mercoledì 31 ottobre 2007

Senza se e senza ma..la sicurezza presa sul serio



In occasione di ogni eclatante fatto di cronaca nera i temi della sicurezza dei cittadini e della efficienza della giustizia tornano sulle pagine dei quotidiani come nuove emergenze.
Come di consueto, è facilmente rilevabile la tendenza ad affrontare tali temi con atteggiamenti più emotivi che razionali, mentre vengono del tutto ignorate, sia le interrelazioni dei vari fenomeni, che la loro rilevanza sulla qualità della vita dei cittadini e sugli elevati costi sociali correlati.

Negli ultimi anni il numero di reati denunciati continua ad oscillare tra i 2.200.000 e i 2.500.000 e l’aumento dei dati numerici, talora alternato da un andamento decrescente, non appare direttamente influenzato né dai provvedimenti di clemenza, né da quelli tesi ad inasprire i mezzi idonei a reprimere la criminalità.

Dalle periodiche rilevazioni statistiche emerge infatti come, in taluni periodi, pur aumentando il numero complessivo dei reati, i cittadini percepiscano una stabilità o una diminuzione della criminalità, mentre in altri, pur diminuendo il numero degli episodi criminosi denunciati aumenta la paura.

L'informazione e i media sono fondamentali per determinare il clima di sicurezza nel Paese e appare certo che, più che i dati oggettivi, sono le scelte dei mezzi di comunicazione più o meno insistenti (e talvolta morbosi) su taluni fenomeni ad orientare la percezione collettiva.

L'opinione pubblica è sufficientemente informata delle questioni e delle riforme concernenti la giustizia specie se afferenti a procedimenti nei confronti di imputati eccellenti; è altresì in grado di cogliere la schizofrenia del legislatore nell’alternare scelte del tutto incoerenti in un arco di tempo abbastanza breve; nel 2003 è stato concesso il cosiddetto indultino; nel 2005 è stata approvata la legge ex Cirielli e nel 2006 il più ampio e incondizionato indulto dell’epoca repubblicana: il primo e l’ultimo volti a un automatico svuotamento degli istituti penitenziari senza alcun serio intervento di supporto, sostegno e controllo delle persone scarcerate; e quella intermedia finalizzata ad escludere l'espiazione della pena fuori dal carcere per i soggetti recidivi nel delitto, senza peraltro alcuna seria analisi progettuale preliminare e senza alcun serio studio sugli effetti della loro attuazione concreta.

Ma l’opinione pubblica non è stata mai seriamente posta nelle condizioni di conoscere quel che accade "dopo" , ossia dopo il passaggio in giudicato delle sentenze.

Con riferimento alla microcriminalità, ossia a quel fenomeno diverso dalla criminalità organizzata e terroristica, cui invero si continua ad assicurare un trattamento di particolare rigore, ormai il sistema penale si fonda sulla applicazione della carcerazione preventiva quale unica sanzione, talvolta neppure anticipatoria di pene definitive, che non saranno mai scontate.

Il beneficio della sospensione condizionale della pena per i reati puniti con la pena non superiore a due anni e le pene alternative rendono di fatto priva di efficacia intimidatoria la sanzione penale che in genere viene solo minacciata e assai di rado (e comunque mai tempestivamente) applicata.

In poco meno di trent’anni una serie di interventi legislativi, effettuati con l’intento di eliminare le asprezze sanzionatorie del codice Rocco, hanno privato di qualsiasi rigore il sistema penale, fino alla quasi completa disgregazione.

Sono stati gradualmente trasferiti al giudice vari poteri profetici o divinatori, attribuendogli il compito di prognosticare la pericolosità del condannato ai fini dell'applicazione della sospensione condizionale, delle sanzioni sostitutive, dell'affidamento in prova, della semilibertà o della liberazione condizionale, senza mai fissare alcun parametro sicuro per definire la prognosi e gli elementi su cui fondarla e creando vistose storture nell'area delle misure sospensive poste talvolta in rotta di potenziale collisione tra loro.

Così l'esigenza di garanzia e di obiettività, ossia l’istanza di omogeneità della risposta punitiva, astrattamente demandata al prudente apprezzamento del giudice, risulta ormai abbandonata alla libera discrezionalità dei singoli magistrati in gran parte ispirati da una sconsiderata benevolenza fine a se stessa.
È proprio l’osservazione dei dati statistici sulla percentuale di pene ineseguibili che consente di lanciare un’accusa specifica ai vari benefici previsti dall’ordinamento penitenziario (cosiddetta legge Gozzini), ed ancor prima all’istituto della sospensione condizionale della pena, che da strumento di prevenzione particolare, si è trasformato in semplice garanzia di impunità, avente un’efficacia di prevenzione talmente risibile, da rendere addirittura più efficace - sul piano della prevenzione degli illeciti - la sanzione amministrativa, che - com’è noto - non può essere condizionalmente sospesa.

Un processo penale per furto o per rapina o per estorsione o per violenza sessuale (reati per i quali con attenuanti e diminuenti per la scelta di riti alternativi è consentito contenere la pena detentiva entro i due anni) finisce infatti con l’avere un’efficacia intimidatrice inferiore rispetto alle implacabili procedure di esazione delle sanzioni amministrative per violazioni del codice stradale.

Ma se la sospensione condizionale non è concedibile perché la pena è superiore a due anni ecco che può farsi ricorso al altri strumenti che consentono comunque al condannato di restare in libertà.

Se infatti la pena non supera i tre anni e addirittura i sei per i tossicodipendenti (purchè abbiano in corso uno di quei programmi di recupero che i Ser.T. non negano a nessuno) la pena viene sospesa fino alla decisione del tribunale di sorveglianza sulla applicazione delle misure alternative alla detenzione e, più precisamente, come avviene nella maggior parte dei casi, dell’affidamento al servizio sociale; misura che per i tossicodipendenti che non abbiano la possibilità di entrare in comunità, in genere si esaurisce nella frequentazione di un Ser.T. per l’assunzione di metadone, per l’espletamento di colloqui settimanali e per il controllo periodico dei metaboliti urinari.

Resta tuttora inspiegabile come lo stesso legislatore del dicembre 2005, che con la legge ex Cirielli aveva inteso limitare i casi di accesso alle misure alternative per i recidivi, abbia elevato da quattro a sei anni il limite di pena che consente di sospendere (fino alla concessione delle misure alternative) l’esecuzione delle condanne per i tossicodipendenti.

Una recente analisi svolta dal Casellario Giudiziale Centrale del Ministero della Giustizia ha evidenziato che poco meno del 50% delle condanne risultano con pena detentiva non eseguibile per sospensione condizionale della pena o per altre cause.

Così oggi nei tribunali - tranne che per i maxi-processi riguardanti fatti di grossa criminalità - sembrano demandate ai giudici delle funzioni analoghe a quelle delle commissioni di indagine nelle quali si accertano i fatti unicamente per acquisirne elementi di conoscenza e di valutazione statistico-sociale, visto che, una volta accertata la responsabilità dell’imputato, nella stragrande maggioranza dei casi tutto si risolve con un mero avvertimento o con un “se e quando ti riprenderò, forse la pagherai ...”.

Ma anche in tale eventualità la mano del legislatore non sarà mai ferma, nè sicura, visto che nel nostro ordinamento un anno di detenzione non supera in genere i sette mesi e mezzo (ogni anno viene infatti ridotto di tre mesi per liberazione anticipata e di quarantacinque giorni per permessi premio).

Se poi si considera che a fronte di pene pecuniarie inflitte lo Stato riesce a riscuotere solo il 2,46%, la serietà dell’attuale sistema sanzionatorio si rivela suscettibile di immediata percezione.

Tutta una serie di fatti privi di effettivo allarme sociale andrebbero depenalizzati.

Il carcere non può che rappresentare l’estrema ratio per quei fatti odiosi per i quali qualsiasi altra sanzione si riveli inutile.

Ma non è serio minacciare delle pene (siano esse detentive o pecuniarie o di altro genere) che non saranno mai irrogate, vuoi per la ingenuità del legislatore, vuoi per la benevolenza dei giudici, che ispirati da inesplicabile garantismo, appaiono sempre disposti a definire con condanne irrisorie i processi riguardanti fatti gravi ed efferati.

È ovvio che il problema della giustizia non costituisce una priorità per il nostro legislatore; ma anche i giudici non sono del tutto esenti da colpe, visto che tra gli interessi dei cittadini che subiscono reati più o meno gravi privilegiano sempre e comunque quel “favor rei” che suona sempre più come un invito a delinquere sempre più liberamente.

La priorità della sicurezza


Riteniamo che la sicurezza sia ormai una vera e propria emergenza sociale e una priorità ineludibile ,e che le misure legislative che occorrono debbano favorire in ogni modo le esigenze di garanzia della vita stessa dei cittadini .
La sicurezza non ha colore ,perchè è prima di tutto un diritto,di tutti.

Siamo perciò convinti che al di là dei facili e vuoti sociologismi ("non è col carcere che si risolvono i problemi..le colpe sono altre") che hanno caratterizzato ,purtroppo, in questi anni ogni approccio al problema ,ora sia arrivato il momento di prendere finalmente quelle misure concrete ed urgentissime che servono, sia sul piano amministrativo che sul piano penale e processuale penale .



Non si può più eludere un problema che è diventato evidente ,ed immaginiamo perciò una urgente iniziativa bipartizan e soluzioni "reali" che tengano conto delle indicazioni di chi vive ,ogni giorno, il problema concretamente e non provenienti da " tecnici" che non hanno nessuna esperienza diretta o si muovono solo su basi astratte ,e che non conoscendo bene i problemi nella loro realtà magari predispongono soluzioni generiche e insufficienti.


Potenziare il rito immediato e il rito direttissimo ,prevedere immediate pene alternative alla detenzione e insieme detenzione certa e immediata per i colpevoli dei delitti più gravi ,potenziare un sistema informatico di gestione dei precedenti giudiziari che si è rivelato ,nei fatti, del tutto carente oggi si può ,ed è il minimo che il cittadino ,ogni cittadino ,deve pretendere dallo Stato,uscendo una buona volta dai formalismi barocchi che hanno caratterizzato la legislazione dell'ultimo decennio rendendo più difficile non solo la certezza della pena ,ma rendendo incerto e fragile il processo ,persino quello nei casi di flagranza di reato .


Ora è in gioco il diritto delle vittime di non essere abbandonate a violenza cieca e brutale e di essere difese da un sistema giudiziario efficace.E' in gioco la credibilità stessa non solo di un sistema giudiziario ,ma dello Stato nel suo insieme.Queste sono tematiche sulle quali la magistratura non può tirarsi indietro nè rifugiarsi nella retorica delle costanti priorità che devono avere i famosi crimini "dei colletti bianchi" .



C'è anche l'"altra" criminalità ,quella violenta , organizzata e diffusa sul territorio ,che colpisce e che non ha colore e nemmeno scrupoli.


Servono risposte ,positive e organizzative. E i "se" e i "ma" ,per una volta lasciamoli da parte.
















La leva calcistica dell'ANM

A pochi giorni dalle elezioni per il rinnovo del “parlamentino” dell’A.N.M. i leaders associativi raccolgono tra gli uomini politici ironici attestati di “ritrovato equilibrio associativo” in ipotetica alternativa ad un possibile “assorbimento nel sistema di potere” e manifestano un certo fastidio, non tanto nei confronti dei cosiddetti “blogghisti” che invitano pubblicamente i colleghi all’astensione, quanto nei confronti dei giovani rampanti cooptati dalle singole correnti, lanciati verso una gloriosa carriera associativa (nella prospettiva di una brillante carriera giudiziaria), i quali non fanno mistero alcuno di preferire il confronto calcistico a quello dialettico sui temi della giustizia.

Non si parla più di programmi, né di prospettive riformatrici per il miglioramento del servizio reso ai cittadini, ma più semplicemente di incontri e di tornei di calcio e calcetto, nella ferma convinzione che un’abile punta sia da sola in grado di mettere a segno punti preziosi per battere gli avversari, ormai privi dei vecchi leaders che per decenni hanno calcato la scena politica associativa e che oggi hanno deciso di ritirarsi non già a vita privata, ma a godersi il frutto delle lunghe militanze correntizie, limitandosi ormai a dirigere i vari posti direttivi conquistati più con l’attività associativa, che con quella giudiziaria.

Le ultime cariatidi associative rimaste in lista non bastano a colmare il vuoto lasciato dai veri professionisti della politica sinceramente rimpianti dagli attuali vertici associativi.

Nei vivai "calcistici" dell’A.N.M. tuttavia il fermento agonistico prevale sulle idee ed il reclutamento delle ultime leve non può più prescindere dal contemporaneo inseguimento della palla e del consenso, ormai inscindibilmente legati tra loro.


A tutti ricordiamo comunque la bella canzone di Francesco De Gregori ("La leva calcistica del 1968" ) :


"..non aver paura di sbagliare un calcio di rigore ..

non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore ...

un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia".

Politica ,democrazia e potere ,S.Racheli su "Eguale per tutti"


Stefano Racheli su "Eguale per tutti" ,Politica ,democrazia e conquista del potere ..
condividiamo tutte le sue argomentazioni e sosteniamo convinti la scelta astensionista ..



Le proposte del "pacchetto sicurezza"






Ecco i contenuti in sintesi dei Disegni di legge approvati ieri dal Consiglio dei Ministri .


FALSO IN BILANCIO. La pena è elevata fino a quattro anni (prima erano due) e vengono cancellati i commi che escludono la punibilità se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile il quadro societario. In caso di società quotate in Borsa, la reclusione passa da un massimo di tre a sei anni.


REATO IMPIEGARE MINORI IN ACCATTONAGGIO. Introdotto il nuovo reato: l'impiego di minori nell'accattonaggio, punita con la reclusione fino a 3 anni. Delineate anche due nuove pene accessorie: la perdita della potestà del genitore nel caso in cui i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù, tratta, siano commessi rispettivamente dal genitore o dal tutore.


POTERI AI SINDACI. Il DDL estende anche ai pericoli per la sicurezza urbana la facoltà del sindaco di adottare provvedimenti urgenti, oggi prevista solo per gravi pericoli all'incolumità pubblica. Si rafforza inoltre la collaborazione tra sindaco e prefetto. Il primo comunica l'adozione di provvedimenti che riguardano la sicurezza al prefetto, che può intervenire con tutti gli strumenti necessari.


POTERE ESPULSIONE AI PREFETTI. Si attribuisce al Prefetto il potere di allontanamento, dal territorio nazionale, di cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza.

L'allontanamento resta di esclusiva competenza del ministro solo per chi risiede in Italia da oltre dieci anni o per i minorenni, e per i motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. La violazione del divieto di reingresso viene trasformata da contravvenzione in delitto e punita con la reclusione fino a tre anni.


TIFOSI VIOLENTI. Si prevede che chiunque, nei luoghi in cui si svolgono le partite venga trovato in possesso di razzi, bengala, petardi e bastoni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro.


UBRIACHI ALLA GUIDA. Chiunque al volante sotto l'effetto di alcol o droghe provoca un omicidio colposo è punito con la reclusione da tre a 10 anni (oggi ci sono pene da uno a cinque anni). Nel caso di condanna per omicidio colposo o lesioni colpose a più persone, poi, "è sempre disposta la confisca del veicolo salvo che appartenga a persona estranea al reato".


ADESCAMENTO DI MINORI SU INTERNET. La reclusione da uno a tre anni è prevista per chi, "allo scopo di sedurre, abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni 16", intrattiene con lui, anche attraverso la Rete internet o altri mezzi di comunicazione, una relazione "tale da carpire la fiducia del minore". Pene fino a tre anni sono previste anche per chi si avvale di un minore di 14 anni per mendicare oppure permette che il minore mendichi.


SOSPENSIONE PENA PER REATI GRAVI. Per i reati che provocano allarme sociale (omicidio, rapina, estorsione, incendio boschivo, violenza sessuale, ecc.) viene esclusa la possibilità di sospensione dell'esecuzione della pena, al fine di consentire al condannato la presentazione di una istanza di misura alternativa alla detenzione.


MISURE CAUTELARI. Per tutti i reati per i quali è oggi previsto l'arresto in flagranza, si prevede la possibilità di applicare misure cautelari se c'e un pericolo concreto e attuale della loro commissione, anche se si procede per altro titolo di reato. Per le fattispecie più gravi (fra questi omicidio, rapina, violenza sessuale aggravata, furto in appartamento, incendio boschivo, traffico di ingenti quantità di rifiuti), si prevede l'applicazione della sola misura di custodia in carcere, salvo che emerga l'insussistenza di esigenze cautelari.


CONTRAFFAZIONE. Previsto l'inasprimento delle pene per la contraffazione, con specifica aggravante per chi falsifica ingenti quantità di merci e a tutela del made in Italy. (emendamento al Ddl Bersani).


BENI MAFIOSI. Possibilità di aggredire il patrimonio mafioso anche in caso di morte del soggetto a cui il bene è stato confiscato. Viene inoltre introdotta una reale tutela per gli imprenditori e le imprese sotto il ricatto della mafia che denunciano l'interferenza della criminalità organizzata.


BANCA DATI DEL DNA. Un disegno di legge apposito istituisce poi presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza un archivio in cui confluiranno i profili del Dna, che saranno conservati "per 40 anni dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento".


VIOLENZA FAMILIARE SU EXTRACOMUNITARIE. Estendendo il principio già previsto nell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione, si prevede che le donne straniere che denunciano violenze familiari possano ricevere un permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria.


PRESCRIZIONE. Riscritta la legge cosiddetta ex Cirielli. Il tempo della prescrizione viene calcolato con un riferimento esclusivo alla pena massima prevista dal codice, aumentata della metà. I delitti si prescrivono in un tempo comunque non inferiore a sei anni. Quanto ai delitti di maggiore gravità, è previsto un termine massimo per cui essi si prescrivono dopo 30 anni. I responsabili di delitti puniti con l'ergastolo non beneficiano in alcun modo della prescrizione.


MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA. Prevista una maggior tutela alle vittime di maltrattamenti, inasprendo le pene, includendo fra le persone offese anche i conviventi, con un'aggravante specifica per chi commette reato a danno di un minore di 14 anni.

martedì 30 ottobre 2007

Andrea Camilleri "Il giudice nella letteratura"


Su


Un inedito straordinario di Andrea Camilleri sul giudice nella letteratura .

Sciopero unitario dei lavoratori della Giustizia il 31 ottobre..


Fpcgil ha indetto una manifestazione nazionale unitaria per mercoledì, 31 ottobre, a piazza Montecitorio ore 15.00.

La Giustizia italiana è spesso sulla stampa che denuncia il disservizio e la lentezza dei processi: poco risalto si dà alle politiche che hanno provocato questo stato di degrado, le esternalizzazioni e i tagli indiscriminati dell’Amministrazione di centro destra, che hanno peggiorato un quadro già drammatico; poco risalto si dà inoltre alla situazione dei lavoratori che da anni operano in carenza di organico, cattiva organizzazione e che sono gli unici del comparto stato a non aver effettuato le progressioni professionali”.

“La nuova Amministrazione, insieme con le OO.SS, ha presentato per la prima volta dopo molto tempo un progetto che mette in campo una seria riorganizzazione e modernizzazione della giustizia e permette al personale di ottenere la giusta progressione professionale. Il DDL sull’ufficio per il Processo e la riqualificazione del personale n. 2873 in discussione alla camera dei deputati contiene risorse che porteranno la giustizia ad essere più efficiente e moderna attraverso l’istituzione di un modello organizzativo che mette al centro il procedimento giudiziario – hanno proseguito - Inoltre il DDL prevede l’avvio del processo telematico, una politica di nuove assunzioni e la rimodulazione delle dotazioni organiche che permetterà contemporaneamente la stabilizzazione nei ruoli della giustizia di oltre 1500 precari e la riqualificazione del personale giudiziario”. “Il funzionamento della giustizia è uno degli elementi che determina il grado di coesione sociale di un paese, il servizio che viene reso negli uffici si configura per i cittadini come un diritto. Questo DDL tiene insieme il diritto alla giustizia dei cittadini italiani e il diritto dei lavoratori a migliori condizioni di lavoro e a vedere riconosciuta la propria progressione professionale – hanno concluso - Per questi motivi abbiamo indetto una manifestazione nazionale unitaria a sostegno del DDL 2873 con la seguente piattaforma: per la Riqualificazione e riorganizzazione del lavoro, per il riconoscimento professionale ed economico del personale della giustizia; per la valorizzazione del lavoro pubblico e una nuova politica degli organici; contro le esternalizzazioni per la stabilizzazione del precariato nella giustizia e la reinternalizzazione di tutti i servizi”.


Cesare Salvi sulla ANM




"Eguale per tutti" pubblica l'intervista al Giornale di Cesare Salvi (Sinistra Democratica) che afferma senza mezzi termini

" Questi magistrati (Forleo e De Magistris ndr) non sono difesi dalla loro associazione. ..Forse per un ritrovato equilibrio dell'A.N.M., o forse per l'assorbimento dell'A.N.M. nel sistema di potere.

Può essere materia di riflessione».


Per noi ,infatti, è materia di riflessione ,e non tanto solo per le questioni poste dai colleghi ,ma perchè ormai appare evidente la necessità di un vero ed autentico sindacato dei magistrati che sappia porsi non come interlocutore privilegiato elitario (ed esclusivo) su tutti i temi della giustizia ,ma come portatore di istanze collettive ,in grado di interloquire con la società civile e ,sopratutto , di proporre ,non più chiusa in se stessa ma aperta alla realtà che la circonda.Una ANM che sappia guardare al futuro ..

Teniamo aperto l'oblò della speranza di G.Corasaniti





Teniamo aperto l'oblò della speranza

, di Giuseppe Corasaniti (Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma)



“Essere giovani vuol dire tenere aperto l'oblò della speranza,

anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro”

(Bob Dylan).




C'è un solo motivo per cui i giovani magistrati non si lasceranno sedurre dalle sirene del giovanilismo ostentato (appena in tempo per le prossime scadenze elettorali), non si lasceranno ingannare dai ripetuti riferimenti a "superare la logica dell'anzianità" come se i problemi fossero solo di una magistratura governata da "vecchi".


E' vero, bisogna superare la logica della gerarchia-gerontocrazia che è tipica solo della magistratura italiana e che si traduce in una evidente crisi di efficienza.


Ma sono i metodi a essere vecchi e superati, e il consociativismo è il metodo peggiore.


Non bisogna confondere il merito con la negazione dell'esperienza, non bisogna sostituire a criteri oggettivi, selezioni basate solo sulle "attitudini" valutate in modo discrezionale a seconda del contesto e del momento e ovviamente partizioni e spartizioni "concordate".


Se non si è "in quota" non si fa carriera. Se si è "in quota" non si è isolati e lasciati soli.

Essere "in quota" serve sempre ,perchè manifesta un impegno "DOC" percepibile e funzionale al momento giusto.

Questo è il messaggio che da oltre un ventennio viene sempre dato ai "giudici ragazzini". E molti di quei giovani magistrati nel frattempo sono cresciuti, i ventenni e i trentenni di allora sono i quarantenni e i cinquantenni di oggi.

E perciò i giovani magistrati si sentono soli e disillusi.

Perciò è molto chiaro ai giovani magistrati che bisogna cambiare.E che alle belle parole debbono seguire i fatti.Essi sanno sempre distinguere e capire e non intendono – proprio perchè giovani – seguire le vecchie riconoscibilissime logiche del consociativismo e di spartizione politica, tanto più ingannevoli se ammantate da giovanilismo di maniera, funzionale ad attrarre il loro consenso.I giovani non perdonano chi li tradisce ,e fanno bene.Solo un rinnovamento autentico e non di facciata, solo una partecipazione vera e non ostentata, con il superamento dei costanti riti assembleari e di congresso fatti di formalità che ormai tendono a essere superate persino nella vita politica nazionale e locale a vantaggio dei movimenti e della società civile, che chiede a gran voce di tornare a "metodi" davvero democratici, oggi espressi dalla "rete" – che ci collega e ci fa dialogare – potrà riportare aria e luce indispensabili per far rifiorire le nostre speranze, che sono le speranze di tutti.


La scelta dell'astensione è una scelta spontanea che quasi tutti i nuovi movimenti all'interno dell'A.N.M. stanno maturando.


E' una scelta "plurale" maturata in contesti diversi e sentita come protesta spontanea dalla base.


Ovvio che si tratta di una scelta molto sofferta, ma è altrettanto ovvio che non abbiamo altro mezzo per promuovere una vera autoriforma dell'associazione.


Si tratta di comprenderne le ragioni, di capire che la base dei magistrati non accetta più scelte unilaterali, nelle quali è coinvolta solo in sede di ratifica successiva.Si tratta di capire, al di là delle scomposte reazioni, che bisogna riformare lo statuto dell'A.N.M., valorizzandone la componente sindacale e promuovendo una vita associativa nella quale tutti i magistrati si riconoscano spontaneamente, senza divisioni, con la sola logica dell'essere impegnati in un comune servizio, che valorizzi le differenze culturali, che riconosca il pluralismo delle idee (non quello delle stantie ideologie ), che premi la professionalità e valorizzi l'esperienza, anzi le esperienze delle quali si compone il nostro "essere" magistrati oggi.


Essere impegnati nel quotidiano, negli uffici, essere presenti, essere pronti ad accettare il confronto con la società civile, essere capaci di spiegare i problemi della giustizia (che non sono nostri e non possono essere solo addebitati alla nostra categoria), essere in grado di affrontare le sfide che ogni giorno ci pone il nostro mestiere.

Essere. Essere e non "avere".

Ecco la logica, parafrasando Erich Fromm, che vorremmo seguire.


Non ci interessa avere un ruolo individuale di potere, avere individualmente incarichi di prestigio e soprattutto di "ruolo", nel risiko infinito che è diventata la "carriera" dei magistrati italiani oggi.


Non ci interessa avere consenso, avere sempre e comunque riconosciuta una capacità di indirizzare pacchetti di voti e di promuovere questa o quella carriera "parallela" sotto diverse sigle.


Non ci interessa un dialogo apparente, fatto di assemblee dove si parla secondo il consueto schematismo, e il tempo a disposizione è ripartito.


La rete serve proprio a questo, ogni mailing list deve esprimere idee e non solo "emozioni" da condividere, magari spesso solo denigrando qualcuno o pavoneggiando il proprio impegno e il proprio blasone.


Non ci interessa essere "casta", perché non lo siamo e non vorremmo vedere caste piccole e grandi al nostro interno né situazioni di emarginazione inspiegabili per chi non ha manifestato fedeltà e appartenenza: siamo donne e uomini che vivono il quotidiano malessere degli uffici giudiziari, che esprimono un disagio proprio e che sentono il dovere di sacrificarsi umilmente, di sacrificare i propri spazi e tempi personali per dare un servizio migliore, o solo per non peggiorare la qualità e la quantità del lavoro giudiziario.


Non sappiamo ancora contarci e non vogliamo contarci, ma vogliamo "contare", vogliamo essere capaci di costruire un nuovo e diverso impegno associativo, che separi quello che è e deve essere l'istituzione (Consigli giudiziari e C.S.M.) dall'impegno sindacale nell'A.N.M.),che lo ripetiamo è doveroso in ogni categoria e che non può ridursi a un ruolo tra il politico e il mediatico che esprime posizioni verticistiche, neppure confrontate se non nelle stanze nelle camere dei bottoni.


La cooptazione non ci interessa, non ci interessa la "gestione" delle carriere altrui né la sola programmazione delle nostre, perché vogliamo rivendicare con forza una dignità che riteniamo spetti ad ogni magistrato, un rispetto profondo per la sua funzione che si esprime solo nell'indipendenza delle decisioni, piccole e grandi.


Nessun magistrato dovrebbe sentirsi solo.


Vogliamo essere, ed essere "controcorrente" , cioè contro la logica limitata e limitativa delle appartenenze, fatta di ruoli ostentati e posizioni interscambiabili che vorrebbero essere pluralismo, ma che si manifestano solo come reale e puro consociativismo.


Vogliamo soprattutto essere noi stessi, e non ci toccano le accuse gratuite di chi immagina la nostra iniziativa come disimpegno e non si accorge neppure delle nostre motivazioni, perchè non vuole – e forse non può neppure – dare risposte credibili alle nostre domande.


Vorremmo un dialogo autentico e "trasversale" che sia la base per tutti i percorsi di riforma e per ogni modello organizzativo che si propone.


Ed è sul dialogo che l'A.N.M. potrà ripartire.


Vorremmo coerenza, soprattutto coerenza tra impegni e comportamenti e trasparenza in ogni situazione associativa e istituzionale.


Lo impongono il principio di legalità al quale ci richiamiamo fortemente, il principio di eguaglianza al quale ci riferiamo convintamente e il nostro stesso senso della giustizia che ci accompagna.


Lo richiede il nostro essere "magistrati" e non solo "magistratura".


Persone autentiche, prima di tutto, impegnate e vive e attente a non limitarsi solo ai concetti e a evitare preconcetti.





lunedì 29 ottobre 2007

Cosa è un sindacato ..


"Per fare un lavoro sindacale, pur senza definirlo come lo definiva Di Vittorio "una missione", occorre avere una certa coscienza della propria funzione nella società, altrimenti il lavoro sindacale non si può fare." Luciano Lama (1992)

La parola "sindacato" non va di moda ..e si dice che l'ANM non può essere "solo" un sindacato ,e che non può ridursi alla rappresentanza degli interessi (economici) dei magistrati .
Ora ,a parte che a forza di "non essere" sindacato l'ANM vive una profondissima crisi di "identità" e si rinchiude in una sostanziale "assenza" sociale ,compensata con una "presenza" quanto mai assidua a livello politico e amministrativo (in nessun settore i sindacalisti fanno anche "gli amministratori delegati" ) e in un clima di campagna elettorale "permanente" che richiede consensi e si giustifica in funzione della necessità di avere e moltiplicare i consensi ,a livello locale e nazionale .
La nuova ANM ,non solo quella che "uscirà" dalle prossime consultazioni elettorali ,ma sopratutto quella "futura" richiede una coscienza piena degi molti aspetti critici di una funzione che non è mai stata compresa nè esercitata in pieno ,e che oggi è più che mai indispensabile proprio per non "lasciare soli" i magistrati e per fare comprendere meglio all'esterno le loro problematiche.
Ma ogni funzione sindacale è resa credibile da un regime di incompatibilità tra ruoli sindacali e ruoli amministrativi e politici ,dalla comprensione che occorre "stare vicino" a chi è rappresentato in una gestione autentica e rappresentanza di interessi "collettivi" e non nella sola difesa di interessi (pur legittimi) individuali o di gruppo .
La nuova ANM dovrà trasformarsi dalla "fabbrica del consenso" quale è (istituzione che si giustifica nella sola organizzazione di consensi organizzati e che si limita a rivendicare la rappresentanza dei consensi medesimi ) ad una associazione "nuova" nella quale tutti i magistrati (anche quelli "senza tessera" o che vogliono solo "essere" iscritti all'ANM senza schierarsi in nessuna "corrente" ) possano davvero riconoscersi e sentire vicina.



Dal pensiero … all’azione (di gioco) …

Nell’ambito dell’Associazione Nazionale Magistrati, così come in qualsiasi gruppo eterogeneo, la nascita delle correnti affonda le proprie origini in quel naturale e spontaneo desiderio di ritrovarsi, di dialogare e di fare gruppo con tutti coloro che all’interno di un sodalizio esprimono le stesse idee e gli stessi interessi culturali e politici.

Nessuno può contestare che qualsiasi magistrato che abbia sempre guardato alla "sinistra" come ad un unico polo di riferimento politico si è ritrovato quasi automaticamente nella corrente più marcatamente politicizzata della magistratura e, pur dopo la “caduta del muro” ed il progressivo superamento di talune ideologie, non ha allentato i propri legami ideologici con gli eredi di quelle forze politiche che hanno comunque continuato a collocarsi a sinistra sui banchi parlamentari.

Allo stesso modo una diversa formazione culturale ha spinto altri ad aggregarsi nelle correnti cosiddette "moderate" ed a rivolgere a gruppi politici altrettanto moderati le proprie simpatie.

Ma al progressivo superamento delle ideologie sono conseguiti da un canto un’attenzione sempre maggiore per gli interessi personali, piuttosto che per quelli collettivi, e dall’altro un profondo mutamento dei motivi che oggi determinano i più giovani colleghi ad aderire a questa o a quella corrente.

La forza aggregante dell’ideologia sembra ormai aver ceduto il passo alla forza aggregante di altri interessi molto meno nobili e sicuramente meno impegnativi.

Sembra incredibile, ma in una società in cui le idee non riescono più ad aggregare è la palla a farla da padrona.

Ruoli di terzini, di centravanti e di portieri soppiantano i vecchi incarichi che un tempo vedevano impegnati presidenti, segretari e tesorieri; e non si capisce se i calci dati al pallone siano un nuovo modo di far politica ovvero di relegare con maggiore concretezza la politica associativa al livello più infimo mai raggiunto dalle logiche di corrente: quello della punta degli scarpini...

domenica 28 ottobre 2007

Tempi moderni : Innovazione ,merito ,partecipazione (anche nella magistratura )

"Il mio sogno è che i miei quattro bambini potranno vivere un giorno
in una nazione dove non saranno giudicati dal colore della loro pelle
ma dal contenuto del loro carattere."
Martin Luther King


Per ora ovviamente niente di formale ,niente di formalizzato ,stiamo solo scambiandoci idee (ma è già molto, di questi tempi sono proprio le idee a scarseggiare ) .
Ovviamente ,tutti siamo d'accordo su una cosa : lungi da noi l'idea di formare un nuovo soggetto istituzionale ,ma chi ha scritto poi che le "correnti" debbano esser eterne ?
Non sono le ideologie (e anche le forme associative come i partiti) un qualcosa di ormai incomprensibile alla società civile ? E che rapporto c'è tra noi e la società civile ?
Per questo immaginiamo proposte che almeno sul piano dell'impegno comune potrebbero tradursi in meccanismi e garanzie per evitare valutazioni "politiche" (che riguardano tutti ,perchè tutti potremmo essere giudicati di "destra" o di "sinistra" a seconda dei punti di vista) o dalla sostanziale "soppressione " di merito e carriera a vantaggio di valutazioni discrezionali che rischiano di essere frutto ,in assenza di precise garanzie, purtroppo, di accordi di vertice .
Oggi nessuno ha più neppure la ragionevole aspettativa di rivestire in futuro un ruolo (direttivo o di legittimità o funzioni speciali ) se non passa prima attraverso le forche caudine correntizie ,ovviamente se avessimo un sindacato vero dovremmo batterci per un sistema valutativo certo e omogeneo che valorizzi merito ,competenza giuridica e professionalità ,impedendo carriere facili e facilissime a chi viene dai "soliti" posti (Corte Costituzionale e CSM) e possibili accordi spartitori (che naturalmente si giustificano sempre in nome del "pluralismo" ).
E' vero che sull'accesso ai posti di legittimità incide la riforma ,che appunto ha inteso introdurre un minimo di controllo esterno : ma un minimo comune denominatore potrebbe rinvenirsi nel proporre una serie di parametri cumulativi destinati a comporsi ,una media ponderata delle valutazioni acquisite ..altrimenti l'effetto è che ogni CSM (e fra poco ogni consiglio giudiziario) si sentirà libero di valutare Tizio o Caio o Sempronia a seconda dei desiderata o dei non desiderata dei potentati di turno e a seconda dei tasselli e delle caselle dei posti da comporre ,perciò o si ha la fortuna puramente e semplicemente di entrare in una casella "riservata" o "rimasta scoperta" si è fuori. Indipendenza è ,prima di tutto e sopra tutto non essere chiusi (o rinchiusi) nelle "caselle".
Corollario di questo principio sarebbe quello di rendere tutto il curriculum professionale del magistrato pubblico ,ci pare assolutamente utile sapere se tizio o caio sia uno specialista di certe materie,se è stato fuori ruolo e anche se è stato fuori ruolo se è stato direttamente "dipendente" di un ministro e quale ministro o di un sottosegretario e di quale sottosegretario ,e perchè , e anche se non sopratutto, se ha svolto un ruolo indipendente e imparziale "tecnico" oppure "politico" ,ma sopratutto se l'incarico corrisponda a una competenza autenticamente documentabile o se invece appare frutto di una evidente contiguità "politica" ..questo poi è il vero problema dei "fuori ruolo" argomento per molti tabù e per altri esercizio puro di demagogia . Anche quelli sono ruoli di servizio per le istituzioni,che non dovrebbero chiedere alcun significato o senso di appartenenza.
Come sempre "ragioniamo a voce alta" ,senza timori reverenziali e con il senso della realtà che non viene compromesso da un malinteso senso della "appartenenza" che oggi non incanta più nessuno.




" Le tentazioni del magistrato e l’antidoto della sobrietà" di Salvatore Prisco



Rileggiamo l'intevento di Salvatore Prisco ,pubblicato sul sito della associazione dei costituzionalisti ,che tra l'altro è una splendida rilettura del pensiero di Piero Calamandrei oggi più che mai attuale..

http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/anticipazioni/tentazioni_magistrato/index.html


Le tentazioni del magistrato e l’antidoto della sobrietà
di Salvatore Prisco

(Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli Federico II)
Trascrizione, con integrazioni, dell’intervento orale al Seminario italo-francese Deontologia giudiziaria. Il codice etico italiano alla prova dei primi dieci anni, Napoli, 4-5 novembre 2005, Istituto italiano per gli Studi filosofici, Palazzo Serra di Cassano.
Le citazioni poste in epigrafe ai paragrafi sono tratte da P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, nell’edizione Ponte alle Grazie, Milano, 1999, con introduzione di P. Barile, rispettivamente alle pagg. XXVIII, 165, 271, 236.


1. Non posso innanzitutto omettere di ringraziare gli enti che ci hanno offerto la possibilità di vivere la bella giornata odierna e quella di domani. Poiché peraltro gli enti rinviano in sostanza alle persone fisiche che li animano, questo significa esprimere gratitudine in primo luogo al preside Chieffi, al comitato studentesco e alla collega Daniela Bifulco, della consorella facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli (a Daniela, in verità, sia come perfetta regista dell’incontro, sia come autrice di un apporto alla discussione che è stato vivace e stimolante, come le è solito), quindi al giovane collega Epineuse, che rappresenta qui l’istituto francese che ha concorso all’organizzazione del convegno, al consigliere Patrono, al presidente Bruti Liberati e al consigliere Sabato dell’Associazione Nazionale Magistrati e - in ultimo, ma non quale ultimo - all’Istituto italiano per gli Studi filosofici, nostro magnifico ospite.
Noi napoletani siamo tanto abituati a collaborare con esso, ad assistere a manifestazioni che vi si tengono, ad animarne talora (come capita) i lavori, che a volte ci succede di sottovalutarne il prestigio. Anche gli abitanti di Roma, del resto, a furia di convivere col Vaticano hanno sviluppato un atteggiamento scettico e pragmatico, se non verso le cose divine, quantomeno verso coloro che le amministrano.
Avviene poi di apprendere dalla stampa che, come è accaduto proprio ieri, il Presidente della Repubblica celebri al Quirinale, in occasione degli anniversari di rispettiva fondazione, due benemerite istituzioni culturali partenopee, come l’Istituto di Studi storici intitolato a Benedetto Croce e appunto questo, in cui ci troviamo; e siamo allora immediatamente richiamati al senso di quanto importanti siano tali realtà per l’intero Paese. Io non ho mai capito come si possa coniugare l’eccellenza di Napoli in campi del genere con la sua quotidianità di vita, molte volte così difficile ed esasperante; ma questo è un altro discorso.
Avvocati e giudici giocano nel meccanismo della giustiziacome in pittura i colori complementari:che, proprio perché opposti, brillano nel loro ravvicinamento.

2. Sono avvocato, anche per lunga tradizione familiare ed in aggiunta professore universitario e pubblicista, nel senso che esercito attività giornalistica in modo non professionale, come una sorta di “milizia civile”.
Lo dico non per esibire medagliette al valore, ma solo per precisare che - se metto il naso in casa d’altri, cioè nelle valutazioni di tipo etico che i magistrati esprimono con riferimento alla loro medesima categoria (fatemi grazia che io non impieghi qui il termine, costituzionalmente corretto, di “ordine”: la parola sa di sacrale e invece in questo contesto voglio proprio riferirmi all’umiltà artigianale del corretto esercizio del “mestiere”, se così posso esprimermi) - non ignoro certo che, in ciascuna di quelle delle quali faccio parte pro quota, esistono problemi quanto al tono etico dei comportamenti professionali di chi ad esse appartiene. Ogni tanto in Italia si cambiano le regole formali al riguardo, soprattutto in ingresso: così è da poco accaduto per il modo di accesso alla professione legale, dopo uno scandalo per cui tutti i compiti in una certa sede giudiziaria - dove si svolgeva l’esame di abilitazione - erano uguali tra loro; così anche per i concorsi universitarî, per i quali pure abbiamo ora un nuovo sistema, di recentissima introduzione ed ancora non sperimentato in pratica, perché quello sinora vigente aveva fatto discutere in quanto a trasparenza delle procedure selettive e a sua idoneità nel merito ad individuare i candidati effettivamente migliori. Infine, gli stessi presupposti di accesso alla professione giornalistica stanno per essere mutati, nel senso di richiedere obbligatoriamente percorsi di studio più qualificati (laurea almeno breve, master) per l’ammissione all’esame.
Mi è però ben chiaro che le norme giuridiche da sole non funzionano, né bastano a garantire la selezione iniziale di quanti sono effettivamente preparati ed il loro successivo buon livello qualitativo, se anche in questi campi, come in ogni settore dell’attività umana organizzata, non emerge un’etica di ceto più elevata, più salda e generalmente (o almeno nella media) condivisa
Svolgo perciò qualche sommessa e rapida osservazione sulle riflessioni ascoltate oggi, senza volere essere io stesso un giudice dell’etica dei giudici e del modo in cui essi medesimi la problematizzano: non ne avrei alcun titolo e mi è ben presente - credetemi - il detto evangelico sulla pagliuzza nell’occhio altrui e la trave nel proprio.
Ritengo che sia molto positivo e responsabile che i magistrati italiani abbiano avviato una meditazione - interna, ma pubblica e condivisa con i portatori di pratiche contigue alle vostre e destinate a fondersi quotidianamente con esse - su un fenomeno che oggi è sempre più diffuso, come l’autonormazione di una categoria professionale, del quale quello deontologico è un aspetto importante.
Sul tema generale, un bel libro recente [G. De Minico, Regole - Comando e Consenso, Torino, 2004], scritto da una giovane e brillante collega che insegna nella mia stessa facoltà e per l’appunto tutto costruito sugli odierni processi di autonormazione categoriale, mostra come - in materia - dalla disciplina legislativa si tenda a trascorrere ad essa, provando infine a valutare le conseguenze sistemiche di tale trasformazione.
Per i magistrati, quello deontologico è anzi, probabilmente, l’unico legittimo spazio di normazione interna praticabile, attesa la riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, che però non dovrebbe di per se stessa escludere in assoluto l’ammissibilità di linee-guida comportamentali di fonte interna, sempreché (e solo se) di integrazione ulteriore e strettamente secundum legem dei precetti normativi.
Pur nei limiti di spazio di un intervento, vorrei anzitutto restare brevemente su questo punto.
La recente legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario (n. 105/2005) ha raccolto all’art. 1, lettera f, in tema di tipizzazione degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni, una risalente istanza della dottrina e della stessa magistratura [rinvio in merito a L. Chieffi, La Magistratura. Origine del modello costituzionale e prospettive di riforma, Napoli, 1988, 207 ss.].
Non può tacersi l’impressione complessiva che l’elenco di comportamenti da qualificare come illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni (art. 2, c.6, lettera c, numeri 1/10) o fuori di esse (lettera d, numeri 1/10) costituisca in qualche caso «un giro di vite» rispetto a taluni aspetti dell’attuale costume. Di questo, però, accennerò più oltre.
Il momento di collegamento più evidente tra fattispecie disciplinare tipica e codice etico sembra doversi individuare laddove - nell’art.2, comma. 6, lettera b, numeri 1/3 - si obbliga il Governo ad esercitare la delega prevedendo che «il magistrato debba esercitare le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza laboriosità, riserbo ed equilibrio; che in ogni atto di esercizio delle funzioni debba rispettare la dignità della persona; che anche fuori dall’esercizio delle sue funzioni non debba tenere comportamenti, ancorché legittimi (corsivo mio) che compromettano la (propria, corsivo mio) credibilità personale, il prestigio e il decoro o il prestigio dell’istituzione». È infatti facilmente prevedibile che - attesa l’impossibilità di una tipizzazione puntuale di qualsivoglia comportamento, con la conseguente esigenza di clausole così generali - per integrare l’individuazione di quelli in ipotesi sanzionabili la giurisprudenza disciplinare finirà giocoforza con l’attingere alle direttive deontologiche.
Il dotarsene è dunque un’esigenza imprescindibile del sistema. Su un diverso piano di valutazione, poi, si tratta in realtà, come hanno prima notato le professoresse Jolie e Bifulco, di un bisogno che nasce - anche quanto alla magistratura e tenendo presente la particolarità che ho appena rammentato e le osservazioni al riguardo - da un problema di legittimazione [si vedano, in termini, le lucide osservazioni di G. Barbagallo, I codici etici delle magistrature, in Foro It., 1996, III, 36].
Come osservava il presidente Bruti Liberati, dietro ai giudici non c’è scritto solo “La legge è uguale per tutti”, ma anche, da un po’ di tempo, “La giustizia è amministrata in nome del popolo”. E poiché la giustizia e gli organi che la amministrano hanno problemi di consenso, in senso lato, è chiaro allora che hanno anche problemi di legittimazione. Se la magistratura si vincola a regole deontologiche autoprodotte più stringenti e si impegna a dotarsi inoltre di strumenti di formazione successivi al concorso sempre più raffinati ed esigenti (il che rappresenta un aspetto essenziale, se voglia mantenere alta la sua immagine complessiva), toglie alibi a chi vuole limitarla e controllarla ab extra.
Dire di un giudice che le sue sentenze sono «belle»,nel senso che siano saggi di scrivere ornato e di luccicante erudizione esposta in vetrina,non mi pare che sia fargli un complimento.Le sentenze dei giudici devono semplicemente, nei limiti delle possibilità umane, essere giuste.

3. Torna qui utile il confronto con la cultura francese quest’oggi condotto, perché essa è tra l’altro la cultura dell’esprit de géométrie e della politesse.
Vorrei evidenziarne innanzitutto un aspetto e mi dispiace perciò che il professor Rousseau sia dovuto già ripartire. Quando lui ci diceva che nelle facoltà universitarie transalpine girano da qualche tempo codici di autodisciplina dei rapporti tra professori e studenti, ad iniziativa delle diverse istituzioni nelle quali essi vengono a contatto, questa era musica per le mie orecchie, visto che da qualche tempo (dopo avere avuto esperienze non sempre simpatiche) ho preso del tutto spontaneamente l’abitudine di sottoporre ai miei allievi, per il periodo in cui ci capita di frequentarci più intensamente e cioè quello della tesi, una specie di “contratto” - non ispirato da nessun politico, vi assicuro - sottoscrivendo il quale ciascuno di noi due si obbliga a precisi doveri verso l’altro e correlativamente ne deriva diritti. Ad esempio: studiare il materiale assegnato e incrementarlo con ricerche personali, schedarlo e discutere con me i problemi che si sono palesati, sottoporre il lavoro in itinere a mie revisioni periodiche, stendere alla fine l’elaborato per la dissertazione pubblica senza copiare, quanto allo studente (devo ammettere che, con le possibilità oggi offerte da Internet, non potrei essere a priori sicuro dell’originalità del lavoro, se qualcuno mi sottoponesse un elaborato discusso in qualche sede universitaria lontana, o messo insieme col copia-incolla, od infine utilizzando scritti poco noti e penso in realtà che la tesi tradizionale è stata probabilmente colpita a morte da siffatte opportunità tecnologiche); avere effettiva disponibilità ad incontri di lavoro per tutto il tempo necessario, correggere il materiale che mi viene mostrato ed integrarlo con puntualità di suggerimenti entro tempi brevi e predeterminati, per me docente.
Si è parlato delle tentazioni del giudice. Secondo Oscar Wilde, come sapete, “a tutto si può resistere, tranne che alle tentazioni” e il medesimo relatore ha notato che le tentazioni, a volte, sono fatte per soccombervi.
Va sconfitta la tentazione del giuspositivismo spinto e acritico, diceva il professor Martens e non posso innanzitutto che condividere quest’affermazione.
In secondo luogo e sempre per quanto attiene alla politesse, vorrei dirgli che, tra i rischi che io vedo potersi spalancare di fronte al giudice e dei quali lui ha fatto - ripercorrendoli - una puntuale rassegna, mi sembra che ce ne sia uno ulteriore, rispetto al suo elenco. Quello cioè che - quando ho studiato l’articolatissima vicenda italiana, dipanatasi su un punto che anche voi francofoni sentite come molto critico, quello della laicità e dei diversi approcci ad essa nei differenti ordinamenti europei - ho trovato abbastanza diffuso. Sia che le singole decisioni abbiano ritenuto di dare ingresso alla giurisdizione ordinaria in materia, sia che abbiano invece radicato quella del giudice amministrativo (essendosi poi e perdipiù i diversi giudici trovati di fronte al bivio se imporre la defissione di tutti i simboli religiosi da un’aula scolastica pubblica e l’esclusione di abbigliamenti fortemente identitarî di allievi od insegnanti, o se aprire la strada ad una opposta “laicità per addizione”), ho infatti letto in tutte le motivazioni - comunque orientate - la tendenza a scrivere monografie. Per me c’è qui una tentazione di accademismo, di libera docenza frustrata nei rispettivi estensori.
Insomma, tra le tentazioni da vincere c’è anche quella della mancanza di sobrietà. Proprio perché ammiro nei Francesi la politesse, la traduco in questo caso come esigenza di semplicità, di non esibizione di opzioni etiche soggettivamente impegnative del giudicante. Fuori da una sentenza, certe scelte - qualunque siano in concreto - mi lasciano sempre ammirato verso chi è in grado di compierle con nettezza, facendo arretrare i suoi dubbi; se però esse sono coperte (o comunque ammantabili, in ultima analisi) con l’autorità del giudicato, allora confesso di rimanere perplesso. Anche quella retorica è una tentazione potenzialmente veicolo di conformismo.
La peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama il conformismo.
È una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza;una specie di ossessione, che non attende le raccomandazioni esterne, ma le previene;che non si piega alle pressioni dei superiori, ma se le immagina e le soddisfa in anticipo.
4. Questo mi sembra il punto essenziale. Per me, il principio costituzionale che il giudice è sottoposto soltanto alla legge significa che egli deve essere aiutato a non essere conformista. In ciò sta la sua libertà di giudizio. E di questo, sicuramente, il Consiglio superiore della magistratura è garante.
Il Csm difende però i giudici dalle forze esterne e dalle loro intrusioni. C’è tuttavia qualcuno che difenda il giudice - nella solitudine della sua coscienza - di fronte al Csm e alla pratica dei contatti “giusti” (chiedo scusa se introduco una nota che non vuole involgarire il piano del discorso, ma che è dettata unicamente dalla consapevolezza di come vanno le cose del mondo), alla quale ci si deve dedicare, se si vuole aspirare con qualche probabilità di successo a questa o a quella sede giudiziaria importante? Vorrei vedere - nell’ipotesi che un magistrato si presentasse “nudo”, sulla base dei suoi soli meriti professionali, alla valutazione in termini e rivendicasse un determinato ufficio senza le opportune protezioni - se la sua richiesta verrebbe accolta, la sua ambizione soddisfatta.
Quando ero studente universitario e anche dopo, andava di moda “l’uso alternativo del diritto” ed ammiravo Magistratura Democratica, che ha beninteso svolto una funzione essenziale per dare una scossa a certe convinzioni polverose, al rinserramento del magistrato in una turris eburnea, che mal dissimulava in verità l’adesione ad un’ideologia e ad un’etica di ceto parziali [Sulle vicende fondative della corrente, una lettura molto interessante e che non ho fatto senza commozione è quella di M. Ramat, Gli «spiccioli» di Magistratura Democratica, in appendice al volume di scritti in Sua memoria Crisi della giurisdizione e crisi della politica, a cura di S. Mannuzzu e F. Clementi, Milano, 1988, 313 ss.] .
Oggi sarò invecchiato, divenuto meno idealista di un tempo e meno disposto a vedere l’idealismo negli altri. Certo è che - nel gioco delle correnti funzionale alla composizione dei Consigli giudiziarî e del Consiglio Superiore - scorgo soprattutto (con l’attenzione che porto da uomo maturo all’analisi realistica delle dinamiche sociali) una modalità di gestione di piccolo cabotaggio e di modesto corporativismo, non - come si diceva una volta per nobilitarlo - il mezzo per favorire «l’arricchimento del dibattito» della compagine. Magari questo è stato vero alle origini di tale esperienza, non discuto [la vicenda italiana dell’associazionismo giudiziario e quella ad essa collegata delle garanzie costituzionali della funzione è ora ripercorsa con puntuale attenzione e conclusioni critiche sull’evoluzione in atto da F. Moroni, Soltanto alla legge. L’indipendenza della magistratura dal 1945 ad oggi, prefazione di N. Tranfaglia, Monte Porzio Catone, 2005]; ma non credo che si possa restare seriamente persuasi che l’età della crisi delle ideologie abbia lasciato la magistratura italiana come un’isola felice, indenne da questo fenomeno erosivo.
Per esporre, tanto precisato, un’opinione sull’assetto che il sistema sta da ultimo assumendo, ritengo in sintesi che l’idea qui argomentata dal professor Rousseau sia la strada maestra per individuare un adeguato “minimo etico” della funzione giudiziaria. Ho inteso le sue parole - e comunque le condivido in tali limiti - come un invito ad avere fiducia nella dialettica della giurisprudenza, pur potendo ciascun operatore legittimamente dissentire, motivando, dagli indirizzi che vengono in essa consolidandosi; un’esortazione a seguire insomma - come fanno i medici per le loro cure - i protocolli scientificamente validati e a confidare, per il resto, nel mare aperto del confronto esegetico, entro il quale si rassoda o viene escluso via via il consenso alle particolari soluzioni interpretative della comunità del foro nei suoi varî ruoli, degli utenti finali della Giustizia come servizio, della comunità complessiva dei cittadini.
Sarei insomma anche qui, come lo sono dovunque siano in gioco conflitti tra valori ideali, per la presa d’atto di un inevitabile relativismo, che nella funzione giudiziaria va però moderato dal costante aggancio alla base testuale (seppur non blindata e ossificata) della norma e dalla preoccupazione - che non direi corriva - di rendere sempre comprensibili le decisioni attraverso la persuasività del discorso comunicativo, che è poi la logica profonda della motivazione.
Va da sé che trovo assurdo - culturalmente insostenibile, prima che tecnicamente impraticabile - immaginare che vi siano interpretazioni, per quanto stravaganti, che possano costituire motivo di censura disciplinare, alle ovvie condizioni minime per cui esse possano dirsi giuridiche. Sempreché vi siano insomma una pur flebile base testuale e la possibilità di argomentarla in modo non dadaista (insomma, attraverso soggetto, predicato e complemento e frasi concatenate di senso comune, che non è per forza il “buon senso”, nonché secondo la grammatica e la sintassi che si apprendono nelle facoltà di Legge), un’interpretazione vale l’altra, in partenza. Esistono poi le tecniche per emendare lungo la strada eventuali deragliamenti dai binarî della corretta applicazione dei canoni ermeneutici.
In questo senso, la precisazione di cui alla l. 105/2005 (art. 2, c. 6, lett. c, n. 11) è forse astrattamente ultronea. In presenza di timori diffusi e di precedenti proposte di censurare interpretazioni eterodosse sul piano disciplinare, tuttavia, meglio però in questo caso sovrabbondare. Certo, porrà problemi il coordinamento fra le disposizioni: dove finisce l’insindacabile attività interpretativa evolutiva, condotta in base alle preleggi, di cui questa norma tratta e dove incomincia invece la sanzionabile «adozione di provvedimenti abnormi ovvero di atti e provvedimenti che costituiscano esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero ad altri organi costituzionali», di cui al precedente n. 9? Verrebbe fatto, per quest’ultima fattispecie, di pensare unicamente ad ipotesi di clamorosa e immediatamente evidente esorbitanza di potere; correttezza vuole - peraltro - che si segnali allora pure il rischio opposto (talora non rimasto solo teorico) che il legislatore medesimo interferisca con proprie decisioni su processi pendenti, magari oggetto di intenso dibattito pubblico, mutandone il corso in senso favorevole agli imputati, attraverso l’intervento sul rito e/o sulle fattispecie incriminatrici sostanziali, ovvero manipoli il giudicato (salvo amnistie ed indulti e salva l’abrogazione pura e semplice di fattispecie di reato)
Quanto alle esternazioni ed ai comportamenti extrafunzionali, non mi passa nemmeno per la testa di pensare che, solo per avere abbracciato questa carriera, un magistrato cessi - in fatto - di essere un uomo o una donna, con personali passioni ed ideali. Né credo che sia in questione il suo astratto diritto ad essere tale. Tuttavia, da chi ha deciso un giorno di svolgere nella propria vita lavorativa un ruolo arbitrale, non mi sembra troppo pretendere che sia compos sui. Anche qui, dovrebbe soccorrere la sobrietà; dovrebbe insomma guidare una semplice valutazione di opportunità, non altro: noblesse oblige (e la funzione è tra le più nobili che in assoluto siano pensabili).
Confesso che sentire ad esempio rivendicare da un magistrato la propria libertà di manifestazione del pensiero, per legittimare il suo intervento ad un congresso sindacale nel quale egli aveva investito il governo pro tempore in carica di veementi espressioni polemiche, mi immalinconisce. E mi sembra strano che ci siano volute le sezioni unite civili della Cassazione [23235/2005, pres. Ianniruberto, rel. Sabatini] a ribadire il senso del limite e l’insegnamento della Suprema Corte sulla continenza nelle espressioni del diritto di critica. Forse basterebbe, per rammentarli, un normale sentimento delle istituzioni, anche posseduto solo in modica quantità. Se proprio non può fare a meno di parlare fuori del seminato (ma sarebbe meglio che se ne astenesse), potrebbe almeno un magistrato ricordare che esistono le figure retoriche, nonché l’ironia accanto all’invettiva?
Non sembrano dunque degne di critica pregiudiziale le previsioni di futuri illeciti disciplinari che inibiscono a magistrati in servizio l’adesione ad associazioni segrete o che impongono vincoli stringenti incompatibili con la funzione (c. 2, lett. d, n. 7), nonché - applicando ed allargando realisticamente un precetto costituzionale finora negletto - proibiscono la partecipazione ad attività partitiche (anche in assenza di iscrizione, qui è appunto l’ampliamento) o di centri affaristici (ivi, n. 8) e la stessa pubblica manifestazione di consenso o dissenso su giudizi in corso, se idonea a conseguire un effetto di condizionamento su di esso (ivi, 6).
Occorre però segnalare un paio di profili delicati. In primo luogo, posto che ogni attività culturale può avere ricadute politiche, in senso ampio, in ordine al divieto di aderire a «centri politici» per i magistrati la giurisprudenza disciplinare dovrà distinguere in modo capillare ed attento, caso per caso, la qualità dell’attività del centro e della presenza del magistrato in esso. In concreto: un giudice che aderisse ad un invito di una scuola, di una facoltà universitaria o del Lyons Club per una conferenza su temi genericamente o puntualmente attuali di educazione civica e/o di cultura giuridica, sarebbe forse censurabile? In secondo luogo, per essere sanzionabile, la manifestazione di consenso o dissenso sul giudizio in corso (evidentemente non davanti al proprio ufficio, ciò che determinerebbe lo scattare di altri meccanismi) da parte del magistrato va espressa successivamente ad esso e ad hoc: non direi cioè che possa essere sanzionato un magistrato che, interrogato sulla sua opinione come studioso esperto della materia in ordine ad un caso giudiziario, si limiti a rinviare a proprie, precedenti pubblicazioni scientifiche e nemmeno che siffatta attività scientifica e poi di divulgazione dei risultati raggiunti, in ordine a questioni ancora aperte, possa essergli in principio vietata; mi limito a segnalare che l’aggiornamento professionale è un valore positivo, per un ordinamento giudiziario che prevede perfino nuove strutture formative destinate a tale scopo. .
In generale, la faccio breve, non penso affatto che si debba chiedere a un componente dell’ordine giudiziario di essere (sul lavoro e fuori) un conformista, ma nemmeno - all’opposto - di mostrarsi un creativo ad ogni costo; e comunque si può esigere che non sia maleducato. Non pretendere che sia muto, ma che controlli la sua loquacità. Non si dovrebbe domandargli di stare acriticamente dalla parte del potere, ma nemmeno di sentirsi programmaticamente un contropotere, visto che lui stesso esercita un potere legale non da poco, in grado di incidere pesantemente sui diritti e i beni dei cittadini. Soprattutto, non bisognerebbe augurarsi che egli sia (e chi ha vissuto in Italia negli anni Novanta del secolo scorso ha avuto talvolta motivo di temerlo) il custode della pubblica virtù: fra tutte, la tentazione a mio parere più perniciosa e devastante per il sistema.
Il magistrato che si serve della motivazione della sua sentenza per questi sfoghi politici,scambiando il seggio di giudice con un palco da comizio, cessa di essere magistrato.
5. Chiudo con il racconto di un piccolo episodio occorso direttamente a me. Ero difensore di amministratori pubblici, più o meno dieci anni fa, in un giudizio davanti alla Corte dei Conti. Ancora non so se fossero innocenti o meno dalle accuse di avere dilapidato pubblico danaro e di averne anche tratto profitto personale, ma sapete come il Procuratore aveva motivato nella memoria scritta - e reiterò poi in udienza dibattimentale - la sua requisitoria? In soldoni (è il caso di dire…): «Non ho raggiunto la prova piena che costoro abbiano malversato, ma siccome è un diffuso costume ambientale che questo avvenga, ne chiedo la condanna».
Sostenni allora - e sostengo ancora oggi - che questa conclusione mi va benissimo sul piano della sociologia della (cattiva) amministrazione e di quella giudiziaria; di più: da osservatore e da cittadino onesto potrei condividerla. Mi va però assai meno bene se è tratta da chi dispone del potere di chiedere di irrogare una sanzione e ha bisogno perciò di provare l’addebito; e se non prova, o se la prova è debole, deve - non semplicemente può - chiedere lui stesso il proscioglimento.
Vinsi quella causa, ma questo era allora il clima. Io sono convinto che il potere politico abbia impropriamente cercato rivincite; mi si conceda però anche il rilievo che esso ha trovato sovente - in atteggiamenti vanagloriosi e protagonistici che voglio per carità di patria ritenere solo poco sorvegliati, insomma inavvertiti - terreno fertile per le proprie rivalse.
L’appello a un serio e severo codice deontologico richiama perciò tutti - parlo, per correttezza, innanzitutto per me, come professore universitario e come avvocato, prima di chiedere agli altri di conformarsi al loro - ad un’istanza di maggiore autocontrollo ed equilibrio.
(20 febbraio 2006)

Democrazia e partecipazione ..dai teoremi alle riforme


"Coloro che si compiacciono di saper redigere un sistema infallibile di diritto e politica ugualmente applicabile a tutte le condizioni con tanta evidenza e coerenza quanta quella con cui Euclide dimostra i suoi teoremi, si ingannano con nozioni che si rivelano inefficaci quando vengono applicate al particolare"

Sir Matthew Hale (1609-1676) Lord chief justice of England

Non è più tempo di sogni ,e neppure forse di "visioni", nè in politica nè nella magistratura.

Abbiamo molto da dire e da fare ,e non abbiamo paura di dire e di contraddire.


E vogliamo partecipare .

La porta è aperta a tutti coloro che vogliono esprimere il loro disagio e il loro dissenso ,quelli che non hanno mai avuto il tempo di esprimerli o perchè avevano altro da fare o perchè il tempo c'era ma era "contingentato" dai colleghi con la sigla ,pronti a recitare la solita litania di parole d'ordine e di dichiarazioni di fedeltà.

Siamo qui a discutere ,perchè forse crediamo al fatto che il consociativismo a tutti i costi e che l'associazionismo di facciata (che a parole si indigna e nei fatti tratta e pratica presso corridoi e anticamere del potere politico di turno ,pronti a salire sul primo "treno" utile ) abbia fatto il suo tempo.

E' vero bisogna cominciare a "fare" sindacato ...cioè bisogna iniziare a passare dalle parole (e dai proclami e dai bei discorsetti ) alle iniziative ,cioè alle iniziative vere e tangibili,concrete in materia di carriera (nessuno si indigna per la "soppressione" delle carriere che ormai è alle porte e nessuno tenta un dialogo con le magistrature amministrative ) in tema di tutela sindacale pensioni ,maternità ,handicap,malattia ..esiste uno sportello ? Tutto è lasciato al caso o alla buona volontà.

E anche in tema di trasparenza le iniziative poche e utili non mancherebbero -sopratutto per le attività del CSM che non possono ancora più essere considerate appannaggio di pochi eletti ,con relativo seguito ,dispensatari graziosamente di informazioni e notizie che dovrebbero essere UN DIRITTO dei magistrati- ,e di trasparenza all'interno dei nostri uffici (quanti tra i dirigenti vecchi e nuovi ,e tra l'altro di tutte le correnti , sanno come funziona realmente l'ufficio che dirigono ed hanno il coraggio di "uscire" dalla propria stanza per incontrare i colleghi e capire come stanno davvero le cose ,quali difficoltà si incontrano e quali soluzioni concepire ? ) .

Questo ci unisce e questo ci fa forti ,cioè l'idea che qualcuno deve per essere credibile trovare il coraggio civile di fare un passo indietro ,di dire appunto coraggiosamente "abbiamo sbagliato" ,di tentare una via nuova di rinnovamento.E forse i segni di autocritica ci sono.

Non vorremmo i alla prima occasione sentire pronta la solita litania e la solita musica. Ed il bello sarà che dai signori delle correnti la nostra iniziativa sarà etichettata come "qualunquistica" .Ovviamente chi vive di etichette e si fa forte solo con le etichette non può non immaginare il mondo fuori dai suoi schemi ...

Ma possibile che nessuno fa più caso al fatto che i nostri principi delle correnti ,i titolari dei "pacchetti" di consensi elettorali non hanno davvero più nulla da dire ? E che ripetono in fondo sempre le stesse cose?

Impegni,promesse ,programmi,analisi ..esattamente come i politici e come i politici pronti ad ogni compromesso per perpetuare all'infinito il loro (apparente) potere .Poi magari per confluire alla prima tornata elettorale utile a livello locale o nazionale ,senza un programma e senza una prospettiva ,tanto per schierarsi "comunque" da una parte o dall'altra .

Siamo stanchi davvero ,e non ci fidiamo più di chi si fa vivo solo per le scadenze elettorali o per spiegarci le ragioni dello sciopero prossimo venturo ..siamo convinti che le riforme devono essere fatte ,ma sarebbe bello coinvolgere davvero tutti i magistrati nella loro realizzazione in una condivisione di informazioni che ,almeno finora, è stata molto rara .


Le informazioni si condividono solo all'interno delle correnti e per i propri associati ,si conta solo per contarci ,e finiamo per non contare più nulla nella società civile .

E poi non ci sono riforme buone e riforme cattive di per sè ,luci ed anche molte ombre ci sono anche nelle leggi varate dai governi "amici" dei magistrati ..ma finchè divideremo oltre che noi stessi i governi e il mondo in "amici" e "nemici" non saremo mai in grado di progredire sulla strada delle riforme "vere",quelle che dovrebbero nascere con il consenso più ampio.

Siamo stanchi degli impegni proclamati e non mantenuti ,delle passarelle elettorali e dei giri di corridoi negli uffici giudiziari per le solite "presentazioni" di simpatici colleghi candidamente candidatisi a qualcosa.

Solo in magistratura siamo rimasti alla prima Repubblica ed alle sue dinamiche di potere consociativo ,ed intorno a noi ,fuori dalle mura rassicuranti dei palazzi di giustizia il Paese è cambiato.

E non ci capisce più come una volta ...

sabato 27 ottobre 2007

I giudici di Buckenburg e la giudicessa Eleonora di Oristano di Nella Condorelli





I giudici di Buckeburg e la Giudicessa Eleonora di Oristano
di Nella Condorelli
pubblicato sul sito "Articolo 21"
http://www.articolo21.info/notizia.php?id=5522


Sino a ieri, la citta’ di Buckeburg, capoluogo del lander Shaumburg-Lippe,nella Bassa Sassonia, sulla strada da Colonia a Berlino, era nota quasi esclusivamente ai melomani. Qui, nel 1795 chiuse la sua vita terrena il musicista Johan Cristoph Frederic Bach, figlio del piu’ noto Sebastian, e qui’ si consumo’ il definitivo passaggio della musica da camera tutta tedesca verso quella tutta italica (passaggio non indolore, raccontano i critici, anzi: per la supremazia di questa o di quella nota armonica, i maestri musicisti disputarono a lungo tra di loro, per ogni contrada). Altri tempi, altre dispute. Da oggi, la sentenza del tribunale cittadino, presieduto dal giudice Von Hammerstein, che ha concesso uno sconto di pena ad un’immigrato italiano, condannato per violenza sessuale, in virtu’ delle sue “particolari impronte etniche e culturali: e’ sardo”, oscura ogni precedente.Riassumiamo. Maurizio Pusceddu, 29 anni, cagliaritano, emigrato, tiene reclusa per tre settimane la fidanzata lituana, la picchia, la violenta, la tormenta e l’umilia in tutti i modi. Lei lo denuncia. L’uomo viene arrestato, si celebra il processo. Per questo tipo di reati, il codice penale tedesco prevede pene esemplari, sino a 15 anni di reclusione. Pusceddu si dichiara colpevole,confessa, arriva la sentenza. Sei anni di galera, con la concessione di attenuanti generiche, ed un sostanzioso sconto di pena. Il caso si chiude. Sino a qualche giorno fa, quando la vicenda esplode per via dell’ormai prossima udienza presso la corte d’appello, a Cagliari, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta del’avvocata della difesa di trasferimento del condannato in un carcere italiano (23 ottobre).“Mi sono accorta della concessione dell’attenuante “culturale”, che io non avevo certo richiesto, - denuncia a Radio24 la legale Anna Maria Busia -, solo dopo aver ottenuto una copia tradotta in italiano della sentenza.”. E’ cosi che viene alla luce il retropensiero che ha guidato i giudici di Buckeburg. Nel dispositivo della sentenza che concede attenuanti e sconto di pena, si legge infatti (in successione) che il ventinovenne imputato e condannato «è un sardo; il quadro dell'uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusa, ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante», che «i reati sono stati un efflusso di un esagerato pensiero di gelosia», e che «come cittadino italiano che deve vivere separato dalla sua famiglia e dalla sua cerchia di amici, egli è particolarmente sensibile alla reclusione.”. Storia e sentenza finiscono sulle prime pagine dei giornali, tanto italiani quanto tedeschi, fioccano le reazioni indignate del nostro mondo politico, senza distinzione di schieramenti, dagli indipendisti sardi a Rifondazione e Pdci fino ad An, passando per Ulivo, Udeur, Forza Italia e Lega: la sentenza e’ “razzista e intollerante”, oltre ad essere “offensiva”. Da parte sua, il tribunale di Buckeburg si difende e ieri, con la portavoce Birgit Brueninghaus, fa sapere che le origini sarde del condannato sarebbero state prese in considerazione solo per contestualizzare la sua «spiccata gelosia.”. Rimedio peggiore della malattia? Di certo, la sentenza di Buckeburg fa impallidire la disputa dei musici del tempo andato, e rischia di proiettare i giudici che l’hanno emessa sul tribunale eterno della storia, con l’accusa di razzismo contemporaneo. Da parte nostra, alcune brevi considerazioni, colte qua’ e la’ tra le donne delle associazioni, a partire da quelle sarde, a proposito di razzismo e di ignoranza, come vuoto di conoscenza della storia e della cultura di un popolo. Come base di stereotipi difficili da rimuovere.Ignorano, per esempio, i giudici di Buckeburg che, in Sardegna, gia’ all’alba del XIV secolo, esattamente nel 1392, Eleonora d’Arborea, Giudicessa dell’omonimo Giudicato sardo - come dire “regina”: “iudex sive rex” (era il titolo riconosciuto anche dal popolo) - , promulgo’ la Carta de Logu, il primo codice europeo che riconosce la donna soggetto di diritto. La Carta de Logu dedica articoli specifici anche al reato di stupro, punendo con pene severe tanto gli stupratori quanto i familiari (da una parte e dall’altra) che avessero spinto le ragazze vittime al matrimonio riparatore.“Si placuet”, se a lei piaceva.., la Carta permetteva le nozze soltanto dopo il consenso della ragazza, - mi spiega al telefono Pupa Tarantini, storica di Eleonora, presidente della Fidapa di Oristano, e gia’ presidente della CPO del Comune.“Una legislazione certamente rivoluzionaria per i tempi, - continua -, che rimase in vigore sino allo Statuto albertino, il codice che nei fatti ha annullato un patrimonio giuridico vecchio di secoli, preesistente alla stessa Eleonora che, da regina, ebbe la lungimiranza di codificarlo, e che rimane tuttavia nel dna dei sardi. Da noi, anche i bambini conoscono Eleonora e le sue leggi. L’uomo condannato e’ un violento e basta, come se ne trovano purtroppo sotto tutti i cieli.”. E adeso, pensate di fare qualcosa, anche in vista della prossima udienza al Tribunale di Cagliari? “Chiedero’ a Giovanna Corda, neo-europarlamentare sarda, figlia di immigrati eletta in Belgio, socia onoraria della nostra Fidapa, - conclude Tarantini -, di consegnare una copia della Carta de Logu ai giudici di Buckeburg, e di informarne il nostro ministro della Giustizia. Nell’Europa comunitaria, gli stereotipi culturali, il razzismo, si combattono anche con la conoscenza e la cultura condivisa, compresa quella giuridica, elemento portante della nostra storia e della nostra democrazia. Penso comunque che una copia della Carta de Logu vada consegnata anche a lui e a tutti i nostri parlamentari:la legge contro la violenza sulle donne giace ancora in commissione, chiediamo ai parlamentari una rapida approvazione, ed al ministro di attivarsi in questo senso.”.
13/10/2007