace molto — dichiara il presidente dell’Anm, Simone Luerti — ma è un dispiacere che resta un pò in sospeso, perché non conosciamo le motivazioni di questa scelta e speriamo che si possa ritornare su questa decisione”.
Il Pm Boccassini ha infatti inviato una lettera all’Associazione senza indicare le ragioni che l’hanno portata a lasciare il sindacato delle toghe, lettera arrivata nelle mani di Luerti dalla Giunta locale milanese ed oggi depositata a Roma presso la Segreteria nazionale.
Secondo quanto riportato stamane da ‘Il Corriere della Sera’, inoltre, il Pm Boccassini avrebbe anche deciso di revocare la propria domanda per il posto di procuratore aggiunto di Milano inoltrata al Csm.
La V Commissione dell’organo di autogoverno della Magistratura, qualche settimana fa, aveva indicato all’unanimità come nuovo procuratore aggiunto di Milano il Pm Francesco Greco, preferendolo così alla Boccassini, la quale, però, avrebbe avuto la possibilità di ottenere questa promozione per la copertura del prossimo posto vacante.
V. anche :

lunedì 7 gennaio 2008

Giustizia e informazione : ultima spiaggia di Bruno Tinti (da Unità 4 gennaio 2008)

Giustizia e informazione, ultima spiaggia
di Bruno Tinti
Intervengo volentieri nel dibattito aperto da Travaglio e proseguito dai colleghi Palamara e Ingroia.
Voglio affrontare un aspetto che riguarda uno dei pericoli più gravi per il nostro Paese: il controllo dell'informazione.
I casi dei giudici Forleo e De Magistris sono perfetti per spiegare quel chesta accadendo. Da moltissimo tempo (nel 1994 ci fu un'assai pubblicizzata indignazione per la fuga di notizie sull'invito a comparire notificato a Berlusconi mentre era a Napoli), a nessuno importa nulla del fatto che, da quel che si sa dei processi di cui parlano giornali e tv, vengano commessi molti reati; che chi forse li ha commessi aggredisca i giudici che lo processano; che queste aggressioni talvolta abbiano successo; che i giudici che fanno questi processi siano sottoposti a loro volta ad altri processi,penali e disciplinari.
Invece tutti si preoccupano che di queste cose, ohibò, si osi parlare, si scriva sui giornali (le tv in genere trascurano iltutto, impegnate come sono in programmi serissimi tipo Grande fratello);addirittura che si arrivi a mettere in scena i fatti, come ha fatto Annozero sul caso Forleo, rispettando il canovaccio, ma facendolo recitare da attori professionisti.
E va bene: se a nessuno frega niente dei possibili reati commessi dalla classe dirigente e dei relativi processi, allora parliamo di ciò che sembraessere davvero importante: le «fughe di notizie» e il dibattito che su queste notizie trafugate si svolge in alcune (poche) trasmissioni tv. Faccio un esempio del tutto inventato: circa 500 persone tra gli addetti ai lavori (magistrati e avvocati) sanno che cosa è un «leverage buy out». Quanti cittadini lo sanno? Mah, facciamo 5 mila. Queste 5.500 persone sanno dunque che, fino alla modifica dell'articolo 2358 del codice civile, l'acquisto di azioni di una società effettuato mediante prestiti o garanzie rilasciate dalla società stessa era proibito; e che adesso, invece, è consentito.
Immaginiamo che, nel corso di un procedimento penale, si scoprisse, magari da intercettazioni, che questa modifica era stata discussa da Berlusconi e/o Tremonti (la norma venne modificata quando c'erano loro) con uno o più imprenditori impegnati in scalate societarie e molto interessati a comprarsi alcune società facendosi fare da queste prestiti o garanzie, nel checonsiste appunto il leverage buy out.
E immaginiamo che i due altissimi esponenti della classe dirigente dessero il via libera a questi loro amici,garantendo che la legge si sarebbe fatta presto e bene, in modo da consentire loro questo acquisto che, con quelle modalità (le garanzie e i prestiti da parte della società che volevano comprarsi), non sarebbe stato lecito.
L'oggetto del processo penale sarebbe stato così tecnico che certamente non sarebbe stato compreso dalla quasi totalità dei cittadini; e,d'altra parte, il processo stesso sarebbe stato così lungo che una sentenza,anche solo di primo grado, sarebbe arrivata dopo molti anni dal fatto.
Ma si può davvero pensare che i cittadini non avessero il diritto di sapere,subito (forse di lì a qualche mese ci sarebbero state le elezioni), che ipiù alti esponenti del governo di allora facevano accordi clandestini(magari anche illeciti, ma questo l'avrebbero deciso i giudici) con amici loro, assicurando vantaggi a scapito dei concorrenti? Si può davvero pensare che la gestione privata del potere di legiferare attraverso il condizionamento del Parlamento da parte del Governo, sia circostanza che icittadini devono ignorare?
Ma questi cittadini come dovrebbero decidere se votare Tizio o Caio?
Sulla base dei cartelloni pubblicitari o degli spot televisivi (magari subliminali)?
Supponiamo poi che i giudici civili e penali che si fossero occupati del caso fossero stati aggrediti (si capisce, verbalmente), vilipesi,minacciati, alla fine allontanati da quel processo, proprio mentre ne stavano venendo a capo; e supponiamo anche che, sballottati da queste violenze provenienti da tutte le parti, questi giudici si fossero lasciati andare un po', avessero commesso qualche ingenuità, detto qualche parola di troppo, redatto provvedimenti suscettibili di critica.
Si può davvero pensare che questa guerra combattuta dalla classe dirigente (magari innocente tecnicamente) per non essere assoggettata al controllo di legalità(che non significa condanna, significa accertamento) avrebbe dovuto esserenascosta ai cittadini?
Si tratta di un esempio frutto della mia fantasia e della mia indignazione sul piano tecnico quando arrivò la riforma dell'articolo 2358 del codice civile.
Ma è evidente che, in un caso come questo, nessuno potrebbe dire chei cittadini se ne devono stare zitti e buoni, ignari di quel che succede,lasciando lavorare politici e magistrati e attendendo di leggere, dopo qualche anno, le sentenze dei giudici su un fatto di cui ovviamente non capirebbero più niente.
Un po' come i passeggeri di un treno che non si sadove va, né quando né se si fermerà, perché tutto è in mano al capotreno enessun altro deve metterci bocca.
Allora, è tanto difficile da capire che solo l'informazione più completa e approfondita ci consente di vivere in un Paese democratico? Che la democrazia non consiste nel sistema di elezione dei governanti (se è per questo noi ormai siamo in una situazione di conclamata oligarchia), ma nell'assoggettamento di tutti i cittadini - governanti e governati - allo Stato di diritto?
Che il controllo sulla effettività di questa fondamentale,irrinunciabile regola di democrazia può avvenire solo attraverso l'informazione?
Scendiamo ai casi concreti. Ma davvero non vogliamo sapere che Fazio e Fiorani concordavano al telefono la scalata di Antonveneta?
Cioè: noi non vogliamo sapere prima del tempo (e quale? Dopo il primo grado, dopo l'appello, dopo la Cassazione, magari dopo il rinvio in appello e la nuova Cassazione, magari dopo la sentenza per prescrizione?) che il Governatore della Banca d'Italia appoggiava un banchiere (piccolo piccolo, un banchiere del quartierino) nell'acquisto di un grande istituto bancario con modalità particolarmente pittoresche?
Davvero non vogliamo sapere che Governatore e banchiere colloquiavano con esponenti del governo e della maggioranza di centrodestra, mentre l'assicuratore Consorte concertava con deputati e senatori Ds l'acquisto di Bnl da parte di Unipol? E perché il presidente di un partito dell'allora opposizione voleva «sognare» (in compagnia di chi?) se un furbetto del quartierino si comprava una banca? Sarà tutto regolare;ma che i vertici dei due maggiori partiti italiani abbiano interessi di questa rilevanza in operazioni finanziarie apparentemente fatte da privati,il cittadino lo deve sapere. Davvero non vogliamo sapere che Berlusconi raccomanda al Saccà qualche signorina nella speranza di ribaltare così (grazie a una signorina!) la maggioranza che sostiene il governo avversario?Che c'entra il processo penale o civile con questi fatti?
Per meglio dire,certo che c'entra: si accerterà se questi fatti sono o no penalmenterilevanti; ma questo è un fatto tecnico, del tutto irrilevante per i cittadini.
Tutte queste cose, penalmente rilevanti o no (si vedrà), devono dunque interessare i cittadini; perché i cittadini hanno il diritto di sapere chili governa, chi sta guidando il treno e dove li vuole portare.
Se non lo sanno, se tutti glielo vogliono tenere nascosto, se i capotreni di ogni fazione strepitano quando non riescono a tenerglielo nascosto e congiurano per stabilire nuove regole che vietino ai vari addetti al treno di raccontare quel che hanno scoperto in sala macchine (anche quando non c'è più segreto di indagine), questo non è più un treno: è un carro bestiame.
Ma c'è pure di peggio. I giudici hanno sbagliato, forse, magari, chissà.Facciamo finta che la Forleo e De Magistris abbiano parlato troppo ed emessoprovvedimenti criticabili. Quindi che facciamo, li processiamo disciplinarmente e li trasferiamo? Chissà quante sentenze sbagliate o criticabili la Cassazione riforma ogni giorno: li processiamo tutti, igiudici che le avevano emesse?
Ovviamente no: riformiamo le loro sentenze,magari scriviamo qualche inciso sulla loro eventuale impreparazione giuridica; ma gestiamo il processo «nel sistema». Non ci pensiamo nemmeno aprocessare, a delegittimare, a trasferire i magistrati. E i cittadini non lo debbono sapere che, invece, alla Forleo e a De Magistris stanno succedendo proprio queste cose? E, se la risposta è «no, i cittadini non lo devonosapere» perché il processo si fa nelle aule giudiziarie o del Csm e alla fine vi sarà una sentenza emessa secondo giustizia, allora che facciamo alla Vacca? Per chi se lo è dimenticato, Letizia Vacca sarebbe quella componente del Csm che ha svolto funzioni di indagine nella I Commissione che si occupadi Forleo e De Magistris: una via di mezzo tra il Pm e il vecchio Giudice Istruttore. Eppure, mentre faceva le indagini, andava a spiegare ai giornalie alle tv che i due sono «cattivi giudici» e vanno cacciati al più presto;anzi altri come loro saranno presto stanati e «colpiti». Questa non è una inammissibile, gravissima, vergognosa, delegittimante fuga di notizie e anticipazione di giudizio?Nel Paese che ha reso lecito il leverage buy out; nel Paese che punisce il senegalese che vende il cd contraffatto con pene da 1 a 6 anni di reclusione(arresto in flagranza, intercettazioni telefoniche e circuito processuale privilegiato) e il falsificatore di bilanci di una società quotata con peneda 15 giorni a 4 anni (sempreché il falso non sia troppo piccolo: deve superare l'1% del patrimonio della società almeno, se no, scherziamo?, non è reato); nel Paese in cui i partiti ingeriscono nell'acquisto delle banche e i politici tentano di comprarsi altri politici; nel Paese in cui le Vacca anticipano le sentenze di condanna del Csm contro i giudici che stanno processando; nel Paese in cui il Csm non dice una parola per condannare questo comportamento di uno dei suoi componenti e prosegue nel giudizio come se nulla fosse successo; ecco, in un Paese così l'Associazione nazionale magistrati che fa? Depreca le presunte «fughe di notizie» su questa o quell'inchiesta sui giornali e in tv e auspica che non vi siacontrapposizione tra le istituzioni.
Ma dove vivete, cari colleghi dell'Anm? Ma non ve la ricordate la favola del lupo e dell'agnello? Ma non lo vedete che le Forleo, i De Magistris, le persone come noi stanno a valle e i lupi -o quelli che si cerca di capire se sono lupi - stanno a monte e continuano ad accusarci di intorbidargli l'acqua? Ma soprattutto: non vi rendete conto che l'Anm non è un istituzione pubblica, ma il sindacato dei giudici?
Lo sapete o no che il sindacato tutela i suoi iscritti?
Purtroppo, sempre più spesso, l'Anm sembra essere intesa come l'anticamera del Csm: è il Csm infatti che deve osservare imparzialità, autonomia, indipendenza, e anche riservatezza certo; e, a parte la Vacca, mi consta che lo faccia. Ma l'Anm,che ha indetto quattro scioperi sotto il governo Berlusconi, ora che governa l'Unione si mette a stigmatizzare, auspicare, precisare e tutto quell'armamentario ipocrita che ci indigna (questo sì che indigna) quando lo sentiamo in bocca ai politici?Negli anni 30 un certo Martin Niemoller scrisse una bellissima poesia:
«Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio: non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, io rimasi in silenzio:non ero un socialdemocratico. Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce: non ero un sindacalista. Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la sua voce».
Ma davvero così pochi si rendono conto che siamo all'ultima spiaggia?
L'Unità, 4 gennaio 2008

giovedì 3 gennaio 2008

La realtà (virtuale) nei siti delle correnti



Provare per credere ,e per verificare il grado di informazione presente nei "siti" delle correnti ,e ancor peggio nelle "mailing list" di corrente un pò dappertutto.
Non parliamo poi dell'aggiornamento (prossimo purtroppo davvero allo zero) e del tentativo di discutere temi sindacali (qualcuno lo fa solo in via riservata nelle mailing list ,ma non nel proprio sito ,e qualcun altro ,proprio la corrente di maggioranza ha una parte del sito "essere sindacato" eloquentemente ancora "in costruzione" .
Qualcuno si avvale di web designer e propone un modello elitario nella grafica così bello quanto scarsissimamente funzionale per gli utenti normali.. il che è tutto dire .
Comunque le elezioni del CDC non ci sono mai state e ,al massimo , se ne parla nelle mailing list "riservate",ovviamente senza esprimere dissensi rispetto alla linea "ufficiale" .
Lì solo si ammette qualche errore ,si suggerisce qualche correzione di tiro (qualcuno suggerisce qualcuno propone ..inseriamo gli indipendenti ..classica foglia di fico,tanto poi conteranno solo i signori dei consensi organizzati pratici delle "stanze dei bottoni" ) .
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo ,non c'è scritto da nessuna parte che le "correnti " in magistratura debbano esistere così come sono (autentici comitati elettorali in servizio permanente effettivo,aggregatori di consenso che si assomigliano tutti ) ,che il meccanismo elettorale ,la collocazione "ideale" (progressisti v. conservatori,o peggio "destra" v. "sinistra" ) siano le uniche realtà immutabili.
Così come sono le "correnti" sono prigioniere della propria autoreferenzialità ,che le induce inevitabilmente a vedere il mondo ,la società,l'organizzazione giudiziaria come una specie di risiko ,uno scenario con pedine e pedoni nel quale contano solo i giocatori ,e tra i giocatori a volte proprio i più spregiudicati . Una partita continua.
A nessuno viene in mente che la mentalità è il primo punto di un vero cambiamento ,che solo una autentica considerazione del servizio -anzichè la ricerca di strategie di potere e di conservazione del potere-può portare al cambiamento che la maggioranza dei magistrati (e dei cittadini) vorrebbe.
Un cambiamento nel segno della legalità e della giustizia ,praticate ,e non solo conclamate.
Il non discutere è un pessimo segnale .
Il non voler discutere affatto ,proprio noi che nel e del contraddittorio dovremmo quotidianamente vivere è ancora peggio.
E peggio ancora sarebbe il "far finta" di discutere e di far discutere ,perchè tanto i veri meccanismi non saranno mai cambiati.
Nel declino generalizzato del Paese anche l'ANM fa la sua parte e ,putroppo, somiglia molto all'orchestrina del Titanic .



mercoledì 2 gennaio 2008

La giustizia di Barbablu ? Beppe Grillo cita Bruno Tinti


La giustizia di Barbablù
di Beppe Grillo

Per chi vuole liberarsi della moglie per una ventenne dell’Est o per ereditare l’appartamento la legge italiana offre grandi possibilità.Il giudice Bruno Tinti nel libro: “Toghe Rotte” fornisce preziosi ragguagli agli aspiranti uxoricidi.Per prima cosa bisogna disporre di una moglie e di un buon motivo per sopprimerla, quindi la si può eliminare. Chi vuole potrà dar sfogo al suo sadismo in quanto non considerato una seria aggravante.Dopo l’omicidio bisogna correre subito dai Carabinieri per autodenunciarsi, spiegare i dettagli del delitto e far rintracciare gli strumenti utilizzati per compierlo (punteruolo, pistola, martello, ecc.). Non sussistono più i pericoli di inquinamento delle prove e di fuga. L’arresto non è perciò necessario. In attesa del processo si potrà continuare la propria normale attività.Per l’uxoricidio è previsto l’ergastolo, ma il marito può dimostrare di “aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui” (art. 62 n.2), ad esempio le corna, essere disponibile a risarcire i parenti della ex moglie (art. 62 n.6) e chiedere il rito abbreviato.


Il giudice, dotato di calcolatrice, comincia a detrarre:- la pena, senza le aggravanti, non è più l’ergastolo, ma il carcere per 24 anni- meno un terzo, art. 62 n.2 (stato d’ira) = 16 anni- meno un terzo, art. 62 n.6 (risarcimento) = 11,33 anni periodico- meno un terzo, art. 62 bis, attenuanti generiche (concesse a tutti) = 7,5 anni- meno un terzo per il rito abbreviato = 5 anni- se l’omicidio è avvenuto prima del maggio 2006 sono scontati tre anni per l’indulto ceppalonico = 2 anni con la sospensione condizionale della pena.Nel caso la Giustizia sia particolarmente severa con una condanna a tre anni, il marito verrebbe affidato ai servizi sociali.L’uxoricidio conviene. Un libro, la sponsorizzazione di una linea intimo maschile e una serata da Vespa. Si può raggiungere la tranquillità economica. In Italia le mogli sono utili anche da morte.Ps: L’iter giudiziario è valido anche per i mariti.
Bruno Tinti a Anno Zero Clicca il video
-------------------------------

Che fine ha fatto la mailing list della ANM ?

http://magistraticontrocorrente.blogspot.com/search/label/Una%20unica%20mailing%20list%20per%20l%27ANM


Qualche tempo fa siamo stati contenti ,e correttamente ne abbiamo dato atto, della istituzione della mailing list unitaria della ANM ,che avrebbe consentito il superamento delle mailing list "chiuse" di corrente per tradursi in un confronto unico e aperto a tutti i magistrati italiani .

Siamo ad inizio 2008 e niente novità ..

Abbiamo deciso di giudicare la nuova giunta alla luce dei fatti ,e questo è un primo fatto che non si vede ,e quindi il nostro giudizio non può che essere negativo .
Ci dispiace ,ma è così .. un ritardo in questa iniziativa giusta e così importante non solo non ha senso ma ci preoccupa molto .
Ma come ? Appena qualche giorno fa la nuova giunta ha chiesto disponibilità a partecipare ai nuovi gruppi di lavoro della ANM ,e nessuno si rende conto che proprio la ml nazionale può suddividersi per argomenti proprio ricalcando la composizione dei gruppi di lavoro ?

Ma qualcuno si rende conto che è inutile vagheggiare l'uso di strumenti telematici come le notifiche via posta elettronica e il processo telematico (progetti ovviamente molto strombazzati ma poco utilizzati in concreto e per nulla sperimentati ..oggetto solo di appalti,appalti,appalti mentre l'informatica va avanti A COSTO ZERO) senza iniziare a muoversi ?

Ci si rende conto o no che il mondo è cambiato ,e che senza una unica mailng list e senza un confronto continuo e costante tra tutti,proprio tutti i magistrati italiani -fuori dagli steccati delle "correnti" tutto va a rotoli ?

Nessuno risponde ,e a noi tocca da qui sollecitare ,insistere e criticare .. scomodamente ,ma qualcuno deve farlo ..è la democrazia ragazzi !!
Quella vera ,non quella di facciata.